Negli anni Sessanta a Torino si formò una nuova generazione di sindacalisti. Non fu per caso. A Torino la lotta sindacale aveva vissuto i momenti più aspri. La Fiat dominava lo scenario torinese e nazionale. A metà degli anni Cinquanta aveva inflitto alla Fiom una memorabile sconfitta. Ma questa aveva anche segnato lavvio della svolta strategica della CGIL. Quando Renato Lattes, intorno ai suoi venti anni cominciò a conoscere il sindacato, Torino era il crocevia della crisi e insieme della ripresa delle lotte. Una ripresa che imponeva una riflessione e un cambiamento radicale del modo di vedere la classe operaia, il lavoro, il sindacato.
La revisione della strategia sindacale sintrecciò in quegli anni con un dibattito radicale nella cultura politica della sinistra. Nel 1961 comparvero i Quaderni rossi, fondati da Raniero Panzieri, un socialista di sinistra che provava a reinterpretare Marx, saltando le molteplici contaminazioni e gli sviamenti dei diversi filoni marxisti. Il primo numero della rivista fu aperto da un saggio di Vittorio Foa. intitolato Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, che illuminava il percorso intellettuale di una nuova analisi delle lotte operaie e ruolo del sindacato.
Il gruppo socialista in cui si riconosceva Renato da Foa a Basso -rifiutava di mandare Marx in soffitta, ma lo rileggeva in una luce nuova. Non più la supremazia del partito e la funzione ancillare del sindacato che era posta a base del centralismo democratico dei partiti comunisti. Ma unanalisi del capitalismo che partiva dal processo di produzione e dalla condizione operaia. Possiamo immaginare con quale curiosità intellettuale Renato lesse il Frammento sulle macchine, tratto dai Grundrisse, pubblicato nel 1964 sui Quaderni Rossi, nel quale Marx analizzava la frantumazione del lavoro, la sua banalizzazione, la perdita didentità del lavoratore, di fronte al sistema delle macchine, che segnava la nuova era della rivoluzione industriale.
Vi si potevano individuare le basi teoriche del lungo processo che ai avviava a cambiare i fondamenti stessi dellorganizzazione e delliniziativa sindacale centrata sulle condizioni di lavoro. Il controllo sul processo produttivo poteva essere recuperato solo con una riappropriazione di gruppo. E lidentità individuale poteva essere riacquistata solo come una nuova capacità di intervento e di controllo collettivo. Per Renato, i delegati di linea, di reparto e i Consigli di fabbrica che dominarono il dibattito e liniziativa sindacale del successivo decennio avevano radici solide e lontane. In questa scuola che intrecciava lesperienza pratica dellorganizzazione delle lotte con la riflessione teorica sul processo di produzione e la condizione operaia, Renato imparò il mestiere di sindacalista, e vi si appassionò.
Renato fu un giovane militante socialista, di un socialismo libertario e radicale, vicino prima ai Quaderni rossi, poi a Problemi del socialismo di Lelio Basso. La militanza nel PSI fu effimera perché nel giro di pochi anni, con la scissione, Renato entrò nel PSIUP. Ma il suo destino era già quello di un sindacalista. Aveva imparato presto limportanza della fabbrica come punto di riferimento dellanalisi sociale e delle lotte sindacali.
Tutta la discussione postuma sul ruolo del movimento studentesco del 1968 e sul suo rapporto le lotte operaie dellautunno caldo non tiene conto dellintreccio straordinario che visse una generazione giovane in quegli anni di rivoluzione culturale. Renato era a metà dei suoi anni 20, era stato un dirigente del movimento studentesco, ed era chiara in lui la percezione della rivolta studentesca. Ma, a differenza di unaltra parte del movimento studentesco, aveva imparato a conoscere la fabbrica, la durezza dei rapporti di classe, il ruolo complesso della negoziazione. La difficoltà di rappresentare i bisogni, le aspirazioni, i comportamenti di quelle grandi masse di giovani, senza scuola, lontane dalle università, che venivano dal profondo sud, inghiottiti nelle grandi fabbriche del nord.
La fabbrica non poteva essere ridotta a mito e bandiera di una rivoluzione imminente quanto astratta. Lex dirigente del movimento studentesco, che era stato Renato, aveva imparato a districarsi nei labirinti dellorganizzazione del lavoro, conosceva le tecniche del cottimo, la manipolazione delle mansioni e delle qualifiche, le molteplici forme della nocività, che intorno alla Camera del lavoro di Torino era diventata oggetto di unanalisi scientificamente nuova e politicamente dirompente.
In questa nuova prospettiva, lunità sindacale appariva a Renato una cosa naturale, quanto innaturale gli appariva la divisione. Dopo lautunno caldo, nel pieno fulgore del sindacato dei Consigli e della nascita dellFLM, Renato fu tra coloro che si schierarono per lunificazione dei metalmeccanici come primo segmento dellunità organica di CGIL CISL e UIL. Era convinto che la democrazia dei Consigli e lautonomia sindacale non potessero vivere e svilupparsi senza lunità sindacale organica. Purtroppo, le Confederazioni giudicarono non maturi i tempi dellunificazione articolata - come si diceva allora - e per tappe successive. Quella stagione passò, e i tempi dellunità non sono più tornati.
Gli anni 70 furono per Renato anche quelli dellimpegno politico di partito. Sciolto il Psiup, mentre si acuiva la rottura fra PCI e PSI, cominciò il tentativo di costituire formazioni partitiche della nuova sinistra. Renato vi si applicò con dedizione e disinteresse, Non ambì mai ad alcuna carica di partito, scrupolosamente difendendo Lincompatibilità fra responsabilità di sindacato e di partito. Ma fu per Renato, e per tanti suoi compagni, una stagione deludente. Più piccole erano le formazioni della nuova sinistra, più difendevano i propri minuscoli spazi. Fino a quando la ricerca spasmodica delle identità separate lasciò il campo alla disintegrazione, di cui, attraverso diversi e illusori passaggi, vediamo ancora oggi le conseguenze.
Chiusa lesperienza dei micro-partiti della nuova sinistra, culminata con la sconfitta della lista di Nuova sinistra unita nelle elezioni politiche dellestate del 1979, Renato fu sempre di più impegnato nel sindacato. Fu tra gli oppositori della linea dellEur che poi si rivelò, nel breve giro di qualche mese, si rivelò un fallimento. Nel 1981 fu eletto segretario nazionale della FIOM.
Gli anni Ottanta, iniziati con la dura sconfitta alla Fiat, furono anche gli anni della rottura sindacale. Renato, dopo la dissoluzione della vecchia sinistra sindacale, seguita alle rotture interne generate dallo scontro trasversale sulla svolta dellEur, era stato nel 1979 tra i fondatori della Terza componente che raccolse per la prima volta nella CGIL un gruppo di compagni senza tessera di partito.
Renato si dedicò con pienezza dimpegno al lavoro sindacale, ma non fu mai solo un sindacalista. Quando lasciò la Cgil, dopo aver lavorato con Bruno Trentin allUfficio del programma, fu consigliere per le questioni ambientali nel ministero dei Lavori pubblici del governo di centro-sinistra: un tema al quale non smise mai di applicarsi. Aveva un inesausto bisogno di sperimentarsi su terreni diversi e nuovi.
Fare politica per Renato significava non la conquista di ruoli gerarchici, ma lapertura di spazi per la ricerca, lanalisi, la comprensione di ciò che succedeva nel mondo reale dei bisogni di donne e uomini in carne e ossa. Quando si era fatta unidea dei problemi, cercava una soluzione. La sua era unimmaginazione concreta. E questo era spesso motivo non solo di entusiasmo ma anche di delusione, quando le cose non andavano per il verso giusto. Quando la burocrazia dei partiti, dei sindacati, delle istituzioni rimaneva ferma al modo tradizionale di vedere le cose, alle certezze della routine.
Negli anni più recenti Renato aveva trovato un nuovo terreno di sperimentazione e lavoro in Paralleli, istituto euro-meditrrrano per il Nordovest , di cui era divenuto presidente. Vi ha lavorato fino allultimo giorno, accrescendone il prestigio a livello internazionale. Criticava il fatto che lUnione europea, mentre lavorava allapprofondimento della partnership con i paesi dellest, fino alla Georgia e allAzerbaijan sulle rive del Caspio, aveva una politica del tutto inadeguata verso il cortile di casa, la riva sud e orientale del Mediterraneo.
Aveva un vasto programma di iniziative che lo avrebbero impegnato a partire dal mese di maggio, una volta riprese le forze, dopo un periodo di acutizzazione della malattia. Ma, andandosene, allalba del 24 di aprile, questa volta non ha potuto mantenere gli impegni. Prima alla Camera del Lavoro di Torino, poi al cimitero monumentale, molti compagni della CGIL e della CISL e tanti suoi amici lhanno salutato con grande affetto e rimpianto.