La maggioranza deviante

I controlli delle università romane sulle dichiarazioni reddituali degli studenti hanno mostrato che quasi due su tre erano false. E’ un segnale gravissimo, perché una società democratica si basa sul rispetto volontario delle regole da parte della maggioranza. Ma è ancor più grave il fatto che gli studenti hanno solo imitato i comportamenti delle élite di successo

“La maggioranza deviante” era il titolo di un saggio uscito più di 40 anni fa che si proponeva uno scopo nobile. Sulla scia delle teorie di Franco Basaglia, voleva smitizzare la malattia mentale, dimostrando quanto fosse incerto il concetto di “normalità”. Quel titolo torna in mente oggi, ma per motivi sideralmente diversi. Si è saputo in questi giorni che le tre grandi università romane, La Sapienza, Tor Vergata e Roma3, avevano stipulato una convenzione con la Guardia di finanza per controllare le auto-dichiarazioni Isee, l’indicatore della situazione economica in base al quale è graduato il pagamento delle rette e sono eventualmente concessi benefici come le borse di studio. Ebbene, quasi due dichiarazioni su tre sono risultate infedeli. Due terzi degli studenti e delle loro famiglie – la cui collaborazione è indispensabile per calcolare l’Isee, peraltro assurdamente complicato – sono truffatori. Mettiamoci pure una tara, un certo numero di errori e fraintendimenti: difficile pensare che non si resti comunque oltre il 50%.

 

Attenzione, non è questione di fare del moralismo. Qualsiasi società organizzata – o quantomeno quelle dei regimi democratici – sta in piedi perché la maggioranza dei suoi membri rispetta volontariamente le regole, cioè ritiene necessario seguirle, anche se non sempre gradite, perché giudica questo comportamento necessario alla convivenza civile. L’alternativa è il caos, oppure uno Stato di polizia dove le regole vengono fatte rispettare con la repressione ed il terrore. Ebbene, questo dell’Isee è un segnale d’allarme davvero grave, ci dice che questo paese sta correndo un serio pericolo di involuzione verso condizioni sociali e politiche che avevamo creduto di  esserci lasciati alle spalle.

 

Sarebbe troppo facile dare la colpa a quello che pure è stato uno dei più nefasti uomini politici della nostra storia, ha dominato la scena per quasi un ventennio ed incredibilmente ancora oggi trova non solo sostenitori, ma anche difensori d’ufficio in presunti intellettuali che si definiscono “terzisti” e si esprimono sui media più autorevoli. Certo, abbiamo avuto un fulgido esempio di successo e ricchezza costruiti nel più completo disprezzo di qualsiasi regola, ma nascondersi dietro un solo farabutto significherebbe soltanto negare il problema. E il problema è che l’intero tessuto sociale appare corrotto e le persone e i gruppi che restano fuori da questo sistema sembrano sempre più delle isole circondate da una marea di immondizia.

 

Mentre la disoccupazione è raddoppiata in cinque anni (quella ufficiale) e si impennano i numeri della povertà assoluta e relativa, mentre tutti i giorni si grida all’emergenza e si procede a nuovi prelievi dalle tasche dei cittadini, continuano ad emergere quotidianamente scandali legati alla politica, alla finanza, all’industria. Mentre da anni si continua proclamare che bisogna ridurre i costi della politica, si continuano a scoprire costi occulti, che non sono tecnicamente reati, ma che ignorano qualsiasi soglia di decenza. L’esempio più recente (ma forse non lo sarà più nel momento in cui leggerete queste righe) è quello del Consiglio comunale di Roma. In una città e una regione che sono le più finanziariamente disastrate del paese e quelle con le tasse più alte il Consiglio starebbe per deliberare la distribuzione di una decina di milioni – venti miliardi per chi ancora ragiona con le lire – perché i consiglieri li spendano come vogliono nei loro collegi elettorali. La cosa si è saputa solo grazie alla denuncia del consigliere radicale Riccardo Magi, al quale “spetterebbero” 50.000 euro. E si è saputo anche che si tratta di una consuetudine che data da anni, e che nel 2012 i milioni distribuiti sono stati 15.

 

Da tempo è saltata qualsiasi relazione tra carriera e risultati. Il politico si è rivelato inetto? Il suo partito si guarda bene dal metterlo da parte, perché comunque “porta voti” (delle sue clientele). E in questo la sinistra, se così ancora si può chiamare, ha ampiamente dimostrato di aver del tutto messo in soffitta quella “diversità” di cui parlava Enrico Berlinguer. Il grande manager ha distrutto la società che guidava? Se è nel settore pubblico il peggio che gli può capitare è che gli trovino un altro incarico, magari un po’ più defilato e dopo congrua liquidazione. Se è nel privato si allontanerà con le tasche gonfie, sia per i bonus stellari ottenuti prima della caduta e sia per buonuscite da decine di milioni.

 

Possiamo meravigliarci se davanti ai moduli dell’Isee la maggior parte delle persone “aggiusta” la dichiarazione? Sta solo applicando le regole sbandierate senza vergogna dall’élite di successo.

 

La vicenda Isee dimostra che siamo al punto di non ritorno, e che probabilmente lo abbiamo oltrepassato. Il punto, come si diceva, in cui la maggioranza diventa deviante e si precipita dallo Stato di diritto allo stato di natura, quello dove vale solo la legge del più forte e del più furbo. Bisogna ripeterlo: questa situazione è grave non perché “si fa peccato” (questi sono problemi che deve risolvere con la sua coscienza chi ha una fede religiosa), ma perché scardina il tessuto democratico, e dopo ci sono solo gli “uomini della provvidenza” o i colonnelli. Non in nome di Dio, ma in nome della Democrazia, fermiamoci.

 
 
 

 

 

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Lunedì, 2. Dicembre 2013
 

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