I due vice premier ed esponenti tra i più autorevoli della fondazione del Partito democratico schierati su fronti opposti rispetto alla manifestazione per la famiglia. E normale dialettica allinterno di un partito post-ideologico, che quindi si fonda su un programma e non su una visione del mondo, oppure un indice di qualcosa che non va? Naturalmente non è un problema tra due persone, seppure di rilievo. Ci saranno esponenti del Partito democratico a Piazza San Giovanni, al family day, e ce ne saranno altri a Piazza Navona, alla contro-manifestazione promossa dai laici.
La manifestazione di San Giovanni, per quanto negli ultimi giorni si sia cercato di smorzare i toni, è palesemante una prova di forza voluta dalla parte più retriva delle gerarchie cattoliche per affossare il proposito del governo di varare una legge sui diritti di convivenza; e magari, già che ci siamo, per affossare il governo stesso. Il suo scopo non è però limitato e contingente: è quello di affermare il primato della religione nellinterpretazione, naturalmente, che decidono di darne le gerarchie medesime rispetto alla potestà del sistema parlamentare di regolare alcuni aspetti della vita civile con leggi decise democraticamente da una maggioranza eletta. Quando si arriva a toccare i principi non negoziabili (e quali siano, e come vadano interpretati, sono sempre loro a deciderlo) quella potestà deve cessare.
Non siamo dunque di fronte a una battaglia circoscritta ad un determinato tema. Siamo di fronte a una battaglia di principi, anzi, a una battaglia sul principio, il principio fondante dello Stato democratico e non confessionale.
E già grave che politici eletti al Parlamento, di qualunque schieramento essi siano, dirottino in modo tanto palese rispetto allo spirito della Costituzione. Ma è piuttosto assurdo che persone con una visione così radicalmente diversa tra loro stiano dando vita ad un unico parito politico.
Ma non è solo nellatteggiamento rispetto al problema della religione (in realtà sarebbe più corretto dire: dellistituzione) che si registrano distanze di vedute così forti. Ce ne sono altrettante, come si può constatare ogni giorno leggendo il profluvio di dichiarazioni dei vari esponenti politici, sui temi delleconomia lo si è visto per esempio nel caso Telecom e sul tema della tassazione e del welfare, come mostra lannoso dibattito sulle pensioni.
Un partito privo di dibattito interno è certamente poco democratico, e sicuramente non è desiderabile. Ma è anche vero che un partito è tale perché chi vi aderisce concorda su alcuni principi di base e su un progetto che si traduce in un programma. E possibile elaborare un progetto, e un programma, quando la gamma delle diverse vedute è così ampia? Non sarà per questo che il manifesto del Partito democratico si è meritato il giudizio di essere troppo vago?
Un partito moderno, non ideologico, in un sistema bipolare, deve per forza avere confini piuttosto ampi. Ma i confini, a un certo punto, bisognerà pure stabilirli: non si può scegliere di lasciarli indefiniti.