La crescita fragile dell’economia

Il Pil sale più del previsto e ci colloca al vertice dell’eurozona, ma non è il caso di gioire troppo. Esaminando la sua composizione e i dati sulla produzione industriale e il commercio con l’estero si individuano tendenze che destano piuttosto qualche preoccupazione

Sono stati in molti ad esultare a fine maggio per i dati del Pil del primo trimestre, che hanno visto una crescita dell’economia italiana dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti, contro lo 0,1% dell’area euro, lo 0,2% della Francia e il -0,3% della Germania. Dati che confermavano il consuntivo 2022, in cui il Pil dell’Italia, con il 3,7%, ha sopravanzato la crescita sia dell’eurozona (3,5%) sia di Francia (2,6%) e Germania (1,8%). Pochi giorni dopo però sono arrivati i dati della produzione industriale, che mostrano un quadro tutt’altro che rassicurante. Ad aprile infatti la produzione industriale, con un pesante -1,9%, è diminuita per il quarto mese consecutivo in termini congiunturali, con flessioni estese a quasi tutti i settori. Il calo tendenziale è stato del 7,2%, mentre la flessione complessiva del primo quadrimestre risulta pari al 2,9% rispetto al corrispondente periodo del 2021.

E’ chiaro dunque che, in questa fase congiunturale, gli andamenti del Pil e della produzione industriale stanno andando in direzione opposta. Ed è naturale interrogarsi su che cosa stia alimentando la crescita dell’economia italiana e quali prospettive ne derivino.

Cominciamo con il dire che la causa principale del difficile momento attraversato dall’industria va individuato nel rallentamento dell’economia mondiale e in particolare della crisi della Germania, che risente drammaticamente sia del raffreddamento dell’economia cinese sia della chiusura del mercato russo. Le prime ad essere colpite sono state le nostre esportazioni, che ad aprile sono diminuite dell’1,7% rispetto a marzo e del 5,4% nei confronti di aprile 2022: è la prima riduzione tendenziale da febbraio 2021. In calo sia i mercati Ue (-5,7% a/a) che extra Ue (-4,9% a/a), con l’export verso la Germania che su base annua ha subito un crollo dell’8,7%.

Le difficoltà determinate dalla caduta delle esportazioni sono tanto più forti per l’industria se si pensa che ormai oltre il 50% della produzione manifatturiera viene venduto all’estero, come mostrano le stime di Intesa Sanpaolo e Prometeia riprese da Affari & Finanza del 12 giugno. Ciò da un lato dimostra la forza competitiva del nostro apparato industriale, ma dall’altro evidenzia le difficoltà del mercato interno, soprattutto quello di maggior qualità, dove i prezzi sono più alti.

E qui torniamo alla crescita nel primo trimestre. A fronte di un aumento tendenziale del valore aggiunto a prezzi base del 2% (e del Pil dell’1,9%), agricoltura e industria fanno segnare diminuzioni rispetto ai primi tre mesi del 2022, rispettivamente, dello 0,6% e dello 0,5%, mentre i servizi aumentano del 2,9%. La flessione dell’attività industriale è tutta da imputare all’industria in senso stretto (-1,1%), a fronte di un aumento delle costruzioni del 2,1%. All’interno dei servizi, tranne le attività finanziarie e assicurative (-2,8%), crescono tutti i macro comparti. Innanzitutto quelli più colpiti dal Covid, come le attività artistiche e di intrattenimento (+10,1%), e in secondo luogo il commercio, trasporto, alloggio e ristorazione (+3,8%), seguito dalle attività immobiliari (+3,6%), dall’informazione e comunicazioni (+2,9%) e dalle attività professionali e di ricerca (+2,8%).

Queste tendenze appaiono determinate da cause ben precise. La crescita delle costruzioni è fin qui continuata sulla scia dei bonus edilizi adottati dal governo Conte 2 e confermati da Draghi, cui il governo Meloni ha cercato di porre un freno, arginando la falla apertasi nei conti pubblici. L’espansione del commercio e dei servizi di alloggio e ristorazione è anch’esso frutto di provvedimenti adottati dai governi precedenti e confermati in questo caso da Meloni, come la possibilità di appropriarsi da parte di bar e ristoranti di spazi pubblici (i dehors). A questo va aggiunto il boom del turismo di provenienza estera, che sta recuperando rapidamente il terreno perduto durante la pandemia. La crescita delle attività immobiliari è a sua volta legata all’espansione delle costruzioni e al desiderio della parte più benestante delle famiglie italiane di ancorare i propri risparmi al mattone in una fase congiunturale in cui l’inflazione è tornata a galoppare.

In sostanza sono stati soprattutto questi fenomeni a “fare” il Pil tra il 2022 e il primo trimestre 2023. Occorre a questo punto interrogarsi sulla qualità della crescita dell’economia italiana e sulla sua sostenibilità nel medio periodo. Il giudizio, ahimè, è piuttosto deprimente. Delle troppo generose e insostenibili agevolazioni concesse all’edilizia abbiamo già detto. Numerose ombre si addensano anche sul boom del turismo e dei servizi di alloggio e ristorazione, che sta avvenendo a spese del già precario decoro dei centri storici delle città e a scapito del “buon vivere” dei residenti che, soprattutto di notte, ne subiscono le conseguenze negative. Inoltre il crescente aumento degli affitti brevi, registrati e non, che - secondo le stime di Sociometrica elaborate per Federalberghi – rappresentano ormai il 42,3% del turismo totale, ha generato un enorme volume di nero. Su questo tema il ministro del Turismo Daniela Santanchè ha annunciato un disegno di legge. Occorrerà infine tenere sotto osservazione la crescita delle attività immobiliari per evitare che, in un periodo di inflazione come questo, si possano creare pericolose bolle speculative.

E’ questa la qualità della vita che vogliamo? Oltre tutto una crescita alimentata da queste componenti è poca cosa. La Banca d’Italia e l’Istat, nelle loro recenti proiezioni, sono concordi nel prevedere un aumento del Pil attorno all’1,2 – 1,3 per cento quest’anno e all’1 – 1,1 per cento nel 2024. Più in particolare la Banca d’Italia prevede per il biennio 2023-2024 una espansione dei consumi delle famiglie dell’ordine dell’1,3 – 1,2 per cento, mentre gli investimenti, che risentono anche della politica di inasprimento dei tassi d’interesse della Bce, passerebbero dal 3% di quest’anno a una variazione nulla nel 2024, come risultato dell’aumento dell’1% degli investimenti in costruzioni e del simmetrico calo della spesa per beni strumentali. (Ricordiamo che nel 2022 i consumi privati sono aumentati del 4,6% e gli investimenti del 9,7%). Neanche l’implementazione del Pnrr riuscirebbe ad alzare queste stime.

In conclusione non c’è da esultare per i risultati del Pil del primo trimestre né pensare che siamo stati più “bravi” dei tedeschi e del resto dell’eurozona. La crescita italiana resta debole e soprattutto molto povera qualitativamente. Se ne rende conto il governo Meloni?

Lunedì, 19. Giugno 2023
 

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