L’India corre verso il terzo Pil del mondo

Mentre la Cina rallenta, alle prese con il confronto con gli Usa, il calo demografico e la frenata della produttività, New Delhi macina ritmi di crescita attorno al 6%, seppure con costi sociali e ambientali elevati. E il leader Modi sta tessendo una fitta rete di accordi a tutto campo

Sullo sfondo del conflitto in Ucraina, che ha smosso gli equilibri politici internazionali, stanno avvenendo importanti cambiamenti nell’economia mondiale. Due dati di fatto sono sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della Cina e l’ascesa dell’India. Non sono fenomeni congiunturali, ma cambiamenti strutturali.

L’economia cinese è in fase di riposizionamento. Il tasso di crescita, pari al 3% nel 2022, dovrebbe attestarsi, secondo le previsioni, attorno al 4,5% nel 2023 e scendere sotto il 4% nel 2024. Valori di tutto rispetto, specie se confrontati con quelli europei, però nettamente inferiori alla media dell’ultimo ventennio, che, escludendo il 2020, anno del Covid, è stata all’incirca dell’8%. E’ chiaro che un rallentamento, dopo anni di crescita tumultuosa, appare fisiologico. Vi sono tuttavia cause profonde dietro ad esso. Innanzitutto, il calo demografico: nel 2022 la popolazione cinese è diminuita per la prima volta dal 1961, con un tasso di mortalità superiore a quello di natività. La produttività è in frenata, rendendo più difficile il passaggio da un modello di crescita trainato dalle esportazioni alla strategia, voluta dal governo cinese, di maggior sviluppo della domanda interna. La stessa competizione con gli Stati Uniti per la supremazia tecnologica, con il parziale riorientamento del commercio internazionale, sta mettendo a dura prova il sistema industriale di Pechino. Vi sono stati inoltre il caso Evergrande, altri crack finanziari e bolle speculative nella finanza e nell’immobiliare, tipici delle fasi prolungate di boom, che, oltre all’impatto economico, hanno portato a rafforzare il controllo del partito sull’economia, con esiti però poco chiari.

Le conseguenze del rallentamento cinese si riverberano sul calo della crescita e del commercio mondiali e possono impattare negativamente su quei Paesi in via di sviluppo, specie africani, che in questi ultimi anni hanno ricevuto da Pechino investimenti e aiuti economici. Anche la famosa Via della seta, tenacemente avversata dagli americani, può entrare in crisi. Al contempo riceve nuovo impulso la strategia di Washington volta a battere la Cina nella sfida tecnologica e a sostituire le importazioni cinesi con quelle provenienti da altre nazioni, soprattutto asiatiche (in particolare Vietnam, Taiwan, Indonesia).

Se l’astro cinese sta subendo una fase di appannamento, sale nel continente asiatico la stella dell’India, che in termini demografici ha già superato la Cina, diventando il primo Paese al mondo per popolazione con oltre 1,4 miliardi di abitanti. Anche il Pil indiano sta aumentando dal 2021 a tassi superiori a quelli cinesi. Dopo un balzo del 6,8% nel 2022, la crescita del Paese è prevista confermarsi attorno al 6% sia quest’anno che nel 2024. Il Pil dell’India è già adesso il quinto nel mondo alle spalle di Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania, ma nel giro di pochi anni è destinato ad insediarsi al terzo posto, anche se il divario con Usa e Cina appare ancora notevole. La controversa modernizzazione impressa all’India da Narendra Modi sta dando i suoi frutti, anche se a prezzo di forti costi ambientali e dell’allargamento delle già forti disuguaglianze sociali.

L’India in questo momento appare molto dinamica anche dal punto di vista politico. Al vertice del G20 di Nuova Delhi, che ha fatto seguito a quello dei Brics di Johannesburg, Modi ha lanciato numerose iniziative economiche. Prima fra tutte l’accordo con Unione europea, Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi per costruire il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa che può diventare un’alternativa alla Via della seta cinese. A questo si devono aggiungere la Global Biofuel Alliance, con Argentina, Bangladesh, Brasile, Italia, Mauritius, Singapore e Stati Uniti, per sviluppare e promuovere i biocarburanti sostenibili e l’accordo del gruppo Ibsa (India, Brasile e Sud Africa) per lavorare con gli Stati Uniti sulla riforma delle banche multilaterali di sviluppo (Gianmarco Ottaviano, Da Johannesburg a Nuova Delhi: come cambia l’economia mondiale).

Modi si sta muovendo a 360 gradi. Da una parte, alla riunione dei Brics ha stretto la mano a Lavrov e Xi Jinping, stando bene attento a non schierarsi contro la Russia nella guerra con l’Ucraina. Dall’altra, all’incontro del G20, dove Xi peraltro non si è presentato, preferendo inviare il primo ministro Li Qiang, non ha esitato a scavalcare l’eterno rivale cinese e a riavvicinarsi agli Stati Uniti, che appaiono sempre coinvolti nei progetti internazionali lanciati alla riunione di Nuova Delhi.

In un mondo sempre più multipolare, l’India si accinge a recitare un ruolo molto importante accanto a Stati Uniti, Europa e Cina, ponendosi come faro anche per gli altri Brics. Quelli storici: Brasile, Russia, Sudafrica. E quelli di nuova acquisizione: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi, accolti ora nell’organizzazione. Un aggregato molto disomogeneo sia politicamente sia economicamente, ma che rappresenta il 47% della popolazione e il 37% del Pil mondiali, a fronte di quote rispettivamente del 10 e del 30% rappresentate dal G7.

Martedì, 19. Settembre 2023
 

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