La dis-Unione europea nello scontro tra potenze

La guerra ha generato problemi di approvvigionamento di prodotti importanti e ha sconvolto il commercio estero, specie tedesco. L’”amico” americano aiuta fortemente la sua industria, regalandole più competitività. E in questo difficile scenario l’Europa non è stata capace di dare una risposta comune

A un anno di distanza dall’inizio della guerra in Ucraina importanti cambiamenti sono in corso nel quadro economico mondiale, alcuni cominciati prima dell’invasione russa, altri accelerati dall’evoluzione degli eventi.

Prima dell’attacco di Putin a Kiev la sfida centrale che dominava la scena dell’economia mondiale era quella tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica. Una sfida cominciata da Trump e proseguita da Biden con l’applicazione di maggiori dazi doganali sulle importazioni e “l’appello” alle imprese americane di produrre (o riportare) in patria le tecnologie d’avanguardia (microchip, batterie di ultima generazione, semiconduttori), rendendosi indipendenti dalla Cina. Biden ha inoltre chiesto all’Europa di schierarsi apertamente dalla parte degli americani nel grande duello con la Cina. Un sacrificio non indifferente, considerata l’intensità delle relazioni economiche fra l’Europa, Germania in testa, e Pechino, che si dovrebbero ulteriormente allargare con la via della seta proposta dai cinesi.

Era questo lo scenario quando è scoppiata la guerra in Ucraina, che ha aggiunto nuovi problemi all’economia europea. Le sanzioni hanno profondamente inciso sull’interscambio tra Ue e Russia, facendo crollare sia le esportazioni europee di beni e servizi verso Mosca sia le importazioni dalla Russia di petrolio e gas naturale. La Germania soprattutto è entrata in crisi. La crescita tedesca nel 2022, con l’1,9%, è stata inferiore sia a quella della Francia (2,6%) sia a quella dell’Italia (3,7%) sia alla media dell’area euro (3,5%). Le prospettive per quest’anno dovrebbero confermare la tendenza dell’anno scorso. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la previsione di crescita tedesca nel 2023 è infatti dello 0,1% contro lo 0,6% dell’Italia e lo 0,7% sia della Francia sia dell’eurozona.

Ma un nuovo scossone è venuto dalla mossa americana di varare l’Inflation Reduction Act, un programma che mette a disposizione delle imprese americane un pacchetto di aiuti di ben 390 miliardi di dollari con l’obiettivo di combattere l’inflazione e facilitare la transizione ambientale ed energetica. Nel programma di aiuti sono compresi incentivi fiscali alle imprese per investire nelle energie rinnovabili e ridurre le emissioni nocive nonché facilitazioni per aumentare l’efficienza energetica degli edifici e favorire l’acquisto di auto elettriche. E’ chiaro che l’Europa, a parole “invitata” a salire sul carro americano riducendo le relazioni con la Cina, nei fatti si sente spiazzata, perché l’iniziativa di Washington rafforza la competitività delle imprese americane a scapito soprattutto dei concorrenti europei, impegnati nella transizione ecologica ed energetica più dei cinesi, che possono facilmente decidere di posporre l’applicazione degli accordi internazionali sul clima.

La risposta dell’Europa alla mossa americana, delineata nel Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, sembra essere quella di allentare la disciplina degli aiuti di Stato, con buona pace dei sacri principi della concorrenza difesi da Marghrete Vestager, consentendo ai singoli Paesi di intervenire con fondi propri per favorire la transizione ecologica. La “buona pratica” del programma Next Generation Europe, che ha mobilitato risorse comuni europee per rilanciare l’economia del vecchio continente dopo il Covid, verrebbe accantonata. I tedeschi e i francesi si apprestano così a stanziare cospicue risorse nazionali per il passaggio alle tecnologie pulite, avendo ampi spazi di bilancio (specialmente i primi). Paesi come l’Italia, che hanno un minore spazio di bilancio dato l’elevato livello di indebitamento, si troveranno invece a mal partito e dovranno al massimo accontentarsi della ventilata possibilità di destinare alla transizione ambientale parte delle risorse non utilizzate dei fondi strutturali 2014-2020.

Troppo poco. D’altra parte, in una fase in cui si sta varando il nuovo piano di stabilità,  Bruxelles e Berlino vedono l’Italia come quella che ha maggiormente usufruito dei fondi del Recovery Fund e temono che gli italiani si abituino troppo bene!

Non capiscono però nella loro miopia che il problema è politico. L’Unione europea, che già subisce pesantemente le conseguenze di una guerra alle porte di casa, deve ora prepararsi a una duplice offensiva americana sul piano economico. Logica vorrebbe che l’Europa si presentasse compatta nell’affrontare temi importanti come quelli della transizione ecologica ed energetica, in modo da guadagnare maggiore forza contrattuale in un’eventuale trattativa con gli americani. Otterrebbe così anche il risultato di essere guardata con più rispetto sia da Washington che da Pechino. E forse anche da Mosca.

Domenica, 5. Marzo 2023
 

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