La riforma del Patto e le tentazioni di B.

L'accordo europeo è una buona cosa, che corregge l'impostazione neo-classica delle banche centrali. Ma l'opposizione dovrà vigilare perché Berlusconi non usi i nuovi margini di manovra per imitare le politiche di Bush
Diciamo subito che l'accordo sulla revisione del Patto di Stabilità è una buona cosa, per due motivi: il primo è che una rottura tra "duri" e "molli" avrebbe avuto pessime conseguenze (ponendo tra l'altro a maggior rischio l'approvazione della Costituzione nei referendum). Il secondo è che la nuova formulazione è, in linea di massima, quella che avrebbe dovuto essere fin da principio.
 Il Patto non era solo "stupido", come giustamente disse Prodi; era in realtà ispirato da una logica diversa da quella implicita nel Trattato di Maastricht. Nel Trattato infatti è chiaramente enunciata l'idea di un rapporto di equilibrio (fissato al 60%) tra debito pubblico e PIL. Se c'è un rapporto che si mantiene stabile tra due grandezze, una al numeratore (il debito) ed una al denominatore (il PIL), è chiaro che, al di là di oscillazioni temporanee le due grandezze devono crescere allo stesso modo. Nel Patto invece c'è, implicitamente, l'idea di un debito pubblico che cala in continuazione rispetto al PIL; non si arriverà magari mai a zero, ma è chiaro che se il bilancio deve essere normalmente in pareggio (a addirittura in attivo) la tendenza sarà ad un calo continuo. C'è insomma l'idea che il debito pubblico sia un "male", e che la politica migliore sia quella di estinguerlo: una visione alla Ricardo (due secoli dopo).
Le modifiche introdotte sono rilevanti: resta il limite del 3%, ma ora può essere superato non solo in caso di grave recessione, ma anche in quella di una prolungata stagnazione (cioè proprio la situazione che hanno sperimentato vari paesi europei dal 2001); l'elenco delle attenuanti è lungo: spese per missioni militari (chieste dalla Francia), per l'unificazione europea (chieste dalla Germania), per investimenti pubblici, e via elencando; i tempi per il rientro sono più ampi. 
E' chiaro che le grida di giubilo di Berlusconi e quelle un po' più contenute di Siniscalco sono fatte apposta per irritare i banchieri europei, che non hanno atteso un attimo per mostrare la loro contrarietà; ma c'era da aspettarselo, perché la visione della Banca Centrale Europea è perfettamente classica (o neo-classica): il bilancio pubblico deve essere in più possibile piccolo e inoltre in pareggio; è probabile che vi sarà una più decisa tendenza della BCE a rialzare i tassi.
L'opposizione non dovrebbe però spaventarsi né farsi prendere dalla tentazione di imitare i banchieri centrali; intanto lo sfondamento del 3% deve mantenersi in percentuali ridotte (tre o quattro decimi di punto, plausibilmente); come tendenza vi deve essere una riduzione di 0,5% l'anno del deficit strutturale. Piuttosto deve chiedere che la Commissione si doti di un organo tecnico di prestigio, che sappia compiere le necessarie valutazioni (che inevitabilmente comportano degli elementi di discrezionalità), in modo da ridurre i rischi di pastette politiche nel Consiglio. Vi sono infatti alcune attenuanti (riforma delle pensioni, incentivi all'occupazione) che possono essere sfruttate da governi di destra per compiere delle politiche volte a privatizzare la previdenza, diminuire le imposte, sostenendo che gli eventuali sfondamenti del deficit vanno perdonati.
E' contro la naturale tendenza di Berlusconi ad imitare Bush che l'opposizione deve battersi, denunziandone l'avventurismo sociale, così come ha denunziato giustamente tutti gli episodi di finanza creativa, condoni, vendite e riaffitto di immobili, e via declinando.   
  
Mercoledì, 23. Marzo 2005
 

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