La manovra è una non-manovra

La voce più importante sarà la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia per impedire l’aumento dell’Iva, coperta per gran parte in deficit. Per il resto, tolte le spese “obbligate”, pochi spiccioli sia per lo sviluppo che per povertà e sostegno all’occupazione, ancor meno per investimenti

Con l’approvazione della Nota di Aggiornamento al Def 2017 da parte del Parlamento è iniziato il cammino della nuova legge di bilancio. La manovra  che si profila sarà di circa 20 miliardi (vedi tabella), 7 miliardi in meno rispetto alla legge di bilancio fatta l’anno scorso.

Le cifre della manovra

Come ormai consuetudine degli ultimi anni, la parte del leone la fanno, dal lato delle coperture il maggior deficit (11 miliardi per il 2018), e dal lato delle uscite la sterilizzazione delle clausole Iva imposte dalla Commissione europea a garanzia dell’equilibrio dei conti pubblici (15,7 miliardi per il 2018). Se non si considerano queste due voci preponderanti, tra loro strettamente correlate, la manovra si riduce a poca cosa.

Cominciamo con analizzare le uscite. Escludendo la sterilizzazione delle clausole Iva, le spese previste non raggiungono i 4 miliardi. Il grosso di questi interventi, pari a 2,6 miliardi, si riferisce alla voce “politiche invariate”, ossia al rifinanziamento delle spese indifferibili del bilancio dello Stato. Tra queste spese rientrano il rinnovo del contratto del pubblico impiego, di circa 1,65 miliardi, lo stanziamento di 200 milioni per la dotazione delle forze dell’ordine e il rifinanziamento delle missioni internazionali.  Occorre poi considerare gli interventi per la coesione sociale, in gran parte destinati al reddito d’inclusione, del valore di 600 milioni. Al netto di queste voci, gli interventi veri e propri a favore della crescita si riducono nel 2018 a 638 milioni, di cui 300 milioni destinati a nuovi investimenti pubblici (la voce “sviluppo”) e 338 milioni destinati agli sgravi contributivi a favore delle assunzioni giovanili a tempo indeterminato (la voce “competitività e innovazione”). Ciascuna di queste misure è prevista avere un impatto sul Pil decisamente modesto, pari allo 0,02%. Per quanto riguarda in particolare gli sgravi contributivi, siamo ben lontani dai 2 miliardi che il ministro Poletti aveva promesso a fine agosto per creare 300.000 posti di lavoro!

A fronte delle uscite previste, le entrate fiscali dovrebbero garantire il 60% delle coperture (8,6 miliardi in tutto, senza considerare il maggior deficit) per un valore di 5,1 miliardi, mentre dai tagli di spesa dovrebbe venire il restante 40%, pari a 3,5 miliardi. Si tratta ora di capire dove verranno reperite le maggiori entrate. Si parla di estensione della fatturazione elettronica obbligatoria, di ampliamento dello split payment, di una nuova edizione della rottamazione delle cartelle esattoriali, forse della web tax sui colossi dell’informatica, ma le cifre sono ancora vaghe. Per quanto riguarda i tagli di spesa, la spending review vera e propria dovrebbe ammontare a 1 miliardo; per il resto,  come ha spiegato Padoan, “si opererebbero riduzioni di altri fondi e trasferimenti”.

Come ha ammesso lo stesso ministro dell’economia, l’effetto espansivo della manovra – che dovrebbe essere di 0,3 punti percentuali di Pil – è dovuto esclusivamente alla rimozione delle clausole di salvaguardia. Forse valeva la pena di osare di più per la crescita, considerato anche che gli obiettivi programmatici del governo in tema di occupazione sono molto modesti rispetto all’andamento tendenziale. Certamente nel corso dell’iter di approvazione della legge di bilancio verrà proposta l’introduzione di altre misure, come l’abolizione del super-ticket sulla sanità, richiesta da Mdp e sulla quale il governo ha già manifestato la propria disponibilità.  L’extra-dote, che il governo si è tenuto da parte in vista del previsto assalto alla diligenza, non va però oltre i 700-800 milioni, che in gran parte saranno assorbiti dal super-ticket, una misura di equità sociale che appare difficile non sostenere.

Dove si sarebbero allora potute trovare le risorse per la crescita? Escludendo l’allargamento del deficit, dati gli impegni presi con Bruxelles, si poteva intervenire con più coraggio sulle società partecipate, come già “promesso” dalla riforma della Pa, e sulla selva delle agevolazioni fiscali, che non si vuol disboscare per non toccare privilegi consolidati. Del resto, le elezioni incombono e i margini di manovra sono sempre più stretti.

Domenica, 8. Ottobre 2017
 

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