La doppia sfida per Landini

La nuova segreteria della Cgil si inaugura con un’iniziativa unitaria delle tre confederazioni, cosa che non si vedeva da tempo. Il ritorno all’unità di azione è tanto più necessario dopo che nell’ultimo decennio il sindacato ha pagato lo scotto della crisi e ha perduto la sponda di una sinistra che in tutta Europa si è convertita alle idee neoliberiste. E per sostenere in Italia una politica di investimenti, con la quale soltanto si può tornare alla crescita

Quando a fine settimana Cgil, Cisl  e Uil si troveranno a Roma, in piazza S. Giovanni, per un’iniziativa di massa sarà un evento importante non solo per il sindacato, che rivede un’iniziativa unitaria, ma anche per il futuro della politica italiana.

Non a caso, Maurizio Landini ha posto al centro della sua elezione alla segreteria generale della Cgil un punto fondamentale dell’impegno confederale che parte da una constatazione di fatto. L’Italia è entrata in un’allarmante nuova fase recessiva al culmine di un decennio durante il quale il reddito nazionale è diminuito del cinque per cento e la disoccupazione è passata dal 6 a più del 10 per cento, con punte del 20 per cento nel Mezzogiorno - un indice ormai superiore a quello della Grecia.

Quali ne sono le cause? Che cosa non ha funzionato? Ciò che sappiamo è che la crisi italiana si iscrive nel quadro di una crisi più generale che, in  misura diversa, colpisce l’intera eurozona.

Alla fine del secolo scorso, il passaggio all’’euro fu salutato come la leva decisiva per rafforzare l’economia dell’area che adottava la moneta unica. Ma l’euro nacque decisamente sotto una cattiva stella. Nei primi anni del nuovo millennio, i maggiori paesi dell’eurozona, fra i quali la stessa Germania, entrarono in crisi.  In effetti, il problema, come è diventato evidente in seguito, non era l’euro, ma le politiche che stringevano al collo la nuova moneta unica. La Germania era riottosa rispetto alla moneta unica che l’avrebbe privata del marco, quasi la sua seconda bandiera.

Ma la Francia di Mitterrand e Delors, nei loro diversi ruoli, aveva premuto per l’euro come sigillo della partnership franco-tedesca. La contropartita reclamata dalla Germania fu l’impegno a una rigorosa politica di bilancio. Paradossalmente, in una situazione di crisi, generalmente caratterizzata da una riduzione dei consumi e degli investimenti, bisognava ridurre la spesa pubblica ed, eventualmente, aumentare le imposte indirette per ridurre il disavanzo di bilancio. Una assoluta novità nelle dottrine economiche tanto keynesiane quanto neoliberiste. O, se si vuole, il ritorno alla politica del presidente Hoover che impose all'America della crisi del 1929 la riduzione della spesa pubblica e la contrazione dei salari, aprendo la strada alla Grande depressione.

Di fronte all’aumento della disoccupazione, alla riduzione dei salari e della spesa sociale, non può stupire che il  movimento sindacale europeo abbia  pagato il prezzo della crisi economica. Ma non fu l’unico problema. Al sindacato venne progressivamente a mancare la sponda politica dei partiti di sinistra. La sinistra europea si era storicamente sviluppata insieme con l’affermarsi dei sindacati. In Gran Bretagna il Partito laburista e le Trade Unions avevano un secolare rapporto gemellare. In Germania era del tutto naturale la convergenza fra il Partito socialdemocratico e il DGB, uno dei più potenti sindacati europei. Poi, a cavallo del secolo, il rapporto di vicinanza si è sciolto. All’inizio, fu Blair, con la Terza via del New Labour, a prendere le distanze dal sindacato. Gerhard Schröder lo seguì a ruota in Germania con la sequenza delle Leggi Hartz che mutarono alcuni aspetti fondamentali dello stato sociale. Alla fine secolo del secolo, il Partito socialista francese conservava ancora con Jospin e Martine Aubry l’impronta della vecchia tradizione  di sinistra. Il compito di cancellarla è stato assunto nell’ultimo decennio da François Hollande in nome dell’austerità e delle riforme strutturali, assi portanti della politica neoconservatrice dell’eurozona. Infine, Matteo Renzi con una politica mascherata da sinistra si è iscritto sulla stessa linea.

Non può stupire, in questo quadro, la solitudine del sindacato. Ma la crisi è anche la condizione del rinnovamento. La contrattazione rimane l’asse della sua iniziativa - a patto di coinvolgere le nuove generazioni di precari rimasti senza rappresentanza. Così come lo è lo Stato sociale, oggetto centrale dell’attacco neoliberista.

E’ opinione comune che la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza possono essere strumenti di ripresa della domanda di consumi, ma insufficienti per rilanciare una crescita effettiva senza una forte politica di investimenti pubblici e di sostegno a quelli privati. In quadro recessivo gli investimenti esigono una maggiore spesa pubblica necessariamente in disavanzo, un disavanzo che sarà riassorbito dall’aumento della crescita. Un’innumerevole schiera di economisti ha raccomandato in passato e continua a raccomandare questa linea. Quella contraria, fondata su austerità e riforme strutturali, ha già prodotto i suoi frutti velenosi nel corso di un decennio perduto. Il sindacato,  rafforzato da una rinnovata  vocazione e iniziativa unitaria, può rovesciarla.

Mercoledì, 6. Febbraio 2019
 

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