La manovra della macelleria delegata

Quasi metà della stretta grava sui lavoratori pubblici e i pensionandi, tutto il resto sugli enti locali: la “macelleria sociale” dovranno farla loro. Il complesso dei tagli ai bilanci pubblici in Europa ammonta a 300 miliardi: l’effetto depressivo è garantito, la stagnazione sicura

Trecento miliardi. A tanto ammontano le strette dei bilanci pubblici in Europa, per i prossimi due anni. La manovra di Tremonti, accettata a denti stretti da Berlusconi, di venticinque miliardi non è la peggiore, rispetto ad esempio a quella britannica o francese (in Germania poi si sono auto-imposti il pareggio di bilancio nel 2016, quindi con tagli complessivi di una cinquantina di miliardi). In effetti per scendere sotto il 3% tra due anni all’Italia servono tagli minori che agli altri paesi, dove il bilancio è stato usato per frenare la recessione. Infatti l’altra medaglia della moderazione di Tremonti è stata una caduta di gettito che, come ha testimoniato l’Istat, è risultata la peggiore tra i paesi europei.

 

Il peso della manovra grava sui lavoratori pubblici; quelli col “posto fisso” rimarranno a stecchetto per un triennio, ma quelli precari (che sono tanti) finiranno spesso e volentieri a spasso. Grava anche sui lavoratori prossimi alla pensione, ed in entrambi i casi si tratta di un po’ più di cinque miliardi, quindi per 10,5 miliardi complessivamente. Oltre la metà della manovra (poco meno di quindici miliardi) si concentra su Regioni ed Enti locali. I dieci miliardi in meno alle Regioni riguardano tutte le spese al di fuori della sanità, oggetto di strette già messe in atto. Poiché i tre quarti della spesa regionale riguarda proprio la sanità, i tagli si concentrano su un volume di spesa relativamente ridotto, su settori che vanno dall’assistenza alla scuola. Si tratta di mission impossible, come hanno subito detto sia Errani che Formigoni (l’unico entusiasta è stato Zaia, probabilmente come esponente della Lega, più che come presidente del Veneto).

 

A conclusione del quadro vi è la sanatoria sugli immobili, che è passata da valutazioni (di fonte governativa) da cinque miliardi ad un solo miliardo. Questo condono sembra fare da pendant rispetto alle misure di contrasto all’evasione, che Berlusconi pare abbia sofferto particolarmente, perché resuscitano, anche se solo parzialmente in tema di tracciabilità, i provvedimenti Visco-Bersani dell’estate 2006.

 

La manovra presenta una sua astuzia politica: viene giustificata come un obbligo verso l’Europa, e si afferma che non si “mettono le mani nelle tasche degli italiani”. Se poi lo faranno Regioni ed Enti locali saranno affari loro; la “macelleria sociale” non riguarderà il governo. Viene sottolineato il peso addossato ai dipendenti pubblici, dove i partiti della maggioranza non sono particolarmente forti. Vi sono poi i contentini dei tagli ai politici, alti burocrati, magistrati e simili; qui va ricordato che per ogni mille euro di taglio delle remunerazioni, il fisco perde 430 euro di Irpef, ed anche Regioni e Comuni perdono circa 15 euro di addizionali.

 

Un po’ di fumo negli occhi degli operatori finanziari internazionali la manovra lo getta; ma quanto ci metteranno a capire che di misure di lungo periodo non c’è quasi nulla, a parte l’accelerazione dell’aumento dell’età pensionabile delle dipendenti pubbliche?

 

In quanto economista, non posso non ricordare il vero e proprio colpo di mano compiuto sull’Isae; si approfitta dell’emergenza per mettere a tacere un istituto di ricerca che produce importanti analisi economiche, mentre in Europa ci si muove esattamente nella direzione opposta.

 

Torniamo ai trecento miliardi di tagli di bilancio in Europa: l’effetto depressivo delle manovre messe in atto in tutti i paesi è talmente evidente che non c’è bisogno di sottolinearlo: la domanda interna europea sarà stagnante, e l’unica consolazione sarà un euro più basso sul dollaro, che aiuterà le esportazioni. Ma la prospettiva sarà quella di un una crescita anemica, di una disoccupazione crescente soprattutto a livello giovanile. Il bello è che tutto ciò non è stato determinato dal settore pubblico (né in Europa né negli Usa), ma dal settore finanziario, che dopo essere stato salvato, sta facendo profitti, tra l’altro, “andando corto” sui titoli greci, spagnoli e via declinando.     

Venerdì, 28. Maggio 2010
 

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