Le dubbie virtù del pilastro privato

Non si capisce perché i Fondi pensione dovrebbero avere sul sistema economico italiano gli effetti positivi di cui si parla, dato che investiranno quasi esclusivamente all'estero. Quanto alla possibilità di investire il Tfr in titoli pubblici indicizzati al Pil, potrebbe essere il canale di finanziamento delle spese per investimenti
Il dibattito con Fabio Pammolli e Nicola Salerno è di quelli che val la pena di continuare perché, al di là della diversità di vedute su una serie di punti, siamo convinti che sostengono le loro tesi perché le ritengono giuste e non per secondi fini. Non si può dire la stessa cosa, purtroppo, di tutti coloro che oggi in Italia partecipano alla discussione sui problemi economici. E' a costoro che mi riferivo parlando di "alibi per obiettivi che con la previdenza e lo sviluppo hanno poco a che vedere" e mi spiace se Pammolli e Salerno hanno pensato che mi rivolgessi a loro. No, ce l'avevo con quelli del FODRIA (Forze Oscure Della Reazione In Agguato).

Battute a parte, confermo che ci sono almeno due importanti (per le rilevanza che gli si attribuisce) "problemi immaginari" che vengono agitati nel dibattito sulla previdenza. Il primo è quello degli investitori istituzionali: non sto a ripetere quanto detto nel precedente articolo (per chi l'avesse perso, è qui). Il secondo è quello della crescita del nostro sistema finanziario e del miglioramento delle condizioni di finanziamento dell'economia, sia per i motivi relativi al punto precedente, sia per il fatto che i Fondi investiranno all'estero quasi tutto quello che raccoglieranno. Pammolli e Salerno osservano che le plusvalenze ottenute all'estero incrementeranno il gettito fiscale: bene (sempre che le plusvalenze ci siano, o per lo meno nei periodi in cui ci sono), ma non sembra che questo possa costituire una svolta per il "sistema Italia".

Anche l'osservazione che i contributi sono decisivi nel determinare l'elevato cuneo fra salario lordo e netto non sembra avere un rilievo determinante. E' vero, ma ciò che conta per le imprese non è il cuneo, è il costo del lavoro, che invece è tra i più bassi. D'altra parte, il cuneo deriva anche da una precisa scelta di politica sindacale, fatta in tempi ormai remoti, di non spingere tanto sulla busta paga e destinare una parte delle risorse ottenute con la contrattazione a istituti previdenziali e assistenziali.

Meritevole di attenta riflessione è invece un altro aspetto sottolineato da Pammolli e Salerno. Il sistema a ripartizione, ricordano, è efficiente e sicuro, ma non crea ricchezza, la redistribuisce soltanto. Se quindi, visto anche l'andamento demografico del nostro paese, vi si indirizzano troppe risorse,  si crea uno squilibrio rispetto a quelle destinate a produrre ricchezza, che è ciò che poi permette di pagare le pensioni.
Si potrebbe replicare che è molto difficile tracciare una linea oltre la quale "è troppo", e anche che l'obiettivo primario della previdenza è offrire la possibilità di costituirsi una rendita senza essere sottoposti a rischi. Però non c'è dubbio che se una parte dei soldi della previdenza passa dall'area della redistribuzione a quella della produzione di ricchezza è meglio.

La  mia proposta di offrire la possibilità di investire in obbligazioni pubbliche indicizzate al Pil, la cui raccolta dovrebbe poi finanziare ricerca e sviluppo, mi sembra però compatibile con questo obiettivo. P&S mi accusano addirittura di voler riportare la situazione a prima del "divorzio" Tesoro-Bankitalia.  Ricordiamo per i più giovani che cosa significa. In passato la Banca d'Italia era tenuta per legge a sottoscrivere tutti i titoli di debito pubblico emessi dal Tesoro che non fossero assorbiti dal mercato. In pratica ciò equivaleva a stampare carta moneta, in quel caso sì ad alto rischio di diventare carta straccia. Anche perché il Parlamento aveva pensato bene di eludere la norma costituzionale che impone la copertura delle leggi di spesa stabilendo che l'emissione di debito costituiva una copertura valida e utilizzava questo sistema anche per finanziare spese del tutto improduttive. Tutto questo finì nella prima metà degli anni '80, quando si decise appunto il "divorzio", con Beniamino Andreatta ministro del Tesoro e Carlo Azeglio Ciampi governatore. Purtroppo era già stata accumulata la gran parte dell'enorme debito pubblico che ancora oggi ci trasciniamo.

Non mi sembra che la mia proposta abbia molto a che vedere con quella situazione. Anche se l'obiettivo primario è garantire un'accumulazione previdenziale senza rischi, non a caso ho proposto anche di vincolare la raccolta agli investimenti. Da che mondo è mondo, indebitarsi per investire è non solo ammissibile, ma è un comportamento da manuale. Se non sbaglio, voi economisti la chiamate "la regola aurea" e del resto nel dibattito sulla modifica del Patto di stabilità c'era una forte corrente che sosteneva appunto l'opportunità di non considerare, ai fini dei parametri europei, le spese in conto capitale. E' bene precisare che non penso che lo Stato debba ricominciare a produrre panettoni ed orchidee. Ma le infrastrutture, la ricerca, grandi progetti che i privati non affrontano perché il ritorno sarebbe troppo differito, mi sembra che anche i più critici della mano pubblica ammettano che sono compito dello Stato. Inoltre, siccome il rendimento sarebbe pari all'aumento del Pil, l'operazione non farebbe peggiorare - per definizione - il rapporto con il debito. Dato che le spese in conto capitale nel bilancio pubblico ci devono pur stare, si potrebbe decidere che è questo il canale per finanziarle. Vorrà dire che si emetterà di meno degli "altri" titoli del debito pubblico.
Sarebbe, questo, un modo per impiegare in Italia il flusso generato dell'ex-Tfr. Che invece, se messo nei Fondi, è vero che non aumenterebbe l'area della redistribuzione, ma andrebbe a finanziare in modo largamente prevalente altre economie.

Ancora un'osservazione. Siamo d'accordissimo con P&S sul fatto che la tassazione dei frutti del Fondi è pessima e va in aiuto dei più benestanti. Però la legge dice che di qui a giugno bisogna decidere sulla destinazione del Tfr, e per chi lo mette nei Fondi non c'è possibilità di ritorno. Chi sceglie oggi lo fa con quella tassazione, che sposta non poco la convenienza per i redditi più elevati. Sarebbe corretto cambiare le regole dopo che tutti hanno fatto la loro scelta? Francamente, avrebbe il sapore di una truffa. Che, probabilmente, prima o poi avverrà comunque: ma farlo subito, beh, sarebbe davvero un po' troppo.
Mercoledì, 31. Gennaio 2007
 

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