Ma quanto guadagnano questi pensionati? Se dopo tre riforme in dieci anni si continua a parlare di tagli alla previdenza, del fatto che lItalia spende troppo, uno magari simmagina una schiera di benestanti che gravano sui lavoratori e i contribuenti a causa di conteggi troppo generosi fatti nel passato.
Le cose non stanno proprio così. Prendiamo i dati Inps sui 14.400.000 vitalizi in pagamento al 1° gennaio 2003. Ebbene, più di 12,1 milioni, pari all84%, sono sotto i mille euro al mese (lordi, naturalmente). Anzi, circa 7,3 milioni (il 50,6%) sono addirittura sotto i 500 euro. Allopposto, a prendere da 2000 euro in su sono appena 262.000 persone, l1,82% del totale. Stiamo parlando, attenzione, di pensioni calcolate per la maggior parte con il sistema retributivo (quello pre-riforme, più favorevole) e da questi conti sono escluse pensioni e assegni sociali e assicurazioni facoltative.
Il convento è povero, ma i frati sono ricchi, diceva Rino Formica parlando del partito e dei politici socialisti. Qui sembra che accada il contrario: il convento, cioè lInps, è ricco, almeno nel senso che costa molto, ma i frati, cioè i pensionati, sono poveri. Comè possibile?
Bisogna considerare che in quei dati cè tutto il mondo delle integrazioni al minimo e di tutti quegli ex lavoratori (soprattutto donne e autonomi) che hanno avuto carriere molto brevi, dice Ruggero Paladini, economista e in passato per molti anni consigliere del ministero del Tesoro. E anche le pensioni di reversibilità, che, quando linteressato prende anche una sua pensione, vengono concesse con importi ridotti. Lintegrazione al minimo spetta a chi, nonostante che abbia versato contributi, ottiene un vitalizio che non raggiunge i 400 euro circa. Fino al 94 si dava in ogni caso, ora scatta solo quando, considerando anche il reddito del coniuge, si resta sotto una cifra pari a quattro volte il minimo.
E poi con il passare del tempo le pensioni diventano sempre più basse in termini relativi, osserva Beniamino Lapadula, responsabile per le politiche economiche della Cgil. Con la riforma del 92 è stato abolito laggancio ai salari minimi, così adesso si rivalutano solo dellinflazione e quindi non partecipano alla crescita della ricchezza del paese".
Queste osservazioni spiegano in parte il problema, ma non completamente. Da unaltra tabella dellInps si può ricavare la distribuzione per anzianità contributiva. Vengono prese qui in considerazione solo le pensioni liquidate con il sistema retributivo, che sono poco più di 8,4 milioni. I percettori che hanno versato fino a 20 anni di contributi sono 2,8 milioni, esattamente un terzo. Quelli nella fascia da 30 a 40, invece, sono 3,8 milioni, ossia più del 45%. Ma tra tutti costoro, quelli che superano i 1.250 euro al mese sono solo 1,1 milioni, cioè il 13%. Insomma, tranne una piccola parte le pensioni sono basse, spesso drammaticamente basse.
Come mai, allora, da anni siamo alle prese con il problema della spesa previdenziale, che, si è detto, è troppo alta rispetto alla media europea, tanto da mangiarsi quasi tutta la spesa pubblica per prestazioni sociali? Se i sussidi di disoccupazione sono praticamente inesistenti, si è ripetuto tante volte, se gli aiuti alle famiglie sono scarsi, se gli ammortizzatori sociali sono carenti, è perché si spende troppo per le pensioni e al resto rimangono le briciole.
Io ripeto da anni che si tratta di affermazioni sbagliate, sostiene leconomista Roberto Pizzuti. Le percentuali di spesa previdenziale rispetto al Pil che si trovano nei confronti Ocse ed Eurostat sovrastimano la spesa italiana e in molto casi sottostimano quelle degli altri paesi. Per esempio in quella percentuale veniva compreso anche il Tfr, un istituto che cè solo in Italia e che con la previdenza non ha nulla a che fare: basta togliere quello, e come per incanto la spesa scende di 1,5 punti di Pil. Poi non si tiene conto del fattore fiscale, diverso da paese a paese. In Italia sulle pensioni si pagano le tasse (che quindi sono soldi che rientrano nelle casse dello Stato e dovrebbero essere detratte dalla spesa previdenziale), in Germania no, in Francia cè una tassazione bassissima, circa il 2%. In Inghilterra è molto diffuso il ricorso a Fondi pensione in alternativa alla previdenza pubblica: lo Stato lo favorisce con aiuti fiscali, che però, essendo un mancato incasso e non una spesa, non vengono considerati nei conti della previdenza; lo stesso accade per i lavoratori autonomi tedeschi.
Unaltra faccia del problema è la distinzione tra previdenza e assistenza, su cui, non a caso, i sindacati si stanno battendo da anni. Se una serie di provvedimenti, magari lodevoli e a volte necessari, vengono posti a carico dellInps senza che vengano finanziati in modo specifico, è chiaro che poi i conti non tornano. Un esempio classico è quello dei prepensionamenti, uno strumento usato con grande larghezza in passato, ma a cui ancora in misura minore si fa ricorso. Nei casi di gravi crisi aziendali era normale far fronte ai licenziamenti concedendo ai lavoratori meno giovani ma spesso si è trattato di cinquantenni uno scivolo per farli andare in pensione anticipata. Un provvedimento che può essere considerato di politica industriale (dal punto di vista del salvataggio delle imprese) o di politica sociale (da quello del sostegno a lavoratori a volte difficilmente ricollocabili), ma che non ha nulla a che vedere con previdenza, sui cui conti, però, finivano per gravare i costi.
In passato cerano ben altri esempi di sperpero previdenziale: fino a meno di venti anni fa gli impiegati pubblici potevano andare in pensione di anzianità lavorando appena ventanni (per le donne il trattamento era ancora più favorevole: bastavano 14 anni, sei mesi e un giorno). Si sono creati così moltissimi pensionati ancora trentenni, che avendo lavorato 20 anni avrebbero preso la pensione almeno per altri 40. E poi cè tutta la lunga lista dei contributi figurativi, cioè contributi non pagati ma che vengono considerati lo stesso. Ancora oggi a chi lavora alla Camera viene regalato un anno ogni quattro di lavoro.
Alberto Brambilla, sottosegretario al Welfare, ha fatto un lavoro di riclassificazione della spesa sociale. Ne vengono fuori risultati di grande interesse: la spesa previdenziale vera e propria non è sopra, è sotto la media europea, mentre la spesa per assistenza e altri provvedimenti di welfare non è misera come sembrerebbe dai dati attuali. Il governo, finora, si è guardato bene dal prendere in considerazione questo studio.
Alla luce di questi dati, insomma, i problemi della spesa previdenziale sembrerebbero aver bisogno di unimpostazione assai diversa da quella data dal governo. Anche perché, dopo le riforme degli anni 90, le pensioni future saranno più basse di quelle attuali che abbiamo visto come sono mediamente del 20%. Tra qualche anno bisognerà ricominciare a discutere di pensioni: di come aumentarle, però.