La vittoria fragile di Biden

La profondità della crisi ha giocato a favore del Partito democratico. Ma i repubblicani non si rassegneranno alla sconfitta. La prima prova saranno le elezioni di medio termine del 2022. Solo se la nuova presidenza sceglierà la strada di un reale cambiamento il successo sarà consolidato; altrimenti si ripeterà ciò che è accaduto con Clinton e con Obama

Donald Trump ha alla fine ha concesso la vittoria a Joe Biden, il presidente eletto degli Stati Uniti. In effetti, la sua vittoria era stata ampiamente prevista. L'aspetto più significativo è che Biden ha vinto con la più alta affluenza alle urne dell'ultimo secolo, non ostante Trump abbia accresciuto i voti rispetto al 2016 quando conquistò la presidenza.

La leva della politica americana è nelle mani di un presidente democratico nel mezzo della crisi più grave d'America dalla seconda guerra mondiale, non a caso talvolta considerata più grave di quella dei primi anni '30. La profondità della crisi è stato un collante per il Partito Democratico. Lo straordinario numero di voti ottenuti, rispetto ai precedenti storici, è stato anche il risultato dell'elevata affluenza alle urne di elettori democratici che, nelle primarie per la selezione del candidato democratico, si erano schierati con Bernie Sanders, esponente della sinistra del partito.

Trump ha visto, tuttavia, aumentare i suoi voti rispetto al 2016, quando conquistò la presidenza, ottenendo un risultato di gran lunga al dì sopra delle previsioni che lo davano irrimediabilmente perdente. Motivare i voti conquistati da Trump con il paradigma del populismo non ha senso quando oltre settanta milioni di voti hanno continuato a premiare il candidato repubblicano.

Durante la presidenza di Trump gli Stati Uniti hanno registrato una crescita elevata fino alla vigilia della pandemia. L’occupazione era cresciuta in generale e in  modo particolare per le donne. È un‘opinione largamente diffusa che Trump avrebbe ottenuto il secondo termine, senza il catastrofico attacco della pandemia nella primavera del 2020 di fronte alla quale Trump si è dimostrato inetto e autopunitivo, negandone la portata, gli effetti economici e le conseguenze umane.

Biden, consapevole della necessità di conservare i voti della sinistra democratica, non ha esitato a spostare l’asse della sua piattaforma programmatica verso sinistra  La ripresa non può essere fronteggiata con interventi tradizionali. La spesa pubblica diventa una componente essenziale, e i repubblicani, controllando il Senato, sono in grado di contrastare l’iniziativa del governo nel tentativo di sterilizzarne gli aspetti socialmente più rilevanti: dagli investimenti pubblici destinati alla ripresa dell’occupazione, alla spesa sanitaria, all’aumento del salario minimo orario a 15 dollari - aumento che deve essere tuttavia varato a livello dei singoli Stati.

Biden, che ha una quasi cinquantennale esperienza parlamentare e di governo, come vice-presidente di Obama, punterà a una linea di appeasement sperando di ottenere un atteggiamento moderato da parte repubblicana. Ma potrebbe essere una speranza vana senza una forte mobilitazione popolare che in altre occasioni è mancata alle presidenze democratiche.

Non a caso le vittorie elettorali del Partito democratico si sono spesso dimostrate fragili. Bill  Clinton vinse contro Bush padre, erede del reaganismo, alimentando grandi speranze di cambiamento. Ma furono rapidamente deluse. La politica economica, guidata da Lloyd Bentsen, ministro del Tesoro, e da Alan Greenspan alla testa della Federal Reserve, fu mirata alla riduzione del disavanzo e del debito accumulato dalle amministrazioni repubblicane. La conseguenza fu un rallentamento della crescita e un aumento della disoccupazione. La riforma sanitaria confusamente architettata da Hillary Clinton dovette essere ritirata. E, alle prime elezioni di mezzo termine, dopo appena due anni dall’insediamento di Bill Clinton, il Partito democratico perse la maggioranza in entrambi i rami del  Congresso – ciò che non si era verificato da molti decenni. Robert Reich, espressione della sinistra democratica e ministro del Lavoro, abbandonò il governo dopo il primo mandato.

L’elezione nel 2008 di Barack Obama, che aveva vinto il confronto con Hillary Clinton, fu ancora un successo democratico che alimentava grandi speranze di cambiamento. In quella che era considerata la più grave crisi economica e sociale del secondo dopoguerra decise un intervento pubblico significativamente al di sotto delle indicazioni dei maggiori economisti americani di parte democratica, fra i quali Stiglitz e Krugman. Questo rallentò la ripresa e la lotta alla disoccupazione.

Riprendendo il tema della riforma sanitaria, cavallo di battaglia dei democratici dai tempi di Johnson, Obama si attestò su una via di mezzo, limitandosi all’estensione di Medicaid , l’assicurazione per i poveri e le famiglie meno abbienti, con l’effetto di facilitare il compito ostruzionistico dei repubblicani e deludendo le attese della sinistra del partito che si era schierata per la universalizzazione di “Medicare”, l’assicurazione pubblica riservata alla popolazione di oltre 65 anni. Alla fine del primo biennio della presidenza i democratici persero la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e  videro drasticamente ridotta la rappresentanza al Senato.

Il Partito repubblicano, pur non mancando di divisioni interne, ha sempre ritrovato una sostanziale unità elettorale sui temi tradizionalmente coltivati dalla destra americana, come la riduzione delle imposte e della spesa pubblica, la piena liberalizzazione del mercato del lavoro, il contrasto all’immigrazione.  

La prima prova sarà  per Biden la rimarginazione delle profonde ferite lasciate dalla pandemia che si rifletteranno sull’occupazione e sulle condizioni di vita dei ceti medi, della classe operaia e degli strati più poveri. Se la sinistra del partito dovesse essere ancora una volta emarginata e il valore della grande mobilitazione popolare che ha consentito la vittoria democratica andasse dispersa, il successo del Partito democratico si mostrerà precario come altre volte è successo nel passato.

La fiducia riposta nella presidenza democratica è condizionata all’attuazione di una politica di profondo rinnovamento. L’esecuzione di una politica rinnovatrice non sarà in ogni caso priva di ostacoli. I repubblicani che conservano la maggioranza al Senato condurranno una polisca ostruzionistica puntata alla sconfitta democratica nelle elezioni di medio termine nel 2022. Se i democratici cederanno a una politica di compromesso che sacrifichi le ragioni del voto di massa che ha consentito la loro vittoria si avvieranno lungo la strada che hanno già sperimentato a loro danno in passato, perdendo la maggioranza conquistata col voto popolare nelle elezioni presidenziali.

La storia dovrebbe ancora una volta essere di  insegnamento. Ma le esperienze passate mettono in guardia contro un ottimismo di maniera. E rendono incerte le previsioni che generalmente accompagnano il successo elettorale.

Lunedì, 21. Dicembre 2020
 

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