"Ma io, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?" (Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci).
Le analisi sul risultato elettorale hanno messo in evidenza alcuni fattori sui quali è opportuno riflettere.
La metà di questi elettori sicuramente di sinistra ha dunque votato per un partito che si è definito "riformista, non di sinistra". Si può ragionevolmente supporre che abbiano optato per un "voto utile". In che senso utile? L'interpretazione prevalente è che fosse utile (il più utile nella situazione data) a contrastare lo schieramento di destra. Ma "utile" anche nel senso che si votava per una forza che aveva la possibilità teorica - e l'intenzione dichiarata - di governare, mentre la Sinistra Arcobaleno si proponeva solo come opposizione. Il risultato elettorale (con l'aggiunta dei voti ai due nuovi partitini di sinistra radicale) ci dice quanto vale oggi nel paese questa opzione (per quanto riguarda la sinistra): 4%.
Altre analisi, per interpretare il successo della Lega, hanno sostenuto che non conta più, per determinare le scelte politiche, la contrapposizione capitale-lavoro, bensì quella centro-periferia. Periferia significherebbe localismo, senso di appartenenza a una comunità geograficamente definita i cui interessi sono omogenei al di là, appunto, della posizione sociale.
Agli operai del Veneto importerebbe più della Pedemontana che della contrattazione nazionale, più di pagare meno tasse - come agli imprenditori, appunto - che degli squilibri sociali. Questa spiegazione appartiene a quel tipo di ragionamenti che, siccome contengono una parte più o meno grande di verità, sono suscettibili di essere accolti come esaurienti, ma è paragonabile alla famosa battuta sul bikini: quello che nasconde è inevitabilmente più interessante del pur molto che fa vedere. Assistiamo certamente a una protesta contro uno Stato centrale - la cui immagine si sovrappone e confonde con quella di una classe politica screditata, "la casta" - percepito come inefficiente, vorace, sprecone, protettore di categorie improduttive (gli statali "fannulloni") e zone del paese che sono una pesante zavorra (le regioni del sud con i loro sprechi, l'invincibile sottosviluppo, la criminalità endemica).
Ma il fatto è che, se le generalizzazioni sono scorrette e demagogiche, i problemi sono reali. Esistono davvero gli statali fannulloni (spesso nemmeno per colpa loro); i privilegi della classe politica (compresa quella che tuona contro di essi mentre ne gode); l'inefficienza e gli sprechi e la criminalità diffusa in molte regioni prevalentemente del Sud. Esistono, questi problemi, da decenni, e non c'è stato ancora chi li abbia affrontati davvero. Incapacità? Timore dellimpopolarità? Potenza delle lobby? Ostruzionismo demagogico dellopposizione di turno alla maggioranza di turno? Politica delleterno rinvio? Tutte queste cose, in vari dosaggi a seconda di chi fosse al governo, le abbiamo viste più e più volte.
La Lega, nella sua rozzezza, riesce a dare limmagine di un partito anti-sistema (quindi, contro il sistema che non sa risolvere questi problemi), pur essendone parte fino al collo. Servono probabilmente a quello le sparate folcloristiche sul prendere i fucili e piacevolezze del genere. Inoltre, proponendosi come rappresentante del Nord non si sente in obbligo di affrontare il problema maggiore del paese, quello del Mezzogiorno: semplicemente lo elude. E i cittadini del Nord, che sanno di essere contributori netti rispetto alla solidarietà territoriale e che non vedono sensibili progressi nella situazione del Sud, stanno aderendo a questo atteggiamento in numero sempre maggiore.
Per essere una sinistra moderna non occorrono viaggi a Canossa, professioni di fede nel liberismo, abiura dei principi di solidarietà sociale.
Occorre però partire da unanalisi del mondo comè oggi e riaffermare i vecchi principi, quelli sì sempre validi, senza che questo implichi ladesione ad un modello mai realizzato e irrealizzabile, quantomeno nellarco di una vita che è quello che interessa a chi va a votare.
Occorre porsi degli obiettivi possibili, anche se si vorrebbe di più e di meglio: al di là di questo cè solo la testimonianza, rispettabile, per carità, ma che è cosa da profeti: e si sa che i profeti sono sempre stati degli isolati. La politica, invece, dovrebbe essere lorganizzazione delle forze attorno a progetti realizzabili: chi non è un santo o un utopista è questo che vorrebbe.
Vale la pena di fare questo sforzo o come molti affermano è lo stesso concetto di sinistra ad essere superato dalla storia? Dipende da che tipo di sinistra si intende. Se si pensa che la falce e il martello siano non solo il simbolo di unidea che si proponeva il riscatto degli oppressi (anche se poi nelle realizzazioni pratiche chi a quelle idee diceva di richiamarsi ha prodotto disastri), e che oggi va reinterpretata radicalmente, ma un faro dietro cui marciare, allora sì, questo è davvero superato dalla storia. Se invece si pensa alla sinistra come una politica che punta sui bisogni delle persone, sulla dignità del lavoro sotto ogni forma, sulla lotta alle diseguaglianze crescenti, sui diritti civili, sulla moralità della politica intesa come agire concreto, allora questo non è superato e non lo sarà mai.
Da circa un trentennio il mondo va a destra, aumentano le disuguaglianze e diritti che sembravano acquisiti vengono messi in questione. Non è scritto da nessuna parte che debba continuare così per sempre. La storia ci ha abituato a grandi ondate che vanno in direzioni opposte. Certo, la storia va anche aiutata. Non ci si riuscirà se non si cambia profondamente mentalità.