Quante altre centinaia di morti e migliaia di feriti dovremo contare prima che il governo israeliano annunci di accettare una tregua? Ma anche allora dovremo chiederci qual è lorigine del massacro? Per una grande parte della stampa la risposta è ovvia. Hamas ha rotto la tregua, e ora ne paga le conseguenze. La domanda dovrebbe essere: perché Hamas ha rifiutato di rinnovare (non rotto) la tregua? La risposta per il governo italiano è sempre la stessa: Hamas è unorganizzazione terrorista. Dimenticando che Hamas controlla Gaza sulla base di un mandato popolare, in seguito a regolari elezioni democratiche che gli americani avevano imposto. Ma il punto non è questo.
A giugno, Hamas aveva stabilito col governo israeliano una tregua di fatto. Cosa è successo fra giugno e dicembre? Israele ha accerchiato Gaza, sigillandone le porte dingresso, bloccando i rifornimenti, mettendo in una condizione di intollerabile sofferenza un milione e mezzo di palestinesi. Gli Stati Uniti e lEuropa hanno assistito a questa violenza nei confronti di una popolazione inerme senza batter ciglio. Quando, a dicembre, Hamas ha dichiarato di non essere disponibile a rinnovare la tregua sulle stesse basi, in altri termini senza una garanzia di riapertura delle frontiere e di sopravvivenza del popolo di Gaza, e ha ripreso il lancio dei razzi contro gli insediamenti israeliani del sud del paese, si è scatenata la reazione israeliana.
Ma si è trattato di una crisi tuttaltro che estemporanea. Il ministro della difesa, Ehud Barak ha scritto lEconomist - aveva pianificato loperazione da mesi, molto prima della scadenza della tregua del 19 dicembre. Secondo il corrispondente per il Medio Oriente, Gian Micalessin del Giornale della famiglia Berlusconi - Ehud Barack ha fatto dei sei mesi di tregua il prezioso intervallo in cui tessere il grande inganno. Sotto la sua guida i servizi di sicurezza disegnano una mappa di tutte le infrastrutture militari di Hamas identificando arsenali, caserme, campi d'addestramento, nascondigli usati dai leader, tracciati dei tunnel sotterranei, bunker e postazioni di lancio per missili. Poi, il 18 dicembre Barack annuncia il piano di attacco aereo a Olmert, convinto di disporre delle informazioni necessarie per decapitare Hamas.
Non sappiamo se lobiettivo sarà raggiunto ed è, non ostante la brutalità dellattacco, improbabile - ma Barack, che è il capo del Partito laburista candidato alla direzione del governo nelle prossime elezioni di febbraio, ha già realizzato un suo personale successo. Nei sondaggi pre-elettorali, - informa Haaretz, autorevole giornale israeliano - il consenso alla sua candidatura è aumentato di quasi 20 punti passando dal 34 a al 53 per cento, con un clamoroso sorpasso nei confronti di Tzipi Livni, candidata di Kadima, il partito di Olmert, e di Netanyhau, il falco del Likud.
Scrive il Financial Times nel suo editoriale del 29 dicembre: La ferocia dellattacco di Israele alla sovrappopolata striscia di Gaza è in parte spiegata dallimminenza del voto Ma cercare di schiacciare Hamas dal cielo è controproducente (self-defeating) per altri aspetti. Esaspera ulteriormente i sentimenti degli arabi e del mondo islamico contro Israele e i suoi alleati americani, rafforzando il richiamo del radicalismo islamico. Ed è proprio su questo punto che la larga maggioranza della stampa italiana è muta.
Il politologo americano Samuel Huntington, recentemente scomparso, divenne famoso negli anni Novanta per la sua teoria sullinevitabile scontro delle civiltà. Prima l11 settembre, poi linvasione dellIraq sembrarono, in modo diverso, dargli ragione. Ma si tratta di conflitti inevitabili? Se guardiamo ai grandi paesi arabi, come innanzitutto lEgitto e lArabia Saudita, per non parlare dei piccoli petro-stati del Golfo, constatiamo che non hanno alcuna voglia di entrare in conflitto con lOccidente. Sono paesi che vivono allombra della protezione americana. Le loro classi dirigenti sono fatte di burocrazie che difendono lo statu quo e di un mondo degli affari, più o meno esteso, che aspira a entrare sempre più profondamente nei meccanismi della globalizzazione. Per loro Hamas, Gaza, più in generale i palestinesi, sono un dente fastidioso che non si riesce né a curare, né a estirpare. La teoria di Huntington si rivela astrattamente ideologica. Dal Maghreb alla penisola arabica non ci sono regimi arabi effettivamente pericolosi e bellicosi nei confronti dellOccidente.
Ma, da un altro punto di vista, la profezia del politologo americano presenta unoscura verità. Dappertutto crescono le radici di una ribellione latente, di una fuga nellidentitarismo islamista, nel rifiuto di tutto ciò che si presenta come modernizzazione, intesa come subalternità allOccidente. Per le masse arabe, e più in generale islamiche, la Palestina è il simbolo della prevaricazione, delluso illimitato della potenza militare, del disprezzo per un popolo oppresso. Hamas e Hezbollah sono il simbolo della resistenza. Quando leggiamo, con più o meno aperta soddisfazione di alcuni editorialisti nostrani, che il mondo arabo è diviso e impotente e che, prima o dopo, il governo israeliano avrà ragione dei terroristi di Hamas, non dobbiamo dimenticare che questa divisione, che è innanzitutto interna a ciascun paese, è il problema non la soluzione.Limpotenza dei regimi moderati nei confronti del conflitto israelo-palastinese, mentre si rafforzano al loro interno le radici del radicalismo islamico, non aiuta a consolidare il rapporto fra le due sponde del Mediterraneo.Da questo punto di vista, liniziativa di Sarkozy che cerca di coinvolgere lEgitto di Mubarak co-presidente con Sarkozy dellUnione mediterranea può rappresentare un primo passo importante.
Di fonte alla tempesta che si abbatte sulla Palestina, sarebbe, daltra parte, irresponsabile e, probabilmente, illusorio attendere un intervento messianico del nuovo presidente americano. Barack Obama, oltre ad affrontare la grave crisi economica interna, dovrà misurarsi con un inevitabile riposizionamento della politica estera. Dopo lo sganciamento dallIraq, il baricentro della politica estera americana nel Medio Oriente si sposterà verso lAfghanistan e il Pakistan. Se, daltra parte, Obama manterrà limpegno assunto nella campagna elettorale per un diverso approccio di tipo negoziale con lIran, Israele avrà a sua volta bisogno di un nuovo quadro strategico per venire a capo della questione palestinese. In altri termini, se lo scacchiere arabo-mediterraneo sarà per gli Stati Uniti importante ma non cruciale, il ruolo dellEuropa , senza più lalibi della delega agli Stati Uniti, risulterà in senso positivo o negativo, determinante per il futuro del Vicino Oriente..
Ma sappiamo anche che lUnione europea è divisa. Credo che bisognerebbe smetterla di piangere sulle divisioni e entrare nel merito delle alternative politiche. La repubblica ceca che ha in questo momento lo scettro dellUnione, insieme con altri paesi dellEst europeo, ha posizioni filo-americane di tipo oltranzista. Dallaltra parte, Sarkozy e molto importante, trattandosi si una svolta della politica britannica Gordon Brown sono schierati per una linea di mediazione attiva. Un dibattito aperto nell'Unione europea dovrebbe essere considerato fisiologico per arrivare a una decisione comune o, se si rivelasse impossibile, allassunzione di responsabilità distinte. La cosa peggiore è lunità nella finzione.
Un dibattito politico esplicito allinterno dellUnione europea renderebbe chiare le posizioni e le alternative, togliendo il velo allignavia e alle furbizie. Il dibattito politico italiano se ne avvantaggerebbe sicuramente. E la sinistra italiana potrebbe sfidare senza reticenze il governo Berlusconi nascosto dietro la pavida inconsistenza del suo ministro degli esteri.