Lavoro in un call center, le mondine del XXI secolo

Diario di una co.co.co.: come si entra, la formazione insufficiente, la ricerca quotidiana di una postazione di lavoro, i rapporti interpersonali e con gli 'assistenti', le prospettive sempre incerte
Per lavorare in un call center bisogna affrontare fasi differenti: la chiave d'accesso è il superamento dei test attitudinali, dopo dei quali avviene il colloquio con la società addetta alla selezione del personale. Svolto con successo questo primo momento si accede alla formazione, impartita direttamente dall'azienda, in questo caso Atesia. Il corso di preparazione, o come è meglio conosciuto il briefing, rivela il valore formativo e culturale di un mercato del lavoro instabile, inadeguato a fornire nuovi strumenti conoscitivi preposti a una maturazione professionale originale.

Il mio primo briefing ha avuto una durata di tre giorni, dalle 9 del mattino sino alle 6 di sera. Lì ho conosciuto il prodotto che avrei promosso in outbound  (vedi più avanti) e cioè la linea adsl, con la quale i clienti avrebbero navigato su Internet molto più velocemente e con la linea telefonica sempre libera. Insomma una soluzione perfetta! Io l'avrei offerta per telefono, convincendo della gratuità della promozione. Durante il briefing veniva pubblicizzato il lavoro della Telecom Italia, sottolineandone le qualità, il valore economico e il prestigio di lavorare a nome di un grande gruppo commerciale. Fondamentalmente un invito a credere alla validità del prodotto, ma soprattutto ad essere capaci ad attivarla più spesso possibile. Si sa che qualcuno ha interpetato questo invito un po' troppo alla lettera e anche oltre, attivando il servizio anche senza il consenso del cliente.
 
Il corso può avere una durata di un'ora o di quattro, e prolungarsi anche per qualche giorno, senza rimborsi per gli operatori (il pagamento di 1 euro lordo a ora è stato introdotto nell'estate del 2003) e senza la possibilità di lavorare. Una formazione rapida finanziata dalla casa madre Telecom Italia, la quale si serve anche dei propri supervisori per impartire informazioni agli operatori. Questo avviene per via delle relazioni talora controverse intercorse tra Telecom e Atesia, forse per una gestione ritenuta troppo indipendente da parte di quest'ultima. Il corso può offrire l'opportunità di evidenziare delle critiche rispetto le modalità organizzative realizzate da Atesia o dai suoi operatori, come accaduto in uno dei tanti briefing che ho dovuto seguire e nel quale un supervisore Telecom affermò che gran parte degli operatori erano dei ladri, perché "chi ruba una telefonata sicuramente è capace di rubare anche uno stereo della macchina". Per inciso "rubare" in un call center s'intende farsi pagare una telefonata, per esempio come informazione, anche se non è stata data nessuna indicazione originale o semplicemente è stata chiusa la conversazione con il cliente.

Ma entriamo nel dettaglio di quella che è l'attività all'interno di un call center e delle vicissitudini che un'operatrice deve affrontare per guadagnarsi la giornata.

Una volta arrivata a Cinecittà per entrare nei locali di Atesia devo adoperare il badge, sul quale non c'è nessun segno distintivo, perciò sembra che mi muova nel più completo anonimato. Bisogna dire che le postazioni utilizzabili, cioè computer e telefono funzionanti, sono un numero inferiore rispetto agli operatori, così come tutti sono costretta a vagabondare per tutte le sale (l'area nella quale avviene l'attività è divisa per più piani, perciò è necessario avere il fiato lungo e le gambe robuste), alla caccia di una postazione adatta, altrimenti sono obbligata ad andare via con euro zero in tasca (un'evenienza più che concreta).
 
Una volta conquistata una postazione generalmente devo far pulizia di carte o buste di patatine rimaste sul tavolo, ma senza riuscire a migliorare la situazione in modo apprezzabile: di certo non posso far nulle per cose come il grasso sui cavi del computer. Le condizioni igieniche in certi luoghi sono pessime e mal curate non solo dall'impresa, ma anche dagli stessi lavoratori e lavoratrici. Le postazioni sono piene di scritte e le sedie sono macchiate in modo vistoso, perciò si continua a girare per le diverse sale alla ricerca di una sedia più pulita, o quantomeno non molto sporca, con lo schienale a posto ed entrambi i braccioli. Insomma prima di inserire cuffia e microfono e di accedere alle telefonate, devo cercare di rendere un po' più vivibili i locali che mi "ospiteranno" per un po' di ore.
 
Le mie mansioni le svolgo davanti al computer attraverso il quale rispondo alle chiamate inbound, cioè telefonate per reclami, questioni amministrative, attivazioni o cessazioni di prodotti, servizi, tariffe, o altro. Il rapporto che stabilisco con il cliente per il tempo della chiamata è relativo al motivo della stessa e quindi in caso di reclamo sarà complicato applicare una gestione serena del contatto. La telefonata corre sul filo delle abilità individuali, perciò per un'operatrice più scaltra sarà semplice concludere in breve, magari con la vendita di un servizio e tergiversando sui costi aggiuntivi, mentre l'operatore meno qualificato avrà serie difficoltà a non farsi sopraffare dal cliente in linea.
 
Il rapporto con i clienti è fondamentale nel call center, particolarmente per una società telefonica con "ambizioni" commerciali. Ma l'attenzione affidata alla preparazione di noi operatori sul versante comunicativo è piuttosto sottovalutata, inefficiente. Durante i miei estemporanei confronti con gli assistenti raramente sono emerse considerazioni in merito alla centralità del cliente negli obiettivi aziendali, se non dal punto di vista puramente commerciale: o per trattenere il cliente con la società, convincendolo a non rivolgersi alle aziende concorrenti (peraltro accade anche che un cliente utilizzi altre aziende a sua insaputa, e cioè con un contratto sul quale la sua firma sia falsificata), o per vendere un prodotto, o per applicare una nuova tariffa.

In prima battuta il lavoro al telefono richiede un approccio comprensivo dei problemi o delle domande dei clienti, con l'obiettivo (spesso mancato) di poter risolvere le difficoltà, ma successivamente i termini del discorso si capovolgono letteralmente. Io ho sempre cercato di instaurare dei rapporti telefonici non finalizzati alla vendita del marchio Telecom (visto il disinteresse che provo per la vendita in genere), ma centrati sulla risoluzione dei problemi, ma dopo anni di esperienza sono giunta alla definitiva conclusione dell'impossibilità della soluzione immediata delle questioni, per motivi di scelta aziendale. Non a caso per molte questioni irrisolte (amministrative, gestionali, etc.) spesso si ricorre al fax o alla lettera da spedire direttamente ai responsabili delle filiali, i quali, visti i numerosi clienti, hanno dei tempi di soluzione non sempre in "tempo reale".
 
Spesso è successo di rispondere a telefonate "difficili", per esempio la bolletta è troppo "salata" e i conti non tornano, e allora bisogna rispondere con tranquillità alle contestazioni, convincendo l'interlocutore dall'altra parte del telefono di essere in errore. Accade che qualcuno mantenga questa linea anche se magari si accorge dell'attivazione di un servizio mai richiesto dall'intestatario della linea. Tuttavia il servizio 187 inbound rappresenta per i clienti di Telecom l'unico riferimento concreto al quale far presente le proprie difficoltà e perciò su noi operatori gravano tutte le inefficienze delle aziende, soprattutto quando siamo accusati di negligenza (le offese sono il leit motiv delle telefonate e quindi dovrei dilungarmi troppo sui torti e le minacce ricevute, da parte dei clienti, negli anni di lavoro in Atesia). Il cliente crede nella centralità del telemarketing operator e non ammette ulteriori rimandi. Non accetta l'idea che il problema possa derivare da altre carenze organizzative della Telecom ed è convinto che l'inettitudine di noi operatori sia il problema fondamentale.
 
Noi centralinisti non possiamo assolutamente chiarire l'esatta misura del contesto aziendale e siamo sempre noi che dobbiamo riappacificare il cliente con la società telefonica. Da qui è facile capire la qualità del nostro lavoro e del servizio reso ai clienti. A conferma di ciò posso raccontare di quando un pomeriggio, mentre mi avviavo al lavoro, incontrai sulla porta dell'edificio un amico, il quale mi istruì sulle possibilità infinite del nostro lavoro: "…ma divertiti, attiva qualcosa ai clienti, non so un'adsl, vendi un videotelefono al modico costo di 200 euro; attiva il pacchetto sconto con il canone mensile più elevato. Se qualche cliente ti fa arrabbiare o è un maleducato tu attiva…così aumenta la bolletta telefonica e prima che cancelli i servizi dalla sua linea ci vorranno mesi". Teniamo presente che la modalità di pagamento degli operatori è il cottimo, quindi va da sé che tutto questo deve svolgersi nel minor tempo possibile.

Una questione molto importante in Atesia come in qualsiasi altro call center è il tempo di lavoro. L'orario standard è diviso in quattro fasce: mattina, pomeriggio, sera e notte, grosso modo di cinque ore ognuna, ma effettivamente l'orario di lavoro può dilungarsi (in questo caso si parla di "estensione della propria fascia di attività", senza obbligo di comunicarlo agli assistenti) o al contrario stringersi, tutto dipende dalla quantità di telefonate registrate e dai compensi assommati. Un'attività complessa che richiede un'operosità, come dicono nei briefing, "efficiente, serena, propositiva, esaustiva", ma soprattutto nel tempo più breve possibile. Quando si viene pagati 0,57 centesimi di euro lordi a contatto utile è sicuramente meglio registrare 10 telefonate in un'ora che in due; ciò permette di dilungarsi con un cliente quando si pensa che ci sia la possibilità di vendere qualcosa, perché in questo caso il valore retribuito subirebbe un aumento.
 
Ma essere un'operatrice in un call center significa essere una lavoratrice atipica, quasi mutante, pronta ad adeguarsi a ogni cambiamento, a ogni offerta e perciò ci sono delle 'variabili' da considerare continuamente. Così negli ultimi due anni la società ha adottato un'organizzazione produttiva più restrittiva, disponendo una riduzione delle tariffe di 10 centesimi e la retribuzione solo delle telefonate che avessero superato il minuto di tempo, un controllo quasi individuale di operatori e operatrici e una sollecitazione incalzante a vendere i prodotti firmati Telecom.

Le relazioni che instauro con i miei "colleghi" subiscono la flessibilità degli orari dei turni, ma non solo. Infatti la quantità di telefonate in entrata varia a seconda delle finalità di Atesia, per cui non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. L'incognita del futuro non fa altro che agevolare una socialità frenetica, frastagliata, impersonale, nella quale gli scambi umani sono costretti dai tempi e dagli argomenti di lavoro. Inoltre la diffidenza che contraddistingue i legami sorti tra le postazioni, si rispecchia nei grandi "affetti" che segnano i rapporti tra i centralinisti e gli assistenti. 

All'interno delle sale sono collocati i box, fatti in plexiglas, dentro cui lavorano gli assistenti e i supervisori di Telecom e Atesia; la porta è quasi sempre aperta e perciò accessibile a chiunque. Siamo obbligati a darci del "tu" con i coadiutori, indifferentemente dal ruolo e dall'età anagrafica, perché il loro lavoro è quello di "facilitare la nostra attività", le nostre mansioni. Effettivamente questa disposizione della struttura aziendale non fa altro che facilitare una serie di dinamiche di affiliazione, di lacerazione tra le operatrici e gli operatori, a favore di una socialità sviluppata intorno a circostanze fondamentali in un contact center: la possibilità di una conferma contrattuale (ogni 3 mesi c'è il rischio di licenziamenti, senza preavviso e senza giusta causa), piuttosto che l'eventualità di accedere a campagne promozionali più remunerative, o anche l'occasione di svolgere il ruolo di delatore nei confronti dei "colleghi" per ingraziarsi un assistente. L'azienda e la forza lavoro si controllano reciprocamente senza più complesse sovrastrutture gerarchiche di sorveglianza: nessuno (formalmente) è controllato, perché tutti ci sorvegliamo l'un l'altro, indistintamente!
 
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Mercoledì, 4. Maggio 2005
 

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