Immigrati, chi è senza peccato…

Le norme anti-immigrati hanno ormai una lunga storia, che inizia nei primi anni ’90 quando ad arrivare in Italia erano gli albanesi. Ma è stato soprattutto con la legge Bossi-Fini che il problema è stato trasformato in una questione di ordine pubblico e che si è creato man mano nell’opinione pubblica un atteggiamento negativo che poi Salvini avrebbe sfruttato rozzamente ma con successo

A rischio di apparire controcorrente, se non addirittura un tardivo fan dell’ex ministro dell’Interno, ritengo che, quando i primi venti anni di questo terzo millennio faranno ormai parte della storia di questo paese, non saranno pochi coloro i quali, nell’analizzarne i fatti, saranno costretti a dover prendere atto che il rozzo Salvini, rispetto al delicatissimo tema dell’immigrazione extracomunitaria, si era limitato, in sostanza, a sostenere ed applicare - seppure con insolita veemenza, evidenti motivazioni xenofobe e volgare ostentazione - teorie e linee di indirizzo già note ed ampiamente praticate. 

Personalmente - per rispetto della verità - considero già possibile e, direi, doveroso, rilevare che il rozzo capo della Lega, in quanto estensore di misure e di provvedimenti tutti tesi a difendere le frontiere, ostacolare nuovi arrivi di extracomunitari e criminalizzare quelli già presenti nel nostro paese, si sia limitato, in sostanza, a inasprire un apparato normativo preesistente; già ampiamente vessatorio.

Naturalmente, dicendo questo, non ho alcuna intenzione di minimizzare le sue gravissime responsabilità, né di concedergli alcuna attenuante rispetto al clima di intemperanza e, direi, vero e proprio odio da lui instaurato nei confronti degl’immigrati; in particolare se extracomunitari. Però, per onestà intellettuale, credo non si possa tacere la circostanza che i suoi beceri provvedimenti abbiano avuto vita facile perché inseriti in un contesto, tutto sommato, diffusamente favorevole.

In effetti, come egregiamente riportato da Livio Pepino[1], anche in Italia -sulla scorta di quanto già abbondantemente verificatosi negli Usa[2], a danno di poveri e homeless - si stava da tempo costruendo“in modo metodico e diffuso, il <nemico> con una rappresentazione che fa apparire naturale e spontanea la reazione, il rifiuto e, alla fine, l’annientamento e la distruzione fisica. Tutto viene giustificato evocando[3]violenze, prevaricazioni, soprusi (veri o presunti) del nemico di turno: migranti, poveri, marginali e ribelli”.

La domanda, quindi, è: quando è cominciato tutto questo?

L’avvio, a mio parere, dovrebbe coincidere con il tempo in cui, nel nostro paese - così come era già avvenuto a New York (con la “tolleranza zero”) -   fu operata la scelta della “sicurezza urbana”; alla fine della quale, in definitiva, ci saremmo ritrovati con i due[4] famigerati decreti sicurezza[5].

In Italia, la storia iniziò con l’arrivo della prima ondata di migranti albanesi; agli inizi degli anni novanta.

In effetti - una volta sopita la calorosa accoglienza che i cittadini pugliesi riservarono ai circa 20 mila migranti della Vlora - si cominciarono a studiare e mettere in atto provvedimenti tesi a impedire altri sbarchi, operare il maggior numero possibile di rimpatri e, soprattutto, difendere le frontiere.

In questo senso, risale al governo Dini il d.l. 18 novembre 1995, nr. 489 (non convertito in legge) che stabilì il principio dell’espulsione come misura di sicurezza nei confronti degli stranieri condannati per alcuni reati e considerati “socialmente pericolosi[6]”.

Due anni dopo si verificò un altro massiccio esodo di albanesi e l’allora governo Prodi emanò la legge 16 maggio 1997, nr. 128, al fine di “fronteggiare l’eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari provenienti dall’Albania”.  Essa disciplinava, in particolare, i respingimenti degli stranieri irregolari, con accompagnamento alla frontiera.

Nel marzo dello stesso anno, si firmò, con l’Albania un accordo noto quale “Anti-esodo”, grazie al quale la nostra Marina militare fu ammessa a presidiare le acque territoriali albanesi al fine di svolgere opera di “dissuasione” nei confronti di qualsiasi mezzo nautico carico di migranti.

Si trattò, in effetti, di un vero e proprio “blocco navale”; severamente condannato dall’Onu.

In quello stesso mese, tra l’altro, un’imbarcazione con oltre 100 profughi albanesi entrò in rotta di collisione con un mezzo della Marina militare italiana che cercava d’impedirne l’approdo sulle nostre coste e perirono, tra i migranti, ben 81 persone.

A questo riguardo, come non ricordare che, appena il giorno successivo a quello della tragedia, Irene Pivetti - leghista della prima ora e, fino a pochi mesi prima, presidente della Camera - ancora ripeteva, imperterrita: “Io non cambio idea: a mare i delinquenti”!

Però, a onore della verità e per rispetto della realtà, già all’epoca andava forse preso atto che il vergognoso ritornello “Tutti i profughi andrebbero buttati a mare[7]” - oltre a riprodurre il personalissimo e disumano credo della Pivetti - cominciava già a fare presa nell’immaginario collettivo e ben oltre il ristretto perimetro della Lega Nord.

Ancora nel 1997, il 2 aprile, il premier Prodi ribadì, alla Camera, la linea dura del governo dichiarando, oltre al rituale “bisogna aiutarli a casa loro”, soprattutto: “L’azione della Marina militare è finalizzata al controllo degli espatri clandestini”.

L’anno successivo fu il turno del Testo unico sull’immigrazione, il cui senso rifletteva la duplice logica attraverso la quale s’intendeva affrontare il complesso fenomeno: da un lato l’ipotesi di percorsi finalizzati all’integrazione dello straniero e, dall’altro, una ferma azione di contrasto nei confronti degli “irregolari”.

Fu adottata, di conseguenza, la soluzione di prevedere, attraverso una programmazione triennale, la definizione dei flussi annuali (di ingresso) determinandoli in base all’ipotetico incontro tra domanda e offerta di lavoro. Naturalmente (ed inevitabilmente), come in tutte le altre occasioni - precedenti e successive - la pretesa di realizzare “a tavolino” il corretto incontro domanda/offerta di lavoro, risultò fallimentare.

Restava, comunque, sostanzialmente precaria anche la condizione dei “regolari”, perché erano ancora numerose le difficoltà relative al mantenimento del loro status.

In effetti, considerata la complessità e la farraginosità delle procedure amministrative - che cambiavano anche da questura a questura e tra un ufficio e l’altro - era proprio il caso di sostenere che, del domani, non v’era certezza.

Intanto, sul versante della lotta agli irregolari, fu la volta della istituzione dei Cpta (Centri di permanenza temporanea e di assistenza). Si trattava, in sostanza, della detenzione amministrativa, con restringimento delle libertà individuali, di tutti coloro che non avessero rispettato le norme previste per gli ingressi.

Nel 2002 fu approvata (governo Berlusconi II) la legge 30 luglio 2002, nr. 189, che porta il nome di due famigerati “figuri”; Bossi e Fini. Fu soppresso il precedente sistema di reclutamento dei lavoratori extracomunitari e fu introdotto il famoso “contratto di soggiorno”. Tale strumento rappresentava il presupposto indispensabile ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il datore di lavoro s’impegnava, addirittura, a garantire l’alloggio e a pagare le spese di viaggio per il ritorno in patria del lavoratore straniero.

Con l’approvazione della Bossi/Fini si modificò, in particolare, la disciplina relativa agli allontanamenti, prevedendo l’arresto dello straniero che avesse violato la disposizione prevista dal questore e credo si possa affermare - senza tema di smentite - che cominciò a delinearsi la figura del migrante quale titolare di diritti minori; oltre che soggetto potenzialmente teso a sovvertire il cosiddetto “ordine pubblico”.

Nel 2008, durante il Berlusconi IV - con il leghista Maroni al posto che ricoprirà successivamente, al ministero dell’Interno, il suo degno compare Salvini - con le disposizioni previste dal d.l. 23 maggio 2008, nr. 92, convertito poi in legge 24 luglio 2008, nr. 125, s’impresse un’ulteriore accelerazione al processo di identificazione dello straniero irregolare con i problemi dell’ordine pubblico.

Grazie a ulteriori “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, si inasprirono le norme a carico dei migranti irregolari attraverso la previsione di una “aggravante della clandestinità”. Nel concreto - e contro i più elementari principi di uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi - per qualsiasi tipo di reato commesso da uno straniero illegalmente presente sul territorio italiano, fu previsto un aumento della pena fino a un terzo. Contemporaneamente, si produsse un altro obbrobrio giuridico stabilendo che un condannato che avesse commesso un reato mentre si trovava nella condizione di “irregolare”, non avrebbe potuto disporre della sospensione della pena detentiva (per condanne fino a tre anni)!

Come brillantemente esposto da Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco[8], si finì con l’introdurre “Un diritto penale differenziato a seconda che l’imputato-condannato fosse uno straniero irregolare, regolare o un cittadino italiano. Una sorta di <diritto penale del nemico>, banalizzata e involgarita in una contingente salsa razzista italiana”.

Per fortuna, l’intervento della corte Costituzionale - sebbene a distanza di circa due anni - cancellò quella norma vergognosa affermando che “la condizione giuridica dello straniero non può essere considerata causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi...”.

Intanto, nelle more della decisione della Corte, un’altra legge, la nr. 94 del 15 luglio 2009, (governo Berlusconi IV, con ancora Maroni all’Interno), aveva introdotto un nuovo reato: quello di “immigrazione clandestina”, punito con un’ammenda fino a 10 mila euro.

Una nuova penalizzazione che, secondo l’autorevole parere di Luigi Ferrajoli[9], “viola una lunga serie di principi di civiltà giuridica, ma viola, in particolare, la sostanza del principio di legalità: che è il divieto di norme che associano una pena anziché a un fatto, a una condizione o a un’identità personale”.

Le considerazioni di Ferrajoli, in sostanza, tendevano ad evidenziare che, di là del merito e delle conseguenze, in termini di ulteriore criminalizzazione dei migranti irregolari, i provvedimenti adottati dal governo in carica presentavano un aspetto ancora più grave: “il contenuto razzista iniettato nel senso comune”.

Rilevo, al riguardo che, nonostante gli annunci di questi ultimi anni - tra cui quelli, più volte, sbandierati da Renzi - circa l’intenzione di depenalizzare il reato di immigrazione clandestina, nulla di concreto è stato ancora prodotto e la situazione ha continuato a raffigurare, a parere di molti giuristi, il simbolo di una deriva razzista ormai “istituzionalizzata” e di un diritto penale sempre più marcatamente diseguale.

D’altra parte, chi, nel corso degli ultimi anni, ha sperato in un’inversione di tendenza, grazie a provvedimenti legislativi adottati da governi considerati più sensibili al dramma dell’esodo di decine di migliaia di extracomunitari dai paesi del Nord Africa verso l’Ue, è stato costretto a ricredersi.

Non a caso, fu un sedicente esponente politico di sinistra, Marco Minniti - ministro dell’Interno dell’esecutivo presieduto da Gentiloni - ad operare un ulteriore giro di vite a danno dei migranti.

Infatti, giusto per non correre il rischio di apparire più permissivi e meno determinati nella lotta all’immigrazione - rispetto a quanto già prodotto dal trio Berlusconi, Bossi, Fini - e, contemporaneamente, per riaffermare che il tema dell’emigrazione andava coniugato insieme a quello della sicurezza, i due rappresentanti del Pd, Minniti e il ministro della giustizia Orlando, furono autori, nel 2017, di due decreti legge; approvati a distanza di due giorni l’uno dall’altro.

Attraverso il primo decreto[10], per non sfigurare nei confronti del loro predecessore leghista, Minniti e Orlando produssero sì la riduzione dei tempi per il riconoscimento dello status di rifugiato - il che sarebbe potuto apparire lodevole - ma lo fecero, però, riducendo, ancora di più, rispetto a Maroni, le garanzie giurisdizionali degli interessati.

Infatti, la legge 46/2017 prevedeva tanto l’abolizione del secondo grado di merito per le cause in materia di protezione internazionale[11], quanto la istituzione di una sorta di giudice speciale (vietato dalla nostra Carta costituzionale) con competenze limitate ai richiedenti asilo; piuttosto che all’intera materia dell’immigrazione.

Il successivo decreto[12], contenente “disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, non fece altro che rafforzare l’idea, nell’immaginario collettivo, che al problema dell’immigrazione fossero strettamente connesse tutte le difficoltà e le problematiche relative alla vivibilità, alla sicurezza e alla convivenza civile nelle nostre città.

Doleva, però, prendere atto che, nel nome di un vago concetto di “sicurezza”, anche la pseudo sinistra rappresentata dal Pd (partito di riferimento di Minniti e Orlando) contribuiva a una deriva discriminatoria e si mostrava, addirittura, disponibile a una relativizzazione delle garanzie costituzionali.

Si consolidava, in definitiva, una pericolosissima opera di strumentalizzazione del fenomeno immigratorio che, inevitabilmente, con l’avvento del governo fascio/leghista/pentastellato - e, soprattutto, grazie al nefasto ruolo svolto dal rozzo Salvini - avrebbe alimentato e diffuso, in tutto il paese, un insostenibile clima di odio e razzismo.

Con l’avvento del Conte I saltò ogni freno inibitore e ciò che fino a poco prima era rimasto ammantato da un residuo di politically correct, venne definitivamente allo scoperto. Lo stesso ministro dell’Interno, indifferente al livello di degrado cui avrebbe ridotto il suo ruolo istituzionale, adottò un linguaggio da trivio; che non lasciava spazio agli equivoci.

Così che “Raderei al suolo con una ruspa tutti i campi rom, ci serve una pulizia di massa anche in Italia”, “più immigrazione significa più violenza e delinquenza”, “fottutissima zingara” e un’interminabile sequenza di altre accuse, minacce e volgari epiteti, finirono con l’abbattere la residua patina democratica e la questione immigrazione fu ridotta a una vera e propria emergenza criminale.

Non a caso, riconoscendo al suo predecessore (Minniti) “il buon lavoro svolto”, il primo provvedimento legislativo di Salvini, ancora in materia (ormai indissolubile) di immigrazione e sicurezza, previde, tra l’altro, l’eliminazione della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e la sua sostituzione con alcune tipologie speciali: tra le quali, ad esempio, quella per “il compimento di atti di particolare valore civile” rilasciata direttamente dal ministro dell’Interno.

Lo stesso decreto[13] introdusse un’altra norma - naturalmente, peggiorativa rispetto alle disposizioni previgenti - attraverso la quale si sancì che il rilascio del permesso di soggiorno non costituiva più titolo idoneo all’iscrizione anagrafica[14].

Un’ulteriore disposizione, anch’essa, probabilmente, anticostituzionale, stabilì la revoca della cittadinanza italiana all’immigrato in caso di condanna definitiva per alcuni reati (ad esempio per finalità di terrorismo o di eversione).

In progressione, il successivo “decreto sicurezza bis[15]intervenne, in particolare, per dettare norme ancora più restrittive ed onerose - in termini di sanzione amministrativa - in materia di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali italiane. Provvedimenti tutti tesi, evidentemente, a rendere sempre più difficile l’opera delle Ong (a favore dei migranti provenienti dalle coste africane) e gli sbarchi nei nostri porti.

Francamente, non riesco ad immaginare gli effetti che potranno scaturire dal combinato disposto tra la nuova alleanza di governo giallo/magenta e il ritorno alla normalità del ruolo istituzionale del ministero dell’Interno.

Le più recenti esperienze non inducono all’ottimismo.

Note
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[1] “Prove di paura; barbari, marginali, ribelli”; Editore: EGA (Edizioni Gruppo Abele), 2015

[2]  “Guai ai poveri”, di Elisabetta Grande; Editore EGA, 2017

[3]  Metodologia utilizzata da stampa e Tv da molti anni a questa parte

[4]  d.l. 14/10/2018 nr. 113, convertito in legge 1° dicembre 2018, nr. 132

[5]  d.l. 14/06/2019 nr.  53, convertito in legge 8 agosto 2019, nr. 77

[6]  Tamar Pitch, ordinaria di Filosofia e Sociologia del diritto, a Perugia, si esprime in termini di “sterilizzazione del territorio” da quegli elementi inquinanti rappresentati dai soggetti più deboli: senza fissa dimora, tossicodipendenti, piccoli spacciatori, graffitisti, prostitute. Insomma, coloro la cui presenza ricorda che questo non è, per tutti, il migliore dei mondi possibili.

[7] dichiarazione di Irene Pivetti; rilasciata in un’intervista di appena qualche giorno prima dell’incidente tra il mezzo della Marina militare e la Kate Rades 1

[8] “Diritto penale, Parte generale”; Ed. Zanichelli, 2006

[9] “L’illusione della sicurezza”; intervento al “Festival del Diritto” del 26 settembre 2008

[10] d.l. 17 febbraio 2017, nr. 13; convertito in legge 13 aprile 2017, nr. 46

[11] Al riguardo, l’Associazione Nazionale Magistrati si espresse in termini di <giustizia minore>

[12] d.l. 20 febbraio 2017, nr. 14; convertito in legge 18 aprile 2017, nr. 48

[13] d.l.. 04 ottobre 2018, nr. 113; convertito in legge 01 dicembre 2018, nr. 132

[14] Presupposto indispensabile per fruire di numerosi servizi sociali; dalla sanità pubblica a eventuali sussidi comunali

[15] d.l. 14 giugno 2019; convertito in legge 08 agosto 2019, nr. 77

Lunedì, 16. Settembre 2019
 

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