La libertà non è star sopra un pero

Si sta svolgendo nel paese uno stupefacente dibattito sul tema se sia stato o no instaurato un regime e se dunque siamo ancora o no in un sistema democratico e di libertà. Ma per avere risposte sensate bisogna porsi le domande giuste

Si sta svolgendo nel paese uno stupefacente dibattito sul tema se sia stato o no instaurato un regime e se dunque siamo ancora o no in un sistema democratico e di libertà. Autorevoli opinionisti che si dichiarano non schierati, né con la maggioranza né con l’opposizione, ripetono assennatamente più o meno le stesse argomentazioni che il premier e i suoi seguaci urlano con arroganza e prepotenza. Non siamo in un regime e non è in pericolo la libertà, sostengono queste persone – molte delle quali certamente in buona fede – visto che magistratura e Corte Costituzionale emettono sentenze sfavorevoli al presidente del Consiglio, visto che alcuni giornali conducono aspre campagne contro il medesimo e visto che persino la Rai continua a trasmettere programmi che non piacciono alla maggioranza e al suo leader.

 

A queste osservazioni, che sono senza dubbio dati di fatto, viene aggiunto un condimento che potremmo definire “così fan tutti”, ossia un elenco delle malefatte di governanti di altri paesi e dei loro scontri, a volte molto aspri, con il “quarto potere”. Un esempio di un elenco di questo genere è in un editoriale di Sergio Romano sul Corriere delle sera del 16 ottobre. E in una recente puntata di Ballarò il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, ha ricordato lo scontro di Tony Blair con la Bbc, culminato con la dimissioni dei responsabili di quest’ultima (Belpietro ha però trascurato di aggiungere che, come si sarebbe potuto verificare ben presto, aveva ragione la Bbc).

 

Tutti costoro – lo schieramento di destra per ovvie ragioni, gli “indipendenti” forse per miopia – trascurano o sottovalutano una serie di fatti che definire preoccupanti è dir poco. Dall’impero mediatico del premier scatenato nel discredito dei “nemici” alla delegittimazione delle istituzioni, dai ripetuti inviti berlusconiani a non dare pubblicità ai media che criticano il governo – il che, essendo la stessa persona anche il proprietario di un impero economico, almeno per una parte non resta di sicuro un appello inascoltato – al boicottaggio del canone Rai, dalla profonde riforme in cantiere per il sistema della giustizia fino ai proclamati propositi di cambiare la Costituzione rafforzando i poteri del capo del governo e indebolendo quelli delle istituzioni di controllo. Non li sottovaluta, questi segnali, la stampa straniera, che senza distinzioni di orientamento politico esprime preoccupazione per la situazione italiana e stupore che un tale leader possa continuare a restare al potere.

 

C’è ancora un argomento “forte” che viene usato tanto dalla destra che dagli “indipendenti”. Berlusconi, si dice, è al potere perché è stato votato dalla maggioranza degli italiani. Si vorrebbe forse rovesciare questa maggioranza, sovvertire il risultato del voto?

 

Ora, si può capire che lo schieramento politico che fa capo al premier si identifichi totalmente con il suo capo. Non si capisce però perché sostengano questa tesi anche gli opinionisti che si definiscono “terzi”. La maggioranza dei voti è andata ad uno schieramento, non ad una persona. Se Berlusconi si dimettesse non cambierebbe la maggioranza parlamentare definita dalle elezioni, che potrebbe continuare a governare designando un altro leader. D’altronde, anche Richard Nixon era stato votato (e nel sistema americano il nesso fra presidente e voto popolare è senza dubbio assai più stretto che nel nostro), ma questo non impedì che si dovesse dimettere per evitare l’impeachment. Il suo posto fu preso da Gerald Ford, anche lui Repubblicano, senza ricorrere a nuove elezioni. Nonostante la diversità dei due sistemi, anche da noi si potrebbe cambiare il presidente del Consiglio nell’ambito della stessa maggioranza e senza ricorrere a nuove elezioni.

 

Tornando al problema centrale, non ha senso chiedersi se in Italia vi sia un regime o se vi sia ancora libertà. Le domande corrette sono: “C’è il rischio che si vada verso un regime?”, e: “Ci sono rischi che venga limitata la libertà di informazione?”. Considerati tutti gli elementi, si provi a rispondere in buona fede a queste due domande. Ricordando anche che, fino a un minuto prima che venga instaurato, il regime ancora non c’è.

 

“La libertà non è star sopra un albero”, cantava Giorgio Gaber. E quando finalmente qualcuno si accorge di qualcosa di ovvio, si dice che “è caduto dal pero”. Bene, l’impressione è che oggi una parte dela società italiana si sia seduta sopra un albero, e che quell’albero sia un pero. Attenzione, che quando si cade ci si fa male.
 
www.carloclericetti.it
Lunedì, 19. Ottobre 2009
 

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