Ipocrisie dopo Nassiriya

Le bare nascoste in America, il cordoglio strumentalizzato in Italia per convincere sulla necessità di rimanere in Irak. La missione di pace inesistente, la confusione tra terrorismo e guerriglia e l’intensificazione dell’azione militare. Unica soluzione: un ruolo decisivo di Onu e vecchia Europa.

Mentre l’Italia piangeva i morti di Nassiriya, altri americani continuavano a cadere sul fronte iracheno. Il solo abbattimento degli elicotteri ha provocato in due settimane oltre trenta vittime americane. Ma le loro bare, avvolte dalla bandiera a stelle e strisce non sono salutate né da Bush, né da alcuno dei suoi rappresentanti, né sono mostrate in televisione. Il governo americano ha imposto di non mostrare bare che, come avvenne al tempo del Vietnam, rischiano di allargare le contestazioni della guerra e la richiesta di ritiro dei ragazzi americani. Così la scelta di continuare una guerra sbagliata impone di negare la pietas pubblica verso i caduti (e le loro famiglie), inviati a combattere una guerra di cui non hanno mai saputo le vere ragioni..

In Italia le bare non sono state nascoste ed è stato reso giustamente onore ai caduti. Ma si è fatto di più. Si è cercato di strumentalizzare le ragioni del cordoglio per convincere il paese della giustezza della linea del governo, della necessità di rimanere in Iraq e, se non bastasse, di aumentarvi la nostra presenza militare. Il rovescio della medaglia rispetto agli ordini di Bush, ma per ottenere lo stesso risultato: falsificare la realtà.

Ma nella posizione del governo italiano vi è anche un elemento di nefasta ipocrisia. Non esiste, infatti, la possibilità di una “missione di pace”, come quella che si è preteso di attribuire al contingente italiano, quando si è parte integrante della coalizione anglo-americana che ha condotto la guerra di invasione. Un’ipocrisia che , a forza di essere ripetuta, ha probabilmente contribuito, secondo l’opinione degli esperti, a ridurre le misure di sicurezza, facilitando il compito omicida degli attentatori.

Ma il governo e i suoi corifei, guidati da Giuliano Ferrara, non si limitano ad una scelta sbagliata, com'è quella di inviare e mantenere le nostre truppe sul suolo iracheno: essi cercano di imporre uno specifico linguaggio al dibattito politico. Gli attacchi in Iraq – se ne contano più di trenta al giorno - sono opera di terroristi. Chi parla di resistenza e guerriglia (che , come è sempre accaduto, non aborrisce gli atti terroristici, è linguisticamente (una volta si sarebbe detto, oggettivamente) complice dei terroristi. E, dal momento che si tratta di terrorismo, non si può arretrare. Il mondo civile, l’Occidente, è ancora una volta chiamato alla sua crociata contro il terrore.

“Si tratta di un atteggiamento paranoico”: così lo definisce l’ex consigliere americano per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski, riferendosi a Bush e ai neo-conservatori americani, che ormai sono solo capaci di ricondurre tutti i problemi del mondo alla dimensione unica ed estrema del terrorismo. Afferma Brzezinski: “Il terrorismo è una tecnica per colpire la popolazione (“for killing people”). Questa non può essere un nemico. E’ come se avessimo detto che la Seconda guerra mondiale era condotta non contro i nazisti, ma contro il blitzkrieg. Noi dobbiamo chiederci chi è il nemico e cosa lo sospinge ad agire contro di noi”.(IHT 15-16 novembre 2003) Ma è esattamente questo che la paranoia impedisce: chiederci chi sono i nemici e le ragioni che li spingono a condurre una guerra senza quartiere che comprende le forme terroristiche più atroci - la morte di innocenti e il suicidio degli stessi protagonisti di quella forma di lotta.

Ora l’amministrazione Bush si dichiara disponibile alla costituzione di un governo iracheno…entro giugno del 2004! Un annuncio che vorrebbe essere rassicurante ed è, invece, presagio di una fase che può rivelarsi ancora più disastrosa. Infatti, nel frattempo, l’azione militare – spiega il Pentagono - sarà intensificata, e preventiva. Gli aerei americani bombarderanno i siti indiziati per l’appartenenza o la prossimità della guerriglia. E’ la strategia di Sharon, apportatrice di distruzione, di morte, di nuovi sanguinosi attentati, della distruzione della road map e di ogni speranza di pace.

La verità è che l’amministrazione americana non sa più come uscirne. Ed è, infatti, difficile. Ma non c’è altra soluzione che trasferire il potere ad un effettivo governo iracheno (in grado, per quanto possibile, di mediare tra le diverse etnie e fazioni interne), ritirare gli eserciti di occupazione, assistere il governo iracheno con una forza di supporto, sotto l’egida delle Nazioni unite. Oggi Bush recalcitra e cerca di prendere tempo. Ma da gennaio si entra nella lunga vigilia delle elezioni presidenziali. Le bare e le migliaia di feriti non potranno essere occultati ancora a lungo. Le associazioni di pacifisti stanno intanto piantando, per ogni soldato caduto, una croce senza nome sulle spiagge della California. E Howard Dean, il candidato democratico oggi favorito dai sondaggi, si è schierato apertamente contro la guerra. Bush rischia di perdere la presidenza, e questo potrebbe indurlo a precipitosi cambiamenti. La “vecchia”Europa, insieme con l’ONU, sarebbe a quel punto chiamata a giocare un ruolo essenziale. E’ per ora solo una possibilità. Ma, intanto, le cose vanno nel peggiore dei modi, e il governo di Berlusconi ha dimostrato che si possono strumentalizzare anche le povere bare di Nassiriya per assecondare il peggio. Antonio Lettieri

Lunedì, 17. Novembre 2003
 

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