Non sempre al titolo di un libro corrisponde il contenuto. Nel caso del saggio di Giulio Tremonti La paura e la speranza, limpegno è sicuramente mantenuto per la prima parte. Gli elementi che generano paura, apprensione e unangoscia quasi esistenziale ci sono tutti. Non altrettanto si può dire della speranza, affidata a un recupero di improbabili valori che costituiscono il leit motiv del libro.
Le ragioni della paura sono fondamentalmente tutte riconducibili alla globalizzazione: la crisi finanziaria, lascesa della Cina, le grandi migrazioni. Quanto alla prima è sotto i nostri occhi. La crisi americana dei mutui subprime non ha solo colpito gli Stati Uniti, minacciando di farli precipitare nei nefasti della Grande Depressione, ma rischia di far ricadere lEuropa nel mix micidiale di stagnazione e inflazione. Poi,
Sono tre fenomeni che sintrecciano nel nome di una globalizzazione animata da unideologia che Tremonti definisce mercatismo. E, come tutti i fenomeni, il mercatismo non nasce per germinazione spontanea. La sua nuova forma prende corpo dopo l89 del secolo scorso, quando col crollo del regime sovietico, comunismo e liberismo si sono mescolati generando appunto il mercatismo, che lautore definisce in termini piuttosto sorprendenti come la sintesi fra liberalismo e comunismo: Il 1989, con il crollo del muro di Berlino, segna la crisi sia del comunismo che del liberalismo. Sostituiti entrambi da unideologia nuova: il mercatismo, lultima follia ideologica del Novecento Il mercatismo è la loro sintesi (pag.33).
Siamo certamente di fronte a una spiegazione creativa della genesi della globalizzazione e della sua ideologia. E vero in ogni caso che alla globalizzazione si accompagna una sorta di impazzimento della finanza internazionale, causa di crisi ricorrenti. La più grave fu quella di dieci anni fa, quando la crisi sconvolse il Sudest asiatico per investire poi mezzo mondo, dalla Russia allAmerica latina. Fu una crisi tragica per le sue conseguenze sociali nei paesi che ne furono colpiti. Ma fu anche salutare, in quanto avviò il cambiamento della mappa e delle dinamiche della globalizzazione. Da quel momento la globalizzazione finanziaria è una tigre non di carta ma che ha perduto una parte dei suoi denti. I paesi che ne erano stati colpiti hanno accumulato enormi riserve finanziarie, hanno posto sotto controllo i movimenti di capitale per la parte che potrebbe spogliarli delle proprie risorse fondamentali, hanno ripudiato la pretesa governance che i paesi ricchi avevano affidato al Fondo monetario internazionale, alla Banca mondiale, allOrganizzazione mondiale del commercio.
Tremonti ignora questi cambiamenti, assumendo lidea di una globalizzazione piatta (The World is Flat, secondo la definizione di qualche anno fa di Thomas Friedman, celebre commentatore del New York Times). Ma il mondo è invece cambiato, la globalizzazione si è articolata a livello regionale, è diventata multipolare, si è sottratta al dominio assoluto del Washington consensus.
E che fa lEuropa? Potrebbe essere un punto forte della nuova mappa multi-regionale della globalizzazione. Ma Tremonti propone sostanzialmente di tirarsene fuori, di sottrarsi al suo maleficio: Quando la storia compie una delle sue grandi svolte, quasi sempre ci troviamo di fronte limprevedibile, lirrazionale, loscuro, il violento e non sempre il bene. Già altre volte il mondo è stato governato anche dai demoni (p.7).
Tra i demoni, finanza internazionale a parte, la prima indiziata è
Eppure il ricorso al pericolo costituito dalla Cina che cinvade con le sue merci a basso costo è pieno di paradossi.
Ma torniamo allo sfruttamento del lavoro e alla necessità di far valere le clausole sociali. Quando
Ma per il nostro autore il problema non è solo
liberazione dai fantasmi del mercatismo, librida sintesi di liberalismo e comunismo. Quali valori? Lasciamo parlare Tremonti. Siamo di fronte a una rivoluzione che viene da fuori: quella della globalizzazione il codice che dobbiamo e possiamo fabbricare per sopravvivere può essere creato solo con la combinazione tra due parole essenziali: identità, valori Una comunità può e deve definire la sua identità solo per mezzo dei suoi valori storicamente consolidati; rispetto a questi le altre comunità sono altre Tutto è chiuso nella coppia dialettica noi-altri .Non vale qui la logica sia luno che laltro Il dramma che rischia lEuropa è proprio questo. E nella difficoltà a portare fino in fondo il suo esercizio identitario, avendo finora prevalso un tipo di cultura universalistica, basata sullidea assoluta, aprioristica e non selettiva di eguaglianza indifferenziata .. (pag.76-77). La citazione è lunga ma un pensiero così icastico sarebbe difficilmente rappresentabile con un minor numero di parole. Anzi, raccomandandoci allindulgenza del lettore, proseguiamo nelle citazioni letterali, anche perchè possono aiutarci a leggere in trasparenza i fondamenti delle prime mosse del governo Berlusconi, così apparentemente avventate da sembrare inverosimili. Deve essere in specie chiaro che il discorso sullidentità ci impone unintensa revisione, una forte e chiara riforma delle nostre regole politiche. Linclusione degli altri in Europa può proseguire, però solo se gli altri cessano di essere altri e diventano noi. Quindi: o sono gli altri che rinunciano alla loro identità, venendo in Europa, o è lEuropa stessa che perde la sua identità e va così a porte aperte incontro alla sua disintegrazione (pag. 78).
Così, dopo aver assimilato le ragioni della paura, abbiamo ora scoperto le ragioni della speranza che il titolo del libro generosamente promette. La speranza è in sostanza nel recupero dei valori che ci rendono irriducibilmente diversi. Tremonti non lo cita mai, ma il punto dapprodo è quello di Samuel Huntington, il politologo americano che una decina di anni fa descrisse, con ragionamenti più sofisticati, come inevitabile lo scontro di civiltà. E Tremonti su questo punto non si tira indietro: I valori non si raccolgono come fiori in un prato Lindividuazione di valori identitari passa necessariamente attraverso una rivendicazione di potere e questa può anche portare a confronti con altri sistemi di valore Vuol dire scegliere di tornare a essere protagonisti della storia, protagonisti di una storia che può anche includere confronti e conflitti con altri sistemi (p.80). Difficilmente unargomentazione che oscilla fra la filosofia politica e la politica tout-court, potrebbe essere resa con più spregiudicata chiarezza.
LEuropa-fortezza che disegna Tremonti prende le distanze apparentemente dalla globalizzazione, in realtà da quella parte del mondo - dallAsia orientale al mondo arabo e islamico che, nel bene e nel male, deciderà della sorte stessa dellEuropa nel XXI secolo. Come è possibile - si chiede Kishore Mahubani, un politologo che ha recentemente pubblicato negli Stati Uniti un libro di grande successo sullavvento dellAsia sulla scena mondiale (The New Asian Hemisphere) - che la civilissima Europa, capace di dominare il mondo per quasi 500 anni possa improvvisamente rispondere con tanta stupefacente pochezza di pensiero strategico alle sfide geopolitiche del mondo di oggi? LEuropa scrive - dovrebbe far parte di un triangolo comprendente Stati Uniti e Asia orientale. E dovrebbe farsi promotrice di uniniziativa di mediazione, riconciliazione e pace nei confronti dei conflitti che paralizzano il Medio Oriente, dal conflitto israelo-palestinese, allIraq, allIran. Questa dovrebbe essere lEuropa, scrutata dallAsia orientale: una potenza non solo economica, ma una componente essenziale dei nuovi equilibri culturali e politici del XXI secolo. Il contrario di una fortezza che sisola, si chiude in se stessa. UnEuropa non paralizzata dalla paura del diverso, che fornisce al nuovo mondo che si sviluppa un modello aperto di libertà ed eguaglianza. Non significa che lUnione europea stia coerentemente percorrendo questa strada. Basta ricordare la sua triste divisione di fronte alla catastrofica guerra irachena di Bush, e la posizione servile del governo Berlusconi. Ma la speranza che lEuropa possa giocare un ruolo da protagonista e di equilibrio nel nuovo mondo non ha niente a che vedere con la chiusura in una fortezza circondata dal deserto dei tartari.
Dopo aver alimentato e esaltato la percezione di un pericolo incombente dalle molte facce, come in un film dellorrore, ciò che Tremonti propone col suo ambizioso pamplet è una visione ideologicamente leghista del mondo. Un mondo di paure, sospetti, simboli identitari elevati a valori, che si alimenta dellirriducibile contrapposizione fra noi e gli altri. Una visione elettoralmente pagante, come abbiamo visto col successo della Lega, ma intrisa di unideologia più disperata che non portatrice di quella speranza che il titolo del libro promette. In circostanze diverse, potremmo anche non occuparcene. Ma si dà il caso che lautore è il ministro dellEconomia, probabilmente il numero due del governo, e che