L’ultima occasione del Presidente

Il lavoro dei Saggi può non essere inutile: Bersani potrebbe utilizzarlo per integrare il suo programma in otto punti. A quel punto però spetterebbe a Napolitano, preso atto che nessun'altra strada è percorribile, inviarlo in Parlamento. Se con il nuovo programma ottenesse la fiducia, bene; altrimenti condurrebbe il paese alle nuove elezioni

Gli ultimi giorni della presidenza di Giorgio Napolitano si annunciano paradossalmente come i più difficili del settennato pur segnato da un percorso accidentato da un intreccio di difficoltà economiche e politiche. Eppure il presidente può ancora rendere un servigio al paese in una delle situazioni più gravi della storia repubblicana. Ha sperato che si potesse costituire un governo che potesse essere garantito da una maggioranza parlamentare. Ogni tentativo si è dimostrato inidoneo. Il movimento di Grillo ha rigettato, sulla base di una posizione segnata più dal fanatismo che non da una normale ragione politica, il programma di otto punti proposto da Bersani che raccoglieva elementi non secondari della piattaforma delle Cinque stelle sul piano delle necessarie riforme istituzionali, della moralizzazione della politica e di interventi sul terreno devastato della crisi economica e sociale.

Da quello che sappiamo (ma niente è sicuro) una parte del Movimento avrebbe apprezzato - o potrebbe ancora apprezzare pur senza poterlo dichiarare in anticipo -  il senso della piattaforma avanzata da Bersani, così come del resto è chiaramente apparso in occasione delle elezioni dei presidenti delle due Camere. Ma se la convergenza, sia pure limitata e soggetta a prova, con le Cinque stelle è apparsa un tentativo illusorio per quanto ragionevole, l’unico punto certo ribadito da Bersani nella conferenza stampa è la netta opposizione  alla grande alleanza col Pdl. Una soluzione impraticabile per la comprensibile impossibilità per il Pd di motivare una scelta che i propri elettori senza ombra di dubbio considererebbero sciagurata, oltre che essere stata ripudiata dalla grande maggioranza dell’elettorato che ha tolto quasi venti punti allo schieramento di centrodestra rispetto alle precedenti elezioni.

Ora, a meno che il Pd non decida di rinnegare la sua linea, nessun governo di Grande Coalizione col Pdl è realizzabile. E non lo è nemmeno un governo di scopo del Presidente che dovrebbe in ogni caso essere sostenuto da una maggioranza politica – come ha chiaramente rivendicato Berlusconi - comprensiva del Pd e del Pdl.

E’ una situazione bloccata? Lo è se ostinatamente si cercano vie d'uscita non percorribili, come appunto la Grande alleanza. Napolitano ha preso tempo nominando i due gruppi di lavoro che sappiamo. Gruppi di lavoro destinati a guadagnare  tempo – si è detto. Ma, in effetti, potrebbero portare a qualche risultato non trascurabile in un informale confronto su temi d’interesse generale come la riforma elettorale e altre  ipotesi di riforme istituzionali (basterebbe la presenza dell’ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, per avvalorarne il contenuto). Così come Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, potrebbe autorevolmente indicare alcune  possibilità d’intervento sui più urgenti problemi economici e sociali. In questo caso, il loro lavoro potrebbe rivelarsi utile, e non un tempo sprecato.

Utile per fare cosa? Se si considera che il lavoro dei Gruppi di consulenza del Presidente della Repubblica dovranno terminare il loro lavoro di ricognizione in un giro rapido di giorni, al termine spetterebbe ancora a Bersan,i o a una personalità indicata da lui stesso (interna o vicina al Pd),  prendere atto di quelli che potrebbero essere utili risultati dell’accertamento per verificarne la compatibilità col programma degli otto punti annunciato ed eventualmente per integrarlo, partendo proprio, per fare un esempio, da un affinamento possibile della proposta relativa alla riforma elettorale.

A quel punto Napolitano dovrebbe inviare Bersani o il candidato alternativo del Pd al Parlamento dove presentare insieme la proposta programmatica e una compagine di governo per realizzarla. Se il tempo avesse portato consiglio, e se una precisazione o un arricchimento programmatico, accompagnati da un governo di forte impronta innovatrice, dovessero essere tali da garantire la maggioranza al Senato, la missione sarebbe stata compiuta. Nel caso contrario, rimanendo in vita come governo di minoranza, dovrebbe assumere il compito di realizzare la riforma elettorale e attuare le misure di carattere sociale non rinviabili, mentre si preparano le nuove elezioni probabilmente in autunno.

E’ una soluzione che, com’è apparso evidente, Napolitano considera un ripiego rispetto all’auspicio di un governo forte e stabile. Ma, se non è la migliore delle soluzioni astrattamente auspicabili, è anche l’unica costituzionalmente e politicamente trasparente e corretta.

Senza questa soluzione, e rimanendo escluso un governo segnato da una letale impronta berlusconiana, il compito passerebbe al nuovo capo dello Stato in un quadro non dissimile da quello attuale. E con il paese affidato a un governo formalmente “non sfiduciato”, ma anche privo della fiducia del nuovo Parlamento e, soprattutto, sfiduciato dal voto popolare – l’unico segnale veramente chiaro e inequivoco scaturito dal pur complesso esito elettorale.

Martedì, 2. Aprile 2013
 

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