La marcia di Radetzky

Composta da Strauss per celebrare una vittoria mentre l’impero cominciava a traballare e tutto intorno era “scoppiato un ‘48” (il 1848), fa pensare a una serie di provvedimenti del nostro governo, che proclama la sua modernità ma i cui atti sanno di retrò

La marcia di Radetzky fu considerata l'espressione musicale dei tentativi di puntellare il traballante Impero austro-ungarico con una sorta di fuga verso le glorie del passato, celebrando le alterne fortune di un grande generale. Il governo in carica da tempo manifesta, nei fatti, una predisposizione ai viaggi nel passato, proprio mentre proclama ogni giorno la sua straordinaria modernità. Una miriade di provvedimenti di questo tipo riguardano la sicurezza, l'ordine pubblico e la giustizia. Fra ronde, pattuglie dell'esercito in città, sospensione o soppressione di processi, riduzione delle intercettazioni, il cittadino attonito si sente all'interno di un romanzo sull'epopea della Filibusta.

 

Ma anche una serie di provvedimenti a carattere economico e amministrativo scandiscono i tempi di un notevole balzo all'indietro. Citiamo a caso, scegliendo fior da fiore, il ritorno del centralismo napoleonico con la creazione di una miriade di commissari di governo (per i terremoti, per le emergenze, per le carceri, per i vaccini, per la localizzazione delle centrali nucleari, etc.). Ma come non ricordare il ritorno dei grembiulini, con una riforma della scuola stile anni '50, ma con un forte dimagrimento delle ore di lezione o quella dell'Università, che richiama i trionfi dei baroni di molti decenni fa. Le stesse riforme istituzionali più gradite alla maggioranza si muovono in realtà nella direzione di una monarchia neppure tanto costituzionale.

 

Il campo in cui le pulsioni retrò raggiungono, peraltro, l'eleganza  di una compiuta sinfonia è quello della riforma fiscale, preannunciata e periodicamente resuscitata con rullo di tamburi da un quindicennio. La sua struttura concettuale si articola su pilastri costruiti in una serie di scritti di Tremonti, che si snodano nell'arco di quasi un ventennio. I due pilastri principali sono: a) la semplificazione; b) lo spostamento del carico fiscale "dalle persone alle cose".

 

l primo si riferisce da un lato alla riduzione dei cosiddetti "costi di transazione" e dall'altro all'adozione di solo due aliquote tributarie. I costi di transazione sono, per la pubblica amministrazione, quelli di accertamento, controllo, lotta all'evasione, contenzioso e gestione; per il contribuente sono rappresentati dalle perdite di tempo e dagli onorari degli avvocati, dei commercialisti nonché dagli stipendi del personale impiegato nella tenuta della contabilità fiscale. E' evidente che qualunque intervento in questo campo è il benvenuto. Tuttavia, al di là del profluvio di dichiarazioni, non mi sembra che siano stati compiuti decisivi passi avanti, se non nei confronti delle partite IVA, con quei "forfettoni" che consentono imponibili al limite del ridicolo, a cui ha dato ampio risalto anche la stampa asservita.

 

Il secondo obiettivo - drastica riduzione del numero delle aliquote - è un antico sogno degli scienziati della finanza e rientra nella più vasta utopia secondo la quale esistono soluzioni semplici per problemi complessi, come la spada di Alessandro per tagliare il nodo di Gordio. Per seguire il filone citazionista con il quale da qualche tempo Tremonti infioretta le sue allocuzioni, ricordiamo il dibattito degli anni '50 sull'imposta unica, che vide in Kaldor un accanito sostenitore e generò la sterminata letteratura sulla cosiddetta flat-tax. Ma la riduzione del numero delle aliquote o è una mistificazione - una o due aliquote accompagnate da una miriade di deduzioni o detrazioni - o è un maldestro tentativo di mascherare la riduzione della progressività a favore dei ceti medio-alti: tanto per cambiare, in contrasto con uno specifico articolo della Costituzione (quello sulla capacità contributiva). Su questo specifico aspetto rinviamo il lettore al puntuale ed efficace articolo di Ruggero Paladini, di cui condividiamo completamente argomentazioni e conclusioni.

 

Ma dove la fuga in un passato ancor più lontano è evidente consiste nel trasferire in tutto o in parte il peso della tassazione "dalle persone alle cose". Questa ipotesi cozza contro i presupposti dell'attuale contratto sociale. Stiamo forse riesumando Giovanni Senza Terra o - guarda un po' - Ghino di Tacco? Essa inoltre non è coerente con la finanziarizzazione dei sistemi economici contemporanei.

 

Questa proposta però ha un suo fascino, come vedremo, perverso. Infatti se l'attuale sistema impositivo, basato su un mix di imposte sulle persone e sugli scambi, dà come risultato un forte peso su lavoratori dipendenti e pensionati ed uno proporzionalmente minore su evasori ed elusori ben presenti nel popolo delle partite IVA, l'idea di tassare "le cose" (merci, case, servizi, etc.) parrebbe interessante. Si tratta, ancora una volta, di vendere lucciole per lanterne e di guardare al dito e non alla luna. Ad uno spostamento del carico fiscale dalle persone alle cose si frappongono tre ostacoli.

 

In primo luogo i vincoli europei non consentono sensibili modifiche alle aliquote IVA. In secondo luogo, quelle che colpiscono, anche alla fonte di produzione, beni e servizi tendono a trasferirsi sul consumatore finale secondo un percorso tendenzialmente iniquo. Esse infatti hanno maggiori possibilità di traslazione in avanti nel caso di beni o servizi a domanda rigida (ad esempio, medicine, assistenza agli anziani) e comunque sui consumatori dotati di minore elasticità territoriale negli acquisti. Alludiamo a quelli che non possono comprare sui mercati esteri, e cioè i poveri, gli anziani e, naturalmente, gli anziani poveri. In terzo luogo, per poter mantenere un minimo di equità sociale le aliquote dovrebbero differenziarsi per tipologie di consumi. Ciò produrrebbe non solo complicazioni senza fine, ma anche situazioni quasi comiche, tassando ad esempio severamente un povero che si concedesse una fetta di salmone e poco o nulla un benestante che si sbafasse una bella amatriciana.

 

Una prima conclusione a cui possiamo pervenire è che il sistema attuale appare preferibile, con quelle correzioni che il governo Prodi, rovesciato dal popolo sovrano, si accingeva ad introdurre. Ne ricordiamo due: la tracciabilità, che consentiva un controllo più puntuale dei flussi finanziari e, quindi, dell'evasione; la detraibilità di certe categorie di spese anche per lavoratori dipendenti e pensionati, o una quota ragionevole di detrazioni forfettarie di spese per la produzione del reddito, accompagnata da un rigoroso controllo dei costi deducibili per le partite IVA. Esemplificando, nel primo caso dovrebbero potersi detrarre le spese per recarsi al posto di lavoro con il mezzo più rapido consentito, nonchè, per i pensionati con livelli di reddito medio-bassi, le spese mediche nella loro totalità. Per contro occorrerebbe verificare che spese a carattere personale non vengano scaricate come costi aziendali, cosa che spesso accade.

 

Un discorso a parte vale per le "rendite finanziarie", antico bersaglio della sinistra radicale. Se si allude alla tassazione dei dividendi, essa appare bassa solo perchè non si tiene conto delle aliquote che già hanno gravato sull'utile lordo delle imprese. Si vedrà, allora, che il livello supera il 50%. Nel caso dei titoli pubblici si può obiettare che si tratterebbe comunque di una partita di giro. Diverso il caso delle plusvalenze finanziarie, per le quali sarebbe probabilmente opportuno un accordo a livello internazionale (la cosiddetta Robin Tax).

 

Riprendendo una recente affermazione dello stesso Tremonti, è corretto ritenere che una redistribuzione del carico fiscale (a cui credo egli non pensasse proprio) è tanto più agevole quanto più il livello generale della tassazione si attenua. Per far ciò occorre tenere sotto controllo la spesa corrente, eliminando i cosiddetti "sperperi". Al di là della foga declamatoria con la quale il governo presenta la sua azione come un ininterrotto spettacolo teatrale, non sembra che questa severità fiscale sia nelle corde di questa maggioranza. Essa passerà alla storia come una di quelle che hanno favorito una catena ininterrotta di sperperi colossali. Ne citiamo alcuni: regali di libri con copertine in marmo; 300 milioni sperperati alla Maddalena; un miliardo e mezzo di consulenze in gran parte superflue, secondo la Corte dei Conti; mancata abolizione delle Province e rinvio della riduzione del numero dei consiglieri comunali; invio di generi alimentari e strutture sanitarie ad Haiti con una portaerei da 27.000 tonnellate, con 800 uomini di equipaggio, al costo di 200.000 euro al giorno in navigazione e solo - si fa per dire - 120.000 euro alla fonda. Frattanto, danzando sulla tolda del Titanic della crisi, una ministra offre bonus vacanze a pensionati al minimo, cassintegrati e disoccupati.

 

L'ultima considerazione è amara. Nell'attuale sistema massmediatico, i privilegiati dal fisco godono, proprio per questo privilegio, dei mezzi finanziari per controllare le informazioni e, quindi, in larga misura, il voto. I tartassati, dunque, secondo la teoria di Dahrendorf, essendo minoranza politica, risultano, citando una icastica espressione partenopea, "cornuti e mazziati". La filosofia sottostante i progetti di riforma fiscale e di eventuale riduzione delle tasse non può che rispecchiare gli interessi del blocco sociale su cui poggia una classe politica. Non a caso Tremonti, alla domanda se e quando intendesse abbassare la pressione tributaria, ha risposto: "Non prima dell'avvenuta ripresa economica, perché non intendo fare della macelleria sociale". Con ciò implicitamente ammettendo che qualunque riduzione delle imposte dovrebbe avere come contropartita una minore spesa a favore dei ceti sociali più deboli. L'ipotesi di un massiccio recupero dell'evasione non lo sfiora neppure. Questo atteggiamento caratterizza l'attuale fase di politica fiscale e di politica tout-court. Tenendo conto dei condoni di vario genere e delle prescrizioni brevi anche a favore di reati societari, si può scherzosamente ritenere che nel piano di edilizia carceraria gli ingressi negli istituti di pena saranno dotati di porte girevoli, per favorire il rapido ingresso e l'ancor più rapida uscita dei "bad boys" con  colletti bianchi o coppole nere.

Domenica, 21. Febbraio 2010
 

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