Le ceneri della sinistra

Si può fare a meno della sinistra? Basta una tornata elettorale a mettere fine, con la durezza dei fatti, al dibattito se abbia ancora un senso definirsi "di sinistra"?. Le analisi sul risultato elettorale hanno messo in evidenza alcuni fattori sui quali è opportuno riflettere

"Ma io, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?" (Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci).

Non è stata solo una sconfitta annunciata, ma una rotta. Il Partito democratico può anche essere soddisfatto del suo successo (modesto: alla fine, 160.000 voti in più dell’Ulivo), ma alla sua sinistra ora c’è il deserto. I partiti che solo due anni fa avevano il 10,2 alla Camera e l’11,6 al Senato (Prc, Pdc, Verdi), 93 deputati e 46 senatori (comprendendo quelli della Sinistra democratica di Mussi) hanno avuto il 3% e zero parlamentari.
Si può fare a meno della sinistra? Perché il Pd è “riformista, non di sinistra”, come ha precisato il suo leader Walter Veltroni. Basta una tornata elettorale a mettere fine, con la durezza dei fatti, al dibattito se abbia ancora un senso definirsi “di sinistra”? Certo, non essere rappresentati in Parlamento non vuol dire non esistere più nel paese. Probabilmente la sinistra vale in Italia più del tre per cento, ma non si sa come e da chi sia rappresentata.

Le analisi sul risultato elettorale hanno messo in evidenza alcuni fattori sui quali è opportuno riflettere.

Gli elettori che hanno decretato l'insuccesso della coalizione a sinistra del Pd hanno preso essenzialmente tre direzioni: 1) in maggioranza hanno votato per il Pd (circa la metà); 2) si sono astenuti; 3) in piccola parte hanno votato per le nuove formazioni scissioniste a sinistra (circa l'1%).

La metà di questi elettori sicuramente di sinistra ha dunque votato per un partito che si è definito "riformista, non di sinistra". Si può ragionevolmente supporre che abbiano optato per un "voto utile". In che senso utile? L'interpretazione prevalente è che fosse utile (il più utile nella situazione data) a contrastare lo schieramento di destra. Ma "utile" anche nel senso che si votava per una forza che aveva la possibilità teorica - e l'intenzione dichiarata - di governare, mentre la Sinistra Arcobaleno si proponeva solo come opposizione. Il risultato elettorale (con l'aggiunta dei voti ai due nuovi partitini di sinistra radicale) ci dice quanto vale oggi nel paese questa opzione (per quanto riguarda la sinistra): 4%.

Altre analisi, per interpretare il successo della Lega, hanno sostenuto che non conta più, per determinare le scelte politiche, la contrapposizione capitale-lavoro, bensì quella centro-periferia. Periferia significherebbe localismo, senso di appartenenza a una comunità geograficamente definita i cui interessi sono omogenei al di là, appunto, della posizione sociale.

Agli operai del Veneto importerebbe più della Pedemontana che della contrattazione nazionale, più di pagare meno tasse - come agli imprenditori, appunto - che degli squilibri sociali. Questa spiegazione appartiene a quel tipo di ragionamenti che, siccome contengono una parte più o meno grande di verità, sono suscettibili di essere accolti come esaurienti, ma è paragonabile alla famosa battuta sul bikini: quello che nasconde è inevitabilmente più interessante del pur molto che fa vedere. Assistiamo certamente a una protesta contro uno Stato centrale - la cui immagine si sovrappone e confonde con quella di una classe politica screditata, "la casta" - percepito come inefficiente, vorace, sprecone, protettore di categorie improduttive (gli statali "fannulloni") e zone del paese che sono una pesante zavorra (le regioni del sud con i loro sprechi, l'invincibile sottosviluppo, la criminalità endemica).

Ma il fatto è che, se le generalizzazioni sono scorrette e demagogiche, i problemi sono reali. Esistono davvero gli statali fannulloni (spesso nemmeno per colpa loro); i privilegi della classe politica (compresa quella che tuona contro di essi mentre ne gode); l'inefficienza e gli sprechi e la criminalità diffusa in molte regioni prevalentemente del Sud. Esistono, questi problemi, da decenni, e non c'è stato ancora chi li abbia affrontati davvero. Incapacità? Timore dell’impopolarità? Potenza delle lobby? Ostruzionismo demagogico  dell’opposizione di turno alla maggioranza di turno? Politica dell’eterno rinvio? Tutte queste cose, in vari dosaggi a seconda di chi fosse al governo, le abbiamo viste più e più volte.

La Lega, nella sua rozzezza, riesce a dare l’immagine di un partito anti-sistema (quindi, contro il sistema che non sa risolvere questi problemi), pur essendone parte fino al collo. Servono probabilmente a quello le sparate folcloristiche sul “prendere i fucili” e piacevolezze del genere. Inoltre, proponendosi come rappresentante del Nord non si sente in obbligo di affrontare il problema maggiore del paese, quello del Mezzogiorno: semplicemente lo elude. E i cittadini del Nord, che sanno di essere contributori netti rispetto alla solidarietà territoriale e che non vedono sensibili progressi nella situazione del Sud, stanno aderendo a questo atteggiamento in numero sempre maggiore.

Quanto alla sinistra, è tradizionalmente essa a difendere il ruolo dello Stato (giusto, ma non senza cambiare niente!), a difendere la redistribuzione geografica delle risorse (giusto, ma non senza chiedere in cambio di aumentare l'efficienza e ridurre gli sprechi!), ad offrire rappresentanza ad ogni protesta non raramente in modo acritico. Ha pagato duramente questa mancanza della capacità (e prima ancora della volontà) di separare il grano dal loglio.

Per essere una sinistra moderna non occorrono viaggi a Canossa, professioni di fede nel liberismo, abiura dei principi di solidarietà sociale.

Occorre però partire da un’analisi del mondo com’è oggi e riaffermare i vecchi principi, quelli sì sempre validi, senza che questo implichi l’adesione ad un modello mai realizzato e irrealizzabile, quantomeno nell’arco di una vita che è quello che interessa a chi va a votare.

Occorre porsi degli obiettivi possibili, anche se si vorrebbe di più e di meglio: al di là di questo c’è solo la “testimonianza”, rispettabile, per carità, ma che è cosa da profeti: e si sa che i profeti sono sempre stati degli isolati. La politica, invece, dovrebbe essere l’organizzazione delle forze attorno a progetti realizzabili: chi non è un santo o un utopista è questo che vorrebbe.

Vale la pena di fare questo sforzo o – come molti affermano – è lo stesso concetto di “sinistra” ad essere superato dalla storia? Dipende da che tipo di sinistra si intende. Se si pensa che la falce e il martello siano non solo il simbolo di un’idea che si proponeva il riscatto degli oppressi (anche se poi nelle realizzazioni pratiche chi a quelle idee diceva di richiamarsi ha prodotto disastri), e che oggi va reinterpretata radicalmente, ma un faro dietro cui marciare, allora sì, questo è davvero superato dalla storia. Se invece si pensa alla sinistra come una politica che punta sui bisogni delle persone, sulla dignità del lavoro sotto ogni forma, sulla lotta alle diseguaglianze crescenti, sui diritti civili, sulla moralità della politica intesa come agire concreto, allora questo non è superato e non lo sarà mai.

Da circa un trentennio il mondo “va a destra”, aumentano le disuguaglianze e diritti che sembravano acquisiti vengono messi in questione. Non è scritto da nessuna parte che debba continuare così per sempre. La storia ci ha abituato a grandi ondate che vanno in direzioni opposte. Certo, la storia va anche “aiutata”. Non ci si riuscirà se non si cambia profondamente mentalità.
 
Mercoledì, 23. Aprile 2008
 

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