La battaglia dei tre regni

Sinistra, montiani e antimontiani: queste le tre categorie entro cui possono essere classificati gli schieramenti che si fronteggiano nella campagna elettorale. Un sintetico confronto delle politiche economiche che propongono, esaminate nel contesto di un campo di gioco difficile per tutti

Ad analogia con un film storico cinese la prossima competizione elettorale sarà caratterizzata da una battaglia dei tre Regni, cioè tre raggruppamenti politici, che si distinguono prevalentemente per l'atteggiamento nei confronti del programma economico dell'ultimo anno di governo, la cui prosecuzione viene auspicata, contestata o radicalmente modificata.

    

Da oltre sei anni le economie mondiali dopo l'iniziale crack finanziario si dibattono in una recessione punteggiata da pesanti ricadute. L'Europa ne è una delle vittime principali, ma gli stessi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) non ne sono del tutto immuni. In questa non confortante cornice si inquadra il dibattito elettorale italiano.

    

I tre gruppi di contendenti, che accanto ai partiti maggiori annoverano Puffi più o meno vivaci, possono distinguersi in antimontiani, montiani e postmontiani. I primi comprendono il PdL, disarticolato in un certo numero di sottospecie con nomi evocativi di inni o canzoni folk (Fratelli d'Italia, Grande Sud). Accanto, ma non sappiamo ancora se insieme, leghisti, sempre più simili alla tribù di Cochise racchiusa in una riserva indiana; i grillini, incapsulati nel web in un mix fra reality e fantasy; e gli arancio-dipietristi che il feroce Fassina ha bollato come monotematici. I montiani, che, a dispetto delle loro dichiarazioni, sembrano ancora in cerca di identità. Contraddistinti dal motto che un tempo figurava nella testata dell'Osservatore Romano (e pluribus unum), non sappiamo se siano un partito o un movimento, moderato nei toni ma progressista nei fatti, fedele alle riforme (proprie....). La Sinistra, fresca di primarie e di una squadra di "pulcini" che Bersani-Zeman spera di tramutare in campioni, si autodefinisce postmontiana (anche se sulla sincerità di questa definizione nutriamo non pochi dubbi).

 

Prima di procedere ad una sia pur sintetica analisi dei punti determinanti, dichiarati o occultati, dei programmi economici dei tre gruppi e delle loro variegate componenti ancillari, dobbiamo fare un passo indietro. L'economia di un grande Paese in fase recessiva può essere paragonata ad un Tir. Nel giugno del 2011, nel caso italiano, essa era come un grande mezzo di trasporto lanciato in fuori giri a folle velocità lungo una pendenza tortuosa. Il pilota era decisamente fuori di testa (parlava di ristoranti affollati, di aerei prenotati, etc.); il copilota, frattanto auspicava e faceva firmare impegni a bloccare il bolide prima di un immaginario casello (il pareggio di bilancio). I nuovi piloti, balzati in corsa, hanno iniziato una lunga frenata. I sistemi economici misurano il rallentamento delle crisi nel tempo e non nello spazio. A seconda dell'intensità e dell'ampiezza della recessione, la frenata può durare mesi o anni. I tecnici hanno schiacciato il freno a tavoletta. Ma la loro scarsa conoscenza della complessa macchina amministrativa - dimostrata dalla mancata approvazione di molti decreti attuativi, per alcuni dei quali, secondo la Confindustria, manca ancora addirittura la modulistica - ha fatto sì che essi non siano stati in grado di attuare quello che gli anglosassoni chiamano "fine tuning". Proseguendo nella nostra analogia, non hanno saputo usare il "freno motore", che consiste nello scalare fulmineamente le marce, mantenendo così la macchina in carreggiata.

    

Attualmente la situazione di fronte alla quale si troveranno i nostri contendenti è la seguente. Lo spread si è sensibilmente ridotto anche per la apparente soluzione del problema del fiscal cliff. Ciò significa la contrazione di tutta la rete dei tassi di interesse, che incide sul bilancio pubblico, ma anche sui mutui, sui costi di magazzino e in definitiva su tutte le componenti del prezzo delle merci che hanno un riferimento temporale. Nonostante ciò l'onere per interessi sul debito pubblico continua ad aumentare: dai 70 miliardi annui marcia verso gli 80-85. Dovrebbe ipoteticamente diminuire il rapporto deficit/pil", puntando ad un pareggio di bilancio puramente virtuale. Però, di fronte al rapido accrescimento del debito pubblico, sembra di assistere al trucco di una servetta infingarda che nasconda la spazzatura sotto il tappeto. La produzione industriale è quasi ai minimi storici; la disoccupazione, compresi i cassintegrati, si approssima ai livelli spagnoli. Si ha l'impressione che mentre il precedente governo danzava sull'orlo dell'abisso in lustrini e tutù, quello attuale sprofondi sobriamente in una palude in tuba, sparato, smoking e ghette....

 

Di fronte a questo quadro non esaltante, quali proposte offrono i vari gruppi?

    

Gli antimontiani ritornano al Carnevale di Rio: meno tasse per tutti, abolizione dell'IMU accompagnata da "lieve" tassazione di giochi, birra e tabacchi. Il tutto condito con frammenti del papiro di Brunetta di qualche anno fa. In parallelo, gli arancioni ritengono che la lotta alla mafia risolva ogni problema ed i grillini pensano che la soluzione di tutti i nostri mali consista nell'uscire dall'euro e nel tagliare i costi della politica (che non arrivano al cinque per mille del Pil!). Più proteste che proposte: quel che si dice "parlare alla pancia dell'elettorato".

    

I montiani puntano a colmare le lacune del programma originario, favorendo la crescita. Il modello ispiratore però è quello neoliberista, cosicché abbiamo il sospetto che l'accenno alla patrimoniale sia dovuto ad un frettoloso copia e incolla. La spesa pubblica va ridotta (ah,ah! le memorie lontane del Leviathano di Hobbes e dei miti reaganiani!); il welfare razionalizzato (leggi ridotto); le assicurazioni private dovranno espandersi nella sanità e nella previdenza; bisogna accrescere la flessibilità del lavoro. L'economia privata è l'unico motore di sviluppo. La ventennale esperienza italiana di un ceto imprenditoriale medio-piccolo poco innovativo e propenso al clientelismo e all'affarismo spicciolo sembra dimenticata. Nella pretesa onestà di intenti si annida il baco di un'impostazione concettuale che, essendo fideistica, non sembra lasciarsi scalfire dall'evidenza dei fatti. Non sappiamo se potrebbe piegarsi ad un compromesso politico. Le forze che sostengono il progetto appaiono così divergenti fra loro dal punto di vista delle visioni economiche da apparire una coalizione arcobaleno, di fronte alla quale l'infausto Prodi 2 sembra un monocolore.

 

I postmontiani si presentano con un consapevole inganno. Dire di voler migliorare il programma dei tecnici, aggiungendovi equità, solidarietà e sviluppo (concetto più ampio della crescita perchè comprende la sfera dei diritti) è una menzogna, forse utile a livello internazionale. D'altronde le esperienze dei responsabili economici di montiani e postmontiani sono diverse: per Monti, Commissione e Goldman& Sachs; per Fassina il FMI. In realtà la Sinistra ritiene - in compagnia di quasi tutti i Nobel dell'economia - che il modello neoliberista non funzioni. Per usare una espressione inglese, abbiamo mangiato il budino e ne siamo rimasti intossicati.

    

Lo stesso equilibrio dei conti sarebbe reso possibile dalla minore concentrazione dei redditi e da una tassazione che colpisce le rendite e alleggerisce il peso sull'impresa e sulla domanda globale. Nella icastica dichiarazione di Bersani, chi ha di più deve dare di più. Lo Stato ha un ruolo nella promozione della ricerca, dell'innovazione, del trasferimento delle tecnologie, della sicurezza sociale. I sistemi previdenziali e sanitari, garantendo sicurezza ai cittadini, liberano risorse per la domanda di beni privati. In estrema sintesi, agendo sul denominatore del rapporto deficit/Pil si chiude il ciclo virtuoso del moltiplicatore. Nei confronti della Ue, la Sinistra attribuisce le difficoltà tedesche ad una politica della Cancelliera che, strozzando i propri debitori come uno Shylock, sta strangolando la stessa Germania, verso la quale si prevede un atteggiamento di critica costruttiva.

 

Un'ultima considerazione. Se il vento della ripresa dovesse ricominciare a soffiare negli Usa (se il superamento del fiscal cliff sarà autentico e non una pezza a colori) in America Latina, in Africa e in Asia (con il riequilibrio dell'economia cinese) quale delle tre alternative apparirebbe la più adatta a consentire all'Italia di saltare sul treno in corsa? Escludiamo le soluzioni demagogiche. Si possono abbindolare (forse) le casalinghe di Voghera; non gli squali della finanza internazionale. I montiani si presenteranno bene se sapranno guardarsi da improvvidi ritorni al passato, rievocando le ombre della Thatcher e di Reagan. La terza soluzione, se attuata con coerenza programmatica e senza sbandate populistiche, potrebbe offrire una ragionevole piattaforma di lancio: concentrando però le risorse sui punti chiave facendo attenzione ai particolari amministrativi, tanto trascurati dai bocconiani. Nella realtà economica nulla è meno vero che "de minimis non curat praetor".

    

Di fronte a queste alternative sta un elettorato stanco, disilluso e sconcertato. A mio parere, però, esiste qualche parametro di riferimento. Ad esempio: la difesa dei diritti dei più deboli e dei diversi; la meritocrazia accompagnata da eguali opportunità in partenza e nel corso del processo di formazione; la flessibilità del lavoro intesa come strumento per il potenziamento e non il peggioramento del suo ruolo nella combinazione dei fattori. Last but not least la coerenza comportamentale. Prima che iniziassero le giaculatorie televisive, la festività dell'Ascensione al cielo della politica ed i "silenziatori" in stile Chicago Anni '30, ricordiamo un presidente del Consiglio che ammantando di nobili parole alati concetti sgocciolava perle di saggezza rivendicando un suo ruolo super partes, riferendosi con malcelata aristocratica diffidenza alle diatribe fra partiti. Ex ore tuo te iudico, direbbero i nostri Padri.

Sabato, 5. Gennaio 2013
 

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