La corsa a ostacoli per gli investimenti

I limiti alla spesa pubblica sono solo uno dei problemi e, in questa fase, nemmeno il maggiore. I freni vengono dalla scarsa capacità progettuale e dall’intrigo burocratico che dovrebbe combattere la corruzione, a cui si aggiunge l’incertezza sulla strategia del governo. Eppure qualcosa si muove: nel primo semestre i lavori aggiudicati, per bandi oltre un milione di euro, sono cresciuti del 42,5% come numero e del 75,5% come importo

In Italia, si sa, ogni nuovo governo, che sia espressione di una nuova maggioranza politica, deve fare – almeno a parole – il contrario del governo che l’ha immediatamente preceduto. Raramente un nuovo governo ammetterà che qualcosa di buono il governo precedente ha fatto. A volte buone riforme, che hanno bisogno di tempo per essere implementate, vengono sradicate sul nascere senza giustificati motivi, se non quello di essere state varate da un esecutivo di colore diverso. Si tratta di un grosso limite della politica italiana, pienamente confermato dal governo Conte-Salvini-Di Maio, che ha cominciato a mettere mano a un contratto di governo molto ambizioso dal costo presunto di ben 120 miliardi di euro, tagliando ogni ponte con il passato.

La realtà comincia però a mettere a dura prova i sogni giallo-verdi. Sotto due aspetti. Il primo è che sempre con la nostra anemica (e ora declinante) crescita il nuovo governo deve fare i conti. E il secondo è che le risorse per attuare l’ambizioso programma del cambiamento da qualche parte si devono pur trovare. Per quanto riguarda il primo aspetto, le previsioni sulla crescita 2018 sono ormai al di sotto di quell’1,5% raggiunto faticosamente l’anno scorso e possono essere realisticamente comprese tra l’1,2 e l’1,3 per cento. L’anno prossimo la crescita si ridurrà ulteriormente e sarà un grande risultato se si riuscirà a non scendere sotto l’1%. Il nuovo governo dirà a settembre, con la Nota di aggiornamento al Def, quali sono le sue stime. Tendenziali e programmatiche.

E qui veniamo al secondo aspetto e alla filosofia cui sembra ispirarsi il ministro dell’Economia Tria per attuare il contratto di governo. La filosofia di Tria è molto semplice ed è quella di puntare sugli investimenti pubblici per aumentare il Pil, consentendo così sia di proseguire nel sentiero di riduzione del deficit e del debito pubblico in rapporto al Pil sia di trovare le risorse finanziarie per realizzare il programma del cambiamento. Nonostante le critiche di chi, come Carlo Cottarelli, ritiene che aumentare il deficit sia pure per fare investimenti non sia una prospettiva gradita ai sottoscrittori dei titoli pubblici di un paese già fortemente indebitato, questa strategia può essere in linea di principio condivisibile. Oltre a rilanciare la domanda e l’occupazione, avrebbe anche il merito di espandere lo stock di capitale del Paese, in pericoloso arretramento dal 2009 in poi. Il punto è però quello di capire quanti investimenti si riusciranno effettivamente a realizzare e quale moltiplicatore metteranno in moto per la crescita e per trovare le risorse destinate alle riforme. Dovrà essere la Nota di aggiornamento al Def a quantificare queste cifre.

Il rilancio degli investimenti pubblici non è però un problema di facile soluzione, come dimostra il loro andamento nell’ultimo decennio in cui sono scesi di un punto di Pil, essendo passati dal 3% del prodotto nel 2008-2009 a meno del 2% di oggi. La caduta degli investimenti pubblici avvenuta negli ultimi anni non sembra peraltro un problema di stanziamenti, che sono aumentati con le due ultime leggi di bilancio, quanto di troppa burocrazia, frequenti casi di corruzione, scarsa capacità progettuale da parte degli enti territoriali, cambiamenti nelle regole di finanza locale e incertezza normativa. Più in particolare, il principale imputato, se si leggono le dichiarazioni dei rappresentanti del governo, sembra essere diventato il codice degli appalti e con esso l’Anac (l’Autorità anti-corruzione presieduta da Raffaele Cantone). “Oggi ci sono 10 miliardi di investimenti, già stanziati, in pancia agli enti pubblici. Sono bloccati da questo codice degli appalti complicato e illiberale.” Così Di Maio in un’intervista rilasciata a La Verità del 2 luglio.

Per affrontare il problema è stato istituito presso il ministero delle Infrastrutture un tavolo di cui fanno parte, oltre al ministro Toninelli, il ministero dell’Economia, la presidenza del Consiglio, la Ragioneria generale dello Stato, l’Anac e l’Ance (l’associazione dei costruttori). Non è però ancora chiaro che cosa si voglia fare per semplificare un codice nato sulle ceneri della Legge Obiettivo del 2001, con il duplice intento di assicurare maggior efficienza nel settore delle opere pubbliche e di combattere la corruzione. Mentre la Legge Obiettivo, in piena era berlusconiana,  puntava sulle grandi opere e assegnava un ruolo decisivo ai privati attraverso la figura del general contractor, che era responsabile della realizzazione dell’intero progetto, il nuovo codice degli appalti assegna all’Anac il ruolo di vigilare sui bandi di gara e sulle aziende appaltatrici e rivoluziona le regole dei contratti pubblici, eliminando la figura del general contractor, riducendo il numero degli enti appaltanti, introducendo un tetto sui subappalti e abolendo il criterio del massimo ribasso, sostituito da quello del miglior rapporto prezzo-qualità nell’aggiudicazione delle gare. L’idea di fondo, voluta dall’ex-ministro Delrio, è quella di affidare alla struttura pubblica il controllo, lasciando alle imprese il compito di realizzare le opere, grandi e piccole. 

Il nuovo codice ha incontrato fin dall’inizio una forte resistenza da parte delle imprese di costruzione, costringendo il governo nell’aprile 2017 a emanare un decreto correttivo ad appena un anno della sua entrata in vigore. E’ poi cominciata l’emanazione dei provvedimenti attuativi, che è ancora lontana dall’essere conclusa e che rappresenta uno dei motivi per cui il codice viene criticato. Nel frattempo però i bandi di gara, dopo un inizio difficile, sono tornati ad aumentare: come riportato da Repubblica del 10 luglio su dati Cresme Europa Servizi, nel primo semestre 2018 i bandi di gara pubblicati sono aumentati, rispetto al primo semestre 2017, del 27,4% come numero e del 55,9% come importo, mentre i lavori aggiudicati, considerando i bandi di importo superiore a un milione di euro, sono cresciuti del 42,5% come numero e del 75,5% come importo. Qualcosa dunque si sta muovendo, anche se la vera cartina di tornasole restano gli investimenti pubblici, per i quali bisogna attendere le rilevazioni dell’Istat. D’altra parte, non va dimenticato che, corruzione a parte, neanche la Llegge Obiettivo aveva funzionato bene in termini di efficienza, se si pensa che a fine 2015 soltanto il 16% delle opere previste era stato realizzato.

Qui però, specie se parliamo di grandi infrastrutture, vengono fatalmente a galla le contraddizioni all’interno della coalizione giallo-verde e in particolare nel M5S, in linea di principio contrario a opere come la Tav e il Tap (il gasdotto che attraversa la Puglia). Senza dimenticare Salvini, che potrebbe avere idee diverse su quali infrastrutture puntare. La strada, a nostro parere, è valutare con pacatezza l’importanza delle opere da realizzare, analizzando attentamente costi e benefici (cosa che in realtà dovrebbe essere già stata fatta), ma senza avventurarsi in pericolose scorciatoie, come il ritorno alla Legge Obiettivo o lo svuotamento del nuovo codice degli appalti, che rappresenta un argine fondamentale contro la corruzione e va attuato interamente.

Giovedì, 2. Agosto 2018
 

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