La differenza tra governare e sognare

Tutti i governi suscitano all'inizio molte aspettative, che quasi sempre però sono viziate da percezioni errate dei tempi necessari e degli ordini di grandezza dei problemi, nonché dalla non conoscenza di altri aspetti tecnici. Meglio restare con i piedi per terra, anche la delusione fa danni

E' destino dei governi da poco insediati quello di suscitare aspettative che in breve volger di tempo saranno disattese. Quali i motivi di questo infausto destino che coinvolge senza pietà sia i governi dei tromboni (quanti ne abbiamo avuti!) che quelli di equilibrata compostezza come appare il singolare ircocervo rappresentato dal governo Letta? E' naturale che i sogni destati dalle campagne elettorali (nelle quali, come si è purtroppo constatato, l'illusionismo, la sfrontatezza nel mentire e l'aggressività più becera hanno largamente premiato rispetto ai tentativi di pronunciare parole di verità) svaporino al duro contatto con la realtà.

    

Meno ovvio è, però, che le pur ragionevoli aspettative prospettate dalla stampa e da autorevoli commentatori soffrano di gravi discrasie. Diviene quindi poco comprensibile l'ampio divario fra ciò che gli articolisti immaginano possano essere i tempi e i modi dell'azione di governo e quel che accade nella concreta realizzazione degli interventi. Quanto ciò sia dovuto all'eco non spenta delle fandonie elettorali, quanto alla scarsa avvedutezza degli articolisti e quanto sia imputabile ai lettori è difficile dire. Quel che sappiamo è che qui in Italia l'analfabetismo di ritorno è a livelli altissimi (il 60% degli italiani non è in grado di capire perfettamente un articolo di giornale): l'analfabetismo economico è certamente ancora maggiore. Vorrei però evidenziare alcuni dei fattori che tendono ad ampliare la frattura fra aspettative e realizzazioni.

    

Questi fattori sono: a) la variabile tempo; b) il fatto che non vengono computati i costi di trasformazione (di cui diremo); c) l'insufficiente valutazione dell'ordine di grandezza dei fenomeni; d) gli effetti non a somma zero dei moltiplicatori positivi e negativi di aumenti o riduzioni della tassazione o incrementi o contrazioni delle spese pubbliche.

 

La variabile tempo viene spesso ignorata nelle aspettative della pubblica opinione. Il futuro viene proiettato sul presente con immagini schiacciate come nei dipinti medievali, prima dell'introduzione nella pittura del cosiddetto punto di fuga. Si ritiene, ad esempio, che la riduzione della spesa si traduca immediatamente in una maggiore disponibilità di cassa. Oppure che basti approvare un'imposta sui giochi (con gettito, come dimostrano dati recenti, alquanto incerto) per avere a disposizione cospicui finanziamenti. In linea generale possiamo affermare che in situazioni normali - che non sono quelle attuali - i flussi di entrate e di spese dello Stato mostrano un asincronismo molto più accentuato di quanto avvenga in un'azienda privata ben gestita. Donde il ricorso a Bot trimestrali o semestrali con relativo aggravio di interessi, mentre gli avanzi di Tesoreria, quando si verificano, hanno un rendimento ben minore. L'opinione pubblica stenta a separare le varie fasi della spesa pubblica: stanziamento, impegno ed erogazione. Il primo è una posta contabile classificata per grandi categorie; il secondo è uno strumento giuridico che individua i beneficiari; solo la terza è spesa vera e propria. Chiedere per chiarimenti alle imprese creditrici della PA o al sindaco de L'Aquila. Quando un governo rinvia una delibera per "motivi tecnici" il termine ci ricorda una famosa battuta di Alberto Sordi in un film nel quale interpretava il ruolo di capo-comico di una modesta compagnia di rivista, che si rivolgeva alle ragazze del balletto affermando che "bambole, non c'è una lira".

 

Un'altra fonte di aspettative illusorie consiste nella mancata considerazione dei cosiddetti costi di trasformazione. L'analogia più immediata è quella della percentuale dell'energia potenziale di un propulsore che si trasforma nel moto di un veicolo. Dal totale della spesa occorre detrarre il costo delle procedure di individuazione dei beneficiari (concorsi, appalti, etc.) e dei successivi controlli (esecuzione delle opere, contratti di servizio, corretta titolarità delle pensioni). Dal lato delle entrate il costo è rappresentato dalle attività di individuazione dei contribuenti e/o di verifica delle dichiarazioni, di predisposizione di atti sanzionatori e del contenzioso. Figura poi la frazione di costo della gestione dell'apparato amministrativo, nonché della classe politica ai vari livelli di governo. Una parte di questi oneri potrebbe essere ridotta dalle semplificazioni burocratiche, che hanno però come controindicazione il rischio della fuga di massa di evasori e della corresponsione di pensioni a falsi reduci delle guerre napoleoniche...

 

In precedenti scritti avevamo accennato alla difficoltà di percezione, da parte del pubblico, dell'ordine di grandezza dei fenomeni economici. E' un riflesso dello sforzo necessario per passare dal micro al macro. Mentre abbiamo chiara la distanza fra la nostra casa e il bar più vicino o la differenza fra livelli di pensione, sono meno evidenti i pesi delle varie poste contabili del bilancio dello Stato. Assistiamo allora sui media ad un florilegio di termini del tutto fuori misura, come stangata, voragine, crollo, balzo in avanti, etc.

    

Per valutare il peso reale delle future manovre del governo, dobbiamo ricordare alcuni dati fondamentali. Il debito pubblico supera i 2.000 miliardi; il Pil, i 1.600; la spesa pubblica gli 800 miliardi. La pressione fiscale, che comprende però i contributi a fronte dei quali i cittadini fruiscono delle pensioni e dell'assistenza sanitaria e sociale, raggiunge il 53%; la pressione tributaria in senso stretto si aggira intorno al 35%. Ci accorgeremo allora che l'Imu sulla prima casa supera di poco il 2 per mille  del Pil e il 5 per mille della spesa pubblica. Il 50% del gettito è pagato dal 10% dei contribuenti. E' vero però che l'aggravio sul reddito netto di un appartamento medio in zone non centrali (reddito presunto per la prima casa) rappresenta un onere di oltre il 15%. Un discorso analogo ma molto più pesante va fatto per le seconde case e i capannoni industriali. In questo caso dunque la sensazione di gravosità del carico tributario è corretta.

    

Secondo le attuali indiscrezioni, il governo si accingerebbe a varare in prima battuta una manovra di circa 9 miliardi: poco più di mezzo punto di Pil e dell'1% della spesa pubblica. Per avere un'idea dell'ordine di grandezza, è come se su uno stipendio di 1.200 euro mensili spendessimo 6 euro, e cioè due cappuccini e due cornetti.

 

Di fronte all'apparente esiguità dei primi interventi è sorta la tentazione individuare veri o presunti "tesoretti". Occorrerà tener conto di due parametri congiunti: dimensioni realistiche ed arco temporale necessario. I tesoretti occulti sarebbero quattro: le spese inutili; l'evasione fiscale; la corruzione; i minori interessi sul debito pubblico.

    

Il discorso sulle spese inutili è complesso e comporta difficoltà definizionali: una spesa può essere utile o inutile a seconda del criterio di giudizio adottato. Quel che è certo è che anche le spese inutili, se vengono ridotte, hanno un primo impatto negativo (minore occupazione, minore reddito, minori contratti per aziende private). E' un discorso che vale paradossalmente anche per la riduzione della corruzione. La contrazione della spesa pubblica superflua o frutto di corruzione deve essere tempestivamente compensata da spesa virtuosa o da sgravi fiscali equivalenti. Secondo la Corte dei Conti la corruzione pesa per 60 miliardi: i tempi per eliminarla sono molto lunghi e i costi di controllo e di verifica molto alti. Talora sono necessarie briglie burocratiche fra l'altro allentabili. Si pensi ai certificati anti-mafia.

    

La lotta all'evasione dura da decenni, con alterne fortune. Mal si concilia con le proteste contro Equitalia e con la liberalizzazione degli scambi finanziari. Non è chiaro se i 13 miliardi recuperati nel 2012 siano un dato di cassa o di competenza e cioè veri o presunti. Così come non è chiaro se gli altri 13 previsti per quest'anno siano addizionali o sempre gli stessi. Senza una robusta crescita della coscienza civile ed una radicale riforma fiscale si ha l'impressione di una fatica di Sisifo.

    

Rimarrebbe il risparmio sul costo del debito. In poco più di un anno gli interessi sono calati di circa tre punti: su un rifinanziamento annuo di 300 miliardi emergerebbero 9 miliardi. Si potrebbe anche pensare a massicce riconversioni, come quella del 1908 (tutto il debito pubblico fu riconvertito ad un tasso inferiore) . Ma operazioni di questo tipo sono oggi rese impraticabili dalle reazioni del mercato e dalla imprevedibilità dei tassi futuri. Per quanto concerne, infine, l'ordine di grandezza della riduzione dei costi della politica, ci sembra che sia stato fortemente sovrastimato.

    

I tesoretti, dunque, non sono proprio immaginari, ma le operazioni di recupero sono difficili, lente e soggette all'effetto Nimby (gli evasori e i corruttori sono sempre tutti gli altri....). Non vorremmo che queste risorse potenziali assomigliassero alla pentola colma d'oro alla base dell'arcobaleno dei Coboldi delle saghe nordiche.

 

Modifica comunque in parte l'aspetto minimalista delle prevedibili manovre iniziali il già accennato fenomeno del moltiplicatore. Gli impulsi dell'intervento pubblico ne risulteranno amplificati. Si parlerà dunque di moltiplicatori positivi o negativi, relativi a ciascun tipo di spesa o di imposta, rafforzati o indeboliti dall'atteggiamento favorevole o contrario al provvedimento degli operatori di mercato. Ad esempio gli esperti comunitari nell'impostare gli strumenti per combattere la crisi finanziaria hanno sottostimato gli effetti negativi sul Pil e sull'occupazione.

    

Ne conseguono alcuni risultati interessanti.

     A - I moltiplicatori positivi, connessi alle riduzioni fiscali saranno tanto minori quanto più elevati sono i redditi che ne traggono vantaggio, perché solo una frazione di essi va ai consumi finali. Marchionne impiegherebbe un secolo per spendere in beni di prima necessità un reddito pari a 500 salari operai, mentre una riduzione delle spese sociali contrae i consumi di massa.

     B - Gli effetti dei contributi o degli sgravi fiscali nei confronti delle imprese non sono uguali. Il costo di transazione è maggiore per i contributi, mentre per gli sgravi fiscali vi sono tempi di attuazione minori e procedure più semplici.

     C - Esiste, inoltre, una categoria di moltiplicatori meno noti. Potremmo chiamarli "moltiplicatori normativi": si tratta della propagazione degli impulsi derivanti dagli effetti positivi o negativi di norme burocratiche adottate o soppresse.

     D - Gli interventi di politica economica concretamente realizzabili sotto la spada di Damocle della folle norma costituzionale del pareggio di bilancio, sono di ordine di grandezza comunque limitato. In regime di globalizzazione i grandi impulsi sono prodotti dal fiume possente dell'economia mondiale, dal quale defluiscono le correnti nazionali. Si tratterà dunque di agevolarne il corso e ampliarne gli effetti tramite una redistribuzione sostenibile della nefasta concentrazione dei redditi e delle ricchezze.

    

Un punto deve essere chiaro: la creazione involontaria o meno di attese destinate a non realizzarsi in tempi brevi ne ostacola la fattibilità. La propagazione degli impulsi, come abbiamo già accennato, è tanto maggiore quanto più l'ambiente è ricettivo, e cioè quanto più tutti i protagonisti economici si muovono in sintonia con le scelte del governo. Se il sogno dell'impossibile diventa sonno della ragione genera mostri. Meglio quindi una realtà tangibile in bianco e nero che un sogno fasullo in technicolor.

Martedì, 28. Maggio 2013
 

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