Gli stati Uniti e lEuropa sono stati entrambi colpiti dalla Grande recessione. Con una differenza fondamentale. LAmerica di Barack Obama ha ripreso a crescere in tempi relativamente rapidi e già nel 2014 il reddito nazionale aveva superato quello antecedente alla crisi. La disoccupazione giunta al 10 per cento al culmine della crisi è stata ridotta al 4,9 per cento. Il contrario si è verificato nellUnione europea e, in particolare, nelleurozona dove la crisi ha avuto effetti devastanti.
Il confronto fra le politiche adottate per rispondere alla crisi mostra tutta lassurdità della combinazione di austerità e riforme strutturali adottate nellUnione europea sotto legida della Commissione europea con la complicità degli stati membri delleurozona. Lausterità ha bloccato la crescita, portato a livelli esplosivi la disoccupazione e accresciuto il debito pubblico che era finalizzata a ridurre. Le riforme strutturali hanno aggredito le conquiste sociali che avevano caratterizzato la democrazia europea del vituperato Novecento: una politica reazionaria definita, con unipocrita torsione del linguaggio politico,riformista.
Dalla crisi economica alla dissoluzione della sinistra
Il paradosso non privo di conseguenze per la tenuta della democrazia è che queste politiche sono state sostenute non solo, com'era naturale, dalle destre, ma anche, e con maggiore enfasi, dai partiti di centrosinistra.
Allepoca in cui fu introdotto leuro, i quattro maggiori paesi dellUnione europea erano diretti da governi di centrosinistra: da Blair, a Jospin, a Schroeder e DAlema, con Prodi alla testa della commissione europea. Le speranze sul futuro dellUnione e sul passaggio alleuro sembrarono fondate e, per così dire, garantite dalla classe dirigente di centrosinistra. La delusione non poteva essere più sconcertante. Leuro doveva rafforzare lunione europea rispetto al resto del mondo e lha invece indebolita. La classe politica di sinistra, che era stata la principale artefice del nuovo corso dellUnione europea allalba del XXI secolo, si è dissolta.
Di Blair e Schroeder, per citare due leader storici della socialdemocrazia europea, si sono perdute le tracce. Quanto ai governi di centro sinistra sopravvissuti, François Hollande registra nei sondaggi di opinione il peggiore grado di consenso nella storia dei presidenti della V Repubblica. Mentre in Italia Matteo Renzi maschera dietro una facciata di arroganza, un governo che si regge col sostegno al Senato di un gruppo di fuorusciti berlusconiani. A sua volta, in Spagna il Partito socialista, dopo aver rinunciato alla possibilità di governare il paese in alleanza con Podemos, si spacca e riconsegna il governo al Partito popolare di Mariano Rajoy.
Tre paesi chiave
In questo panorama nel quale la crisi delleuro e degli schieramenti di centro sinistra marciano congiuntamente, il 2017, quando si terranno le elezioni in tre paesi chiave come la Francia, la Germania e (quasi certamente) lItalia, potrebbe rivelarsi lanno della resa dei conti. Molte cose impreviste come lo sono state a loro modo la Brexit e la vittoria di Trump - potrebbero accadere.
La lezione americana è da questo punto di vista istruttiva. Più che condannare gli eventi non previsti è necessario interrogarsi sulle ragioni che li rendono possibili. Lidea che la grande massa degli elettori americani ragioni con la pancia, come si è sentito discettare tra i commentatori televisivi nella lunga notte dello scrutinio, non spiega nulla, trattandosi dello stesso elettorato che per due volte di seguito ha portato alla presidenza Barack Obama, e nelle primarie democratiche aveva premiato, al di là di ogni previsione, il socialista Bernie Sanders.
Per quali ragioni la classe operaia bianca si è risolta a votare lincredibile Trump? Martin Wolf ricorda sul Financial Times che il reddito mediano delle famiglie rimane al di sotto dei livelli raggiunti nel 2000,
(mentre) fra il 1980 e il periodo più recente la quota di reddito dell1 per cento più ricco della popolazione passava dal 10 al 18 per cento. Si dirà: lo sapevamo, è lesplosione della diseguaglianza. E perché non dovrebbe avere conseguenze, quando i comuni cittadini esercitano il loro diritto di voto?
La lezione che ci propone lAmerica è che in Europa potremmo avere a che fare non con uno ma con molti piccoli e grandi Trump. I governi presenti e passati di centrosinistra se ne rendono conto e cercano di predisporre le contromisure disgraziatamente le peggiori, oltre che autolesioniste. Quali? Leurozona ci offre tre esempi che non sono gli unici, ma certamente i più significativi.
Abbiamo visto che In Spagna, il Partito socialista prima rigetta la possibilità di formare un governo di rinnovamento con Podemos e altre forze disponibili, poi si spacca e decide di appoggiare un governo di minoranza guidato dal Partito popolare di Mariano Rajoy, complice delle politiche imposte da Bruxelles col sostegno di Berlino, dirette a ridurre salari e pensioni, e responsabili di una disoccupazione che ha superato il 20 per cento della popolazione attiva, come accadeva nellAmerica della Grande depressione degli anni Trenta.
In Italia lo schema dovrà essere con ogni probabilità rovesciato, Dopo la riforma dellattuale sistema elettorale, scandalosamente iper-maggioritario, con un sistema ispirato a un principio di proporzionalità, il partito democratico-renziano, per liberarsi dallipoteca di un possibile successo delle Cinque stelle, cercherà di tornare al governo col sostegno di uno schieramento neo-berlusconiano che dovrebbe garantire la tenuta di un governo di coalizione, col naturale proseguimento della politica che abbiamo già disastrosamente sperimentato.
In Francia, dove François Hollande sarà probabilmente costretto dal suo partito a rinunciare a unimbarazzante candidatura, per evitare lascesa allEliseo di Marine Le Pen vedremo con ogni probabilità ciò che rimane del vecchio glorioso partito socialista, dopo la sconfitta di Sarkozy alle primarie, sostenere François Fillon, ex primo ministro di Sarkozy, e di chiara tendenza thatcheriana, ripetendo la scelta del 2002, quando il Partito socialista votò Chirac per evitare la possibile elezione alla presidenza di Jean - Marie Le Pen.
Ma la politica sincarica generalmente di smentire le previsioni apparentemente più certe. E accaduto con la Brexit nellUnione europea, e ora con Trump in America. In Francia potrebbe verificarsi un incidente di percorso. Lincidente porrebbe essere costituito dalla convocazione di un referendum sulla politica europea, ripetendo lesperienza del 2005, quando i francesi respinsero il progetto di costituzione europea.
I referendum, come abbiamo imparato, sono strumenti incontrollabili. Il loro esito non è prevedibile perché gli elettori votano non secondo lappartenenza di partito, ma secondo il giudizio che si fanno del quesito del referendum. A differenza della Brexit, il risultato del referendum francese potrebbe segnare il ripudio delleuro senza mettere in discussione la permanenza della Francia nellUE. Si tratta di scenari che il dibattito corrente preferisce esorcizzare. Ma la crisi delleuro come dei partiti di centro sinistra, che ne sono rimasti i più tenaci assertori, sono fatti che è difficile esorcizzare.
Un esperimento fallito
Lesperimento delleuro, alla luce dei fatti, non delle intenzioni, o di quello che poteva essere fatto e non è stato fatto, è fallito. Il vizio dorigine è nellaver trasformato in una moneta comune il marco tedesco. La politica che ne è seguita non è stata né giusta né sbagliata ma semplicemente insostenibile, essendo la proiezione della politica monetaria tedesca - derivante da una storia particolare con al centro lorrore dellinflazione e alle spalle unirripetibile struttura economica che fa della Germania la quarta economia e la prima potenza esportatrice a livello mondiale.
Le controprove sono alla luce del sole. Mentre nelleurozona assistiamo alla più lunga crisi che si ricordi, gli stati membri dellUnione europea rimasti fuori dall'euro come la Polonia, la Svezia e il Regno Unito hanno da anni ripreso la crescita e ridotto la disoccupazione.
Il fatto è talmente evidente che i paesi entrati nellUnione europea con lallargamento, obbligati a predisporre lingresso nelleuro, si sono comportati in due modi radicalmente diversi. I sette stati membri che si sono aggiunti ai dodici originari (Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Cipro e Malta) assommano nellinsieme una popolazione inferiore a quella di un grande Land tedesco. Gli altri paesi entrati nellUnione, ma che sono rimasti fuori dall'euro (principalmente, Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania e Bulgaria), sono quelli più rappresentativi del processo di allargamento, con una popolazione complessiva intorno a cento milioni di abitanti.
In sostanza, si allarga unarea che si può definire del marco per limportanza dei rapporti economici che paesi di minori dimensioni intrattengono con la Germania, mentre gli altri scelgono ladesione allUnione europea, tenendosi lontani dal contagio delleuro.
Prendere atto del fallimento delleuro è lunica possibilità per impedire che la sua crisi coinvolga nel fallimento l'intera Unione europea, che, con tutti i suoi limiti e i molti aspetti che meritano di essere rivisti e corretti, rimane nei suoi fondamenti essenziali la maggiore, positiva eredità del secolo scorso.
Non si tratta di abolire leuro (o impedire lesistenza di un euro-marco). Ma di tornare a distinguerlo dallUnione europea, e lasciar scegliere alle popolazioni dei singoli stati membri luna o l'altra opzione, in ossequio ai principi fondamentali della democrazia. I referendum popolari potrebbero esserne non lunico strumento, ma certamente il più democratico.
La Brexit è stato un esempio. La Francia, come abbiamo visto, potrebbe seguirlo con una finalità diversa: sacrificare leuro per salvare lUnione europea. Altri paesi potrebbero seguire lesempio. In Italia i referendum sui trattati internazionali non sono ammessi dalla Costituzione. Ma non è impossibile individuare un tema di politica interna collaterale. Un libero dibattito, privo di tabù, sulla crisi delleuro, sulle sue conseguenze e sulle possibili vie duscita non è vietato, è auspicabile, e potrebbe contribuire a un effettivo cambiamento degli scenari politici in Italia come nellUnione europea.
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Postscriptum
Commentando una prima bozza di quest'articolo, a proposito dellipotesi di un referendum popolare che potrebbe portare la Francia fuori dalleuro senza mettere in discussione la permanenza nellUE, Mario Nuti mi fa notare che la normativa europea stabilisce che non si può uscire dall'euro senza prima uscire dall'UE. In effetti, larticolo 50 del Trattato di Lisbona del 2009 è formulato in modo da giustificare questa osservazione. Il suo incipit (art.1) ora invocato dal Regno Unito per procedere alla Brexit stabilisce che Ogni Stato membro può decidere di recedere dallUnione conformemente alle proprie norme costituzionali. Leuro non è mai citato, donde la conclusione che, in linea di principio, dalleuro non si possa uscire.
L'argomento ha tuttavia suscitato opinioni contrastanti. Claudio Lettieri ricorda che Pietro Manzini, professore di diritto dellUnione europea a Bologna, scriveva sulla Voce.info (18.11.11) : ".. a ben vedere larticolo 50 non è un ostacolo giuridico insormontabile alluscita dalleuro, mantenendo contemporaneamente lappartenenza allUnione. Anzitutto, prevedendo la possibilità di recesso dallUnione, non vieta esplicitamente il recesso solo dalleuro; in effetti, al riguardo, larticolo semplicemente tace. In secondo luogo, una norma che ammette la possibilità di recedere dallintero blocco degli obblighi europei potrebbe essere interpretata nel senso di consentire anche la possibilità di recedere da una parte soltanto di questi obblighi: qui peut le plus peut le moins. Infine, la permanenza nellUnione sia di Stati che ancora non hanno i requisiti per far parte delleuro sia di Stati che, pur avendone i requisiti, non hanno la volontà politica di aderirvi, dimostra che lappartenenza allUnione non è costituzionalmente legata alladesione alla moneta unica. Pertanto, il recesso volontario dalleuro di alcuni Stati in default (o a rischio default), sebbene non esplicitamente previsto, non è giuridicamente inimmaginabile".
A sua volta, (continuua Claudio) Luciano Gallino nelle conclusioni del suo ultimo libro (uscito postumo) sostiene che, al verificarsi di particolari circostanze come, per esempio, potrebbe essere limpossibilità di rispettare il Fiscal compact - LItalia, facendo valere limpossibilità di rispettare questo obbligo .. (potrebbe chiedere) che la UE prenda atto che essa non può essere (più) considerata membro delleurozona, pur volendo mantenere la condizione di stato membro della UE (Come (e perché) uscire dall'euro, ma non dall'Unione europea, Laterza, 2016, p.192). In tal senso, Gallino stesso fa riferimento a giuristi esperti di diritto europeo che sostengono la possibilità di un recesso dalleuro senza uscire dallUE. Peraltro, il semplice fatto che vi siano Stati membri che fanno parte dellUnione europea senza far parte delleuro costituisce un elemento oggettivamente rilevante in favore della possibilità che si possa rinunciare alleuro senza dover necessariamente abbandonare lUnione.
Personalmente ritengo che l'esemplificazione di Gallino sul Fiscal compact sia pienamente fondata in base al principio Rebus sic stantibus, essendo il "Patto di bilancio" un trattato internazionale, non approvato dal Palamento europeo e non incorporato nella legislazione europea, e per di più sottoposto a verifica dopo cinque anni dall'inizio della sperimentazione nel 2014.
Andando al di là degli aspetti giuridici, Ruggero Paladini, richiama lattenzione sulle conseguenze economiche di unuscita dalleuro, scrivendo che potrebbe comportare nel caso dell'Italia un immediato default del debito pubblico e delle banche. Per cui: Sarebbe bene cominciare a prepararsi a questa eventualità, che non è sicura ma quasi.
Concordo pienamente sul fatto che una possibile (sicura, o quasi) uscita dalleuro ponga non trascurabili problemi sotto molteplici profili. Ma proprio per questa ragione bisognerebbe discuterne laicamente. La cosa sorprendente è che, invece, su questi temi centrali per l'Italia e per il futuro della costruzione europea, la riflessione e il dibattito siano riservate a pochi addetti ai lavori, quando non considerati fuorvianti e irrituali rispetto a una sorta di "euro-religione".
Per concludere queste notazioni, credo valga la pena di considerare lopinione di Joseph Stiglitz, quando sostiene che la partecipazione alleuro e le politiche che, non a caso, ne sono derivate si sono dimostrate insostenibili comè dimostrato dalla sequenza di recessione e stagnazione che si è abbattuta sulla maggioranza degli stati membri delleurozona. Dallanalisi della nascita e dello sviluppo delleuro Stiglitz trae la seguente conclusione: Molti in Europa saranno addolorati per la scomparsa delleuro. Non è la fine del mondo... Cè molto di più nel progetto europeo, nella visione dellintegrazione europea che non un accordo monetario. E aggiunge: Si supponeva che la valuta promuovesse solidarietà, integrazione e prosperità
è diventato un impedimento alla loro realizzazione
è meglio abbandonare leuro e salvare li progetto europeo (The Euro- How a common currency threatens the future of Europe, p.295, 2016). Può essere considerata una valutazione pessimistica. Ma sta di fatto che rifletta una realtà difficilmente confutabile.
L'appartenenza all'Unione
L'appartenenza all'Unione Monetaria Europea è un obbligo di tutti gli Stati in virtù di essere membri dell'Unione, come parte integrante del cosiddetto acquis communautaire - a condizione che ne siano rispettate le precondizioni di tasso di inflazione a non più di 1,5% sopra la media dei tre paesi meno inflazionistici, di tasso di interesse sul debito pubblico a 10 anni a non più del 2% sopra la media degli stessi paesi, stabilità del tasso di cambio con l'euro e rispetto dei parametri fiscali del 3% del PIL per il deficit pubblico e del 60% del PIL per il debito pubblico (o tendenzialmente approssimati in misura soddisfacente). A meno che il paese membro abbia negoziato una deroga al momento della sua ratifica del Trattato di Maastricht, come UK e Danimarca. La Svezia ne è rimasta fuori finora per non avere mai aderito all'ERM II, ma e' soggetta all'obbligo di aderire come i tutti gli altri paesi che ancora non hanno aderito, e che si possono tener fuori solo deliberatamente mancando di soddisfare le condizioni di Maastricht. L'uscita dall'euro per i paesi che già ne fanno parte implica pertanto l'uscita dall'UE. Rispetto Manzini e Gallino ma i loro argomenti non mi convincono per niente.
Il problema con l'uscita - a parte il soqquadro finanziario del ritorno a una valuta nazionale e il costo di dell'uscita dall'Unione (Exitalia) - è che richiederebbe lunghe e segrete preparazioni, mentre l'Italia è a corto sia di tempo che di discrezione.
Lanalisi di Antonio Lettieri
Lanalisi di Antonio Lettieri mi sembra perfetta. Tutto quel che egli dice è esatto: dalleffetto di trascinamento di Trump allo sbriciolamento della sinistra in Europa (esemplare la Francia, ma anche lItalia non scherza), alla natura assunta dallarea euro (o area marco; un altro modo, certamente meno cruento, di cercare di conquistare lEuropa, dopo la sconfitta nelle due guerre mondiali) ed altro.
Bisognerebbe, credo, riflettere un po di più sulle ragioni socio-economiche che hanno portato a questa situazione (legemonia culturale delle classi più ricche, linfluenza dei gruppi di potere, anche attraverso la stampa, lo sbriciolamento della classe operaia, limbecillità delle sinistre, la politica economica liberista, la crescita del settore finanziario, lausterità imposta dallUE, per limitarmi a quelle più evidenti). Soltanto dopo simili riflessioni si potranno dare indicazioni sullagenda.
A parte la questione giuridica circa la possibilità di uscire dalla UE, ma non dalleuro (è forse possibile e sarebbe una grossa lezione per Germania e accoliti), penso che leuro sia stato un grosso fallimento, se si esce dallottica tedesca, e che le istituzioni create dallUnione monetaria siano profondamente sbagliate ed inique.
Tuttavia, prima di suggerire luscita dalleuro come soluzione, ci penserei tanto, perché essa implicherebbe lagrime e sangue, letteralmente, per alcuni anni. Sarebbe forse possibile se ci fosse un governo forte che goda di unampia fiducia da parte dei cittadini e delle forze politiche capace di assumere misure draconiane (controllo della finanza e dei movimenti di capitale, in primis), nonostante le reazioni feroci dei ceti interessati più direttamente, del ceto medio e dei benpensanti. Ma queste condizioni sono contraddittorie (il ceto medio è importante politicamente e non sosterrebbe il governo. In assenza delle condizioni, farei come sta facendo Renzi: batterei i pugni sul tavolo (uno dei pochi casi nei quali sono daccordo con la sua politica). Tuttavia, capisco che lefficacia di questo atteggiamento dipende dalla capacità contrattuale, dalle spalle che si possano trovare nellEuro-area e, soprattutto, dalle nostre opzioni di riserva, compresa al limite la minaccia di uscita dalleuro. Preparare la fattibilità di una tale soluzione e le condizioni di riuscita, economiche, sociali e politiche, anche per la sopportabilità dei costi, non sarebbe un esercizio sterile.
Mi stupisco che un
Mi stupisco che un sindacalista nemneno prenda in considerazione i costi sociali di un'uscita dall' euro. La ripresa di un'inflazione a due cifre, in assenza di strumenti di recupero monetario, porterebbe per salari e oensioni, diversamente dalle altre categorie di reddito, ad una falcidia di tali redditi e a una massificazione della povertà, per altro verso ad un enorme divario con le minoranze ricche.
Come vecchio sindacalista,
Come vecchio sindacalista, innanzitutto non posso chiudere gli occhi o fingere di non vedere, quello che è sotto tutti gli occhi di tutti: in Italia, sette anni di recessione più stagnazione: milioni di nuovi disoccupati (nel Mezzogiorno una media confrontabile a quella della Grecia); disoccupazione e precarizzazione oltre ogni limite per le nuove generazioni costrette a riprendere la strada dellemigrazione; impoverimento generale, nel quadro di una crisi che coinvolge quasi tutta leurozona che non si era più vista dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Con una differenza non marginale: allora comparve Roosevelt; oggi siamo nelle mani di governi (a scelta) o incapaci o complici, o tutte due.
(Dovrei forse fare unautocritica: come segretario confederale della CGIL, sostenni ladesione alleuro; poi continuai a farlo come consigliere dei ministri del Lavoro per gli affari europei .Ma non cambierebbe il giudizio su ciò che è successo dopo!).
Provocatoriamente e
Provocatoriamente e problemi giuridici a parte ribalterei la proposizione di Lettieri: restiamo nelleuro e usciamo dalla UE! Non sono pochi infatti i vincoli che ci vengono dallappartenenza allUnione più che alleuro. La burocrazia di Bruxelles è una casa opaca, dalla quale provengono diktat che impattano sulla vita dei cittadini e delle imprese senza alcuna possibilità di dibattito democratico. Il vero problema delleuro sta nello Statuto della BCE, che, al contrario di quello della Federal Reserve americana, ha come unico obiettivo la stabilità dei prezzi, e non la stabilità dei prezzi coniugata al raggiungimento della piena occupazione. La battaglia da combattere è questa, restando allinterno della moneta unica. Concordo con Ruggero Paladini, secondo cui luscita dalleuro provocherebbe il default del debito pubblico italiano e delle banche nonché aggiungo io il ritorno dellinflazione senza il rilancio della crescita. Contemporaneamente occorre avviare un processo di riforma dellUnione europea, recuperando lo spirito di Ventotene. Preso atto dei fallimenti della sinistra europea, sarebbe questa anche loccasione per ricostruire su nuove basi un progetto autenticamente riformista.
Chi scrive aveva già espresso
Chi scrive aveva già espresso riserve ai tempi del passaggio all'euro alla fine degli anni '90, mancando di omaggio ai "padri" del processo europeistico....
Paragonai, in un saggio, l'euro ad un cattivo matrimonio, regolato alla vecchia maniera, da norme che rendevano pressoché proibitiva la risoluzione al partner più debole, paventandone la rovina economica e di "status" sociale....Molti cattivi matrimoni, prima dell'avvento del "divorzio facile", infatti duravano....
Oggi, nonostante abbia mantenuto le mie convinzioni di fondo, sono consapevole dei rischi, e dei costi, per un evento di "exit". La estremizzazione del rischio da "cambio di denominazione" andrebbero---ove si volesse resistere al default---dalla dilatazione automatica del debito (pubblico, ma anche bancario e privato) denominato già in moneta forte a fronte dell'inevitabile svalutazione della nuova moneta debole....Il processo implicherebbe, probabilmente, prima fallimenti bancari, e, tendenzialmente il default pubblico. Si possono ricordare casi di paesi sudamericani o asiatici, dopo essersi sganciati da regimi di "Currency Board , di norma o di fatto, che li legavano al dollaro (ma anche con loro episodi, per lo più effimeri, di una ripresa reale).....
I vincoli di bilancio, ex-post, non sarebbero rimossi ma al limite peggiorati. Titoli di debito pubblico sarebbero rifiutati all'estero, (se non a tassi proibitivi, o con contorni di "derivati" da sottoscrivere con gli "avvoltoi"...); investitori interni, in particolare bancari, sarebbero esausti, e vincolati da Basilea (III o IV, non mi ricordo...) nell'accollo di titoli a basso rating....
Non frequento molta gente; ma quando il discorso cade sull'eventualità di un "euro-exit" colgo di solito due reazioni: coloro che hanno qualche risparmio mobiliare, anche modesto,-- e al di là degli orientamenti politici dichiarati, anche t