La manovra anticrisi-bis vista da vicino

Il governo dichiara 18 miliardi di euro di opere pubbliche, 9 per il sostegno delle piccole e medie imprese, 9 per la Cassa Integrazione e 10 per i Tremonti-bond. Ma a parte che una quota rilevante era già stanziata, nei vari punti si trovano non poche incongruenze rispetto agli obiettivi dichiarati

Uno degli effetti positivi della crisi mondiale è il ritorno - dopo le follie che hanno creato futures per un importo pari a 24 volte il Pil (2.400 prenotazioni per un aereo da 100 posti!) - a quella che potremmo definire "l'economia di Bertoldo", e cioè il recupero di un solido buon senso nell'analisi dei fenomeni economici. Con questo criterio esamineremo la recente manovra anticrisi del governo. Come spesso accade quando una classe dirigente racconta le sue scelte di politica economica come in una sequel del tipo dei "Cesaroni", le cifre e le date ballano un po', nel senso che alcuni totali inglobano annunci precedenti. Comunque la manovra complessiva (che in parte si proietta nel 2010) si aggira su 46 miliardi di euro, di cui 18 di opere pubbliche, 9 per il sostegno delle piccole e medie imprese, 9 per la Cassa Integrazione (in un biennio?) e 10 per i Tremonti-bond (quest'ultimo è un impegno di tipo fideiussorio).

 

Sfrondando la manovra dalle note della Marcia dell'Aida (musica apparentemente gradita al pubblico, se Berlusconi confessa con fare civettuolo di godere di un consenso "imbarazzante"), cercheremo di verificare:

A) se si tratti di somme veramente "addizionali";

B) se le opere pubbliche siano tutte cantierabili nel 2009;

C) se le scelte siano appropriate come efficacia anticiclica;

D) se alcune delle proposte dell'opposizione siano fattibili.

 

La politica economica nel duro impatto con la realtà mal si presta a rappresentazioni come quelle dei film degli anni '50, detti in italiano "Sandaloni" e in francese "Peplum", con templi e colonne in cartongesso. Uno spettro si aggira per l'Europa e non è quello invocato da Marx nel 1848: è il fantasma del "default" di interi paesi. Al diradarsi della nebbia che per ora avvolge in Italia le informazioni sulla disoccupazione e sulle crisi aziendali (ma gli ultimi dati INPS sulle richieste di sussidi di disoccupazione sono preoccupanti) in assenza di interventi efficaci si potranno avere amare sorprese.

 

Una quota rilevante delle cifre sopra ricordate non è addizionale, né potrebbe esserlo, perché la Finanziaria tremontiana (come ricorderete, nel linguaggio da caserma che caratterizza questa stagione politica, "blindata") non è ancora "tramontata". Si tratta per lo più di somme stanziate dal governo Prodi (Mose, Salerno-ReggioCalabria, Piano Casa). Alcune cifre si sovrappongono a quelle da noi esaminate nel precedente articolo; altre sono ottenute stornando stanziamenti imputati ad obiettivi differenti (fondi FAS, Fondo Sociale Europeo). Questa non è una critica: è normale ed anzi lodevole che il governo modifichi i target dei suoi interventi in funzione anticongiunturale.

 

I dubbi nascono sulla disponibilità di cassa a copertura degli impegni (stanziamento e impegno sono poste contabili: per Bertoldo vale il detto "dare denaro vedere cammello"). La cassa si alimenta da tre sorgenti: il gettito fiscale, il risparmio raccolto con titoli pubblici, la riduzione di altri flussi di cassa.

    - Il gettito fiscale sta diminuendo sia per l'avversa congiuntura che per l'allentarsi dei vincoli nei confronti del popolo delle partite Iva.

    - La raccolta di risparmio attraverso titoli pubblici non incontra difficoltà e si effettua a costi contenuti.

    - Non si ha invece notizia di riduzione di altri flussi di cassa, dopo l'inopinata mordacchia posta al dibattito sui costi della politica, così vivace ai primi del 2008.

Complessivamente il rischio che il fumo prevalga sull'arrosto appare molto alto, almeno per quanto concerne il 2009.

 

 Sulla cantierabilità, nessun dubbio per il Mose e per la Salerno-Reggio Calabria: i cantieri sono aperti da anni. Il Ponte comincerà a muoversi nel 2010; per la Bre-be-mi e la Civitavecchia-Cecina, nonostante l'opposto parere di Matteoli, qualche dubbio sull'apertura dei cantieri è legittimo.

 

Ma soprattutto la pubblica opinione, per valutare l'efficacia della manovra, dovrebbe essere correttamente informata del fatto che nel cosiddetto diagramma di flusso di un cronoprogramma il ritmo di spesa si accelera verso la metà o i due terzi dell'arco temporale di esecuzione dell'opera. Nel nostro caso queste opere dovrebbero realizzarsi in quattro o cinque anni (escluso il Ponte); conseguentemente il picco si colloca intorno al 2011; e cioè quando la crisi – si spera – sarà comunque finita.

 

Per quanto concerne il sostegno alle PMI, è stato osservato che le imprese vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione per 30/35 miliardi. Accelerare questi pagamenti non sarebbe stato più efficace? Dal punto di vista politico, forse no perché la discrezionalità degli interventi alla "di’ che ti mando io" è preferibile agli automatismi.

 

Quanto alle scelte tipologiche, fatti salvi gli interventi sugli ammortizzatori sociali (indispensabili e urgenti, anche se un po' confusi) si può osservare che se è vero che le grandi opere alimentano i grandi appetiti è altrettanto vero che in un paese in cui la rete idrica perde il 40% dei flussi e molte strade delle grandi metropoli sembrano percorsi di guerra, un insieme di interventi manutentivi avrebbe avuto un impatto immediato ben maggiore. Anticipando qui una delle proposte dell'opposizione, notiamo che questa tesi è stata fatta propria da Bersani e Franceschini, ipotizzando una serie di piccole opere appaltabili o già appaltate a livello comunale. Sempre per quanto concerne i settori da sostenere, Ciampi ha recentemente sottolineato l'opportunità di non puntellare comparti in crisi di obsolescenza, se non in presenza di una loro radicale ristrutturazione innovativa. In assenza di un organico piano industriale, di ciò non si trovano che labili tracce.

 

Un punto importante della manovra è quello della emissione dei cosiddetti Tremonti-bond, che reintegrando il rapporto capitale più riserve rispetto al volume dei depositi e degli impieghi e riportandolo, ove fosse minore, al livello giudicato normale, consentirebbero alle banche di assicurare un costante flusso di finanziamenti alle imprese.

 

Questo modo di impostare il problema mi sembra semplicistico. All'origine della crisi non c'è stato un credit-crunch; semmai il contrario. Le banche prestano capitale di anticipazione per coprire le spese correnti delle aziende e, assieme agli istituti finanziari ed alla Borsa, capitali di rischio per gli investimenti. Se il flusso di beni e servizi prodotti dalle aziende si contrae per il calo della domanda (e gli investimenti rallentano) è corretto invitare le banche a finanziare il magazzino? Non si corre il rischio - come dicono i pochi analisti finanziari nordamericani che hanno ancora voglia di scherzare - di curare la tossicodipendenza con dosi massicce di cocaina?

 

Geniale, infine, l'idea di affidare il controllo dei crediti alle imprese ai Prefetti, noti esperti in valutazione fidi. Ciò appare normale nel paese degli antipodi, dove i Vigili urbani si trasformano in pistoleros e i paracadutisti della Folgore in Vigili Urbani.

 

Le proposte dell'opposizione (oltre a quella anticipata) sono tre: una fattibile, ma parziale; una efficace ma difficile da realizzare; una utopistica.

La proposta Franceschini (assegno di disoccupazione) è di puro buon senso e riguarda un gran numero di persone, dai precari in scadenza alle finte partite Iva, ai lavoratori e forse anche a piccoli imprenditori ed artigiani delle aziende che, soprattutto nel Nord e intorno a Roma, stanno chiudendo a valanga. La copertura si ottiene incidendo sui costi della politica e reintegrando le tracciabilità anti-evasione, come correttamente indica il proponente.

 

La proposta D'Alema (fiscalità di vantaggio alle imprese del Sud) incontra ostacoli a livello europeo e potrebbe prestarsi a effetti di sostituzione, con migrazioni aziendali vere o fasulle.

 

L'ipotesi Ferrero (finanziare un più massiccio intervento nel welfare con tassazione dei redditi più alti) è del tutto utopistica, in un paese in cui le partite Iva dichiarano un reddito medio lordo annuo di 10.000 euro ed in cui il presidente del Consiglio non ha la proprietà diretta delle sue numerose ville, intestate a società di cui lui è ospite.

 

L'ultimo fuoco di artificio della maggioranza (già parzialmente rientrato:non sarà un decreto, ma un disegno di legge quadro e saranno le Regioni a legiferare) è quello del Piano Casa. Non si allude a quello dei 550 milioni per l'edilizia popolare, approvato da Prodi, bloccato e poi ripescato, ma alla norma che consente "a chi ne ha bisogno di avere due stanze o un bagno in più". Non sappiamo quali modifiche subirà la proposta. Osserviamo però: a) che è anti-federalista nei confronti dei Comuni, perchè la licenza comunale per gli ampliamenti viene sostituita da una perizia giurata di geometri pagati, come è ovvio, dal costruttore; b) che vi è un rischio obiettivo di aumento dell'abusivismo; c) che il provvedimento è classista, perché poco applicabile alle case popolari e molto alle ville e perché chi ha fame di abitazione non ha denaro; d) che svierebbe capitali freschi verso l'edilizia residenziale in un paese afflitto dal mal della pietra (a Roma, su 1 milione e 800.000 appartamenti, oltre 200.000 sono sfitti); e) che il tanto magnificato volano edilizio (impatto del settore delle costruzioni sull'indotto) è oggi molto minore di quello che insegnavano alla Sorbona gli economisti nella seconda metà dell'800.

 

Il provvedimento appare estemporaneo rispetto alla manovra, perché non accresce le infrastrutture ed anzi aumenta su di esse la pressione abitativa e non costituisce un sostegno della domanda. Infine il ministro del Tesoro ha salutato con entusiasmo l'autorizzazione della Commissione a rendere permanente l'abbattimento al 10% dell'Iva sulle costruzioni e ristrutturazioni; ciò renderà del pari permanente la riduzione del gettito. Contento lui..... Il piatto piange e il costruttore ride.

 

Post scriptum

 

La più recente proposta Franceschini (contributo del 2% una tantum su redditi superiori a 120.000 euro, partendo da quelli dei parlamentari) si distacca dall'ipotesi Ferrero perché è per una sola volta e ad aliquota fissa, ma soprattutto perchè le somme ricavate verrebbero assegnate alle prime linee della lotta contro la povertà assoluta (enti comunali, volontariato prevalentemente cattolico e reti delle parrocchie, già stimolati da iniziative promosse da Tettamanzi ed altri vescovi). Vale l'obiezione secondo cui la maggior parte degli autonomi sfuggirebbe, escluse le rare eccezioni di ricchi percettori di dividendi (tassati al 12,5% alla fonte). Comunque - come quella dell'assegno di disoccupazipne – non può che essere respinta perchè "contraria alla nostra ideologia liberale" (sic!). Le ossa di Adam Smith, che era un prete, fremono nella tomba.

Giovedì, 12. Marzo 2009
 

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