Il salvatore che cerca di salvare se stesso

Era logico aspettarsi che Monti puntasse a rappresentare una destra seria contro quella truffaldina di Berlusconi, invece sta orientando la campagna contro il Pd e i suoi alleati. Perché? Perché ha capito che il massimo a cui può puntare è di essere determinante per la maggioranza al Senato, anche se questo comporterebbe quell'incertezza politica che non piace ai mercati - Con un post scriptum

Tra l'interesse del suo partito e quello generale, Monti ha scelto il primo. Analizzando il modo in cui sta conducendo la sua campagna elettorale non si può che trarre questa conclusione. Il "tecnico super partes" chiamato a fronteggiare l'emergenza completa così la sua trasformazione non solo in politico, ma in uno di quei politici di cui c'è già sovrabbondanza, ossia quelli che considerano un traguardo più importante le prossime elezioni che il futuro del paese.

Forse abbagliato dai sondaggi che gli attribuivano percentuali altissime di gradimento dei cittadini, il Professore ha deciso di entrare direttamente nella competizione politica, ma - sempre secondo i sondaggi - il suo raggruppamento non è stato accolto dal consenso trionfale che si aspettava. Non ha tolto nulla allo schieramento guidato da Bersani e, nel campo della destra, il giocoliere di Arcore sembra stia riuscendo a ricomporre, almeno ai fini del voto, la maggior parte dei pezzi della sua ex maggioranza. E dunque i montiani non solo non avranno il primo posto, ma nemmeno il secondo, e per il terzo dovranno vedersela con i grillini. Terzi o quarti, comunque, cambia poco: come evitare di cadere nell'irrilevanza?

Vista la storia e le idee di Monti, era lecito aspettarsi che puntasse a proporre una destra vera e seria contro quella populista e truffaldina di Berlusconi. Invece il Professore ha deciso di puntare sulla mistificazione, strada già abbondantemente battuta da quella destra che vuole travestirsi da sinistra (Alesina, Giavazzi, Ichino e simili). I concetti di base sono gli stessi: il supposto superamento dei concetti stessi di destra e sinistra, il "riformismo vero" contrapposto al "conservatorismo" di quei settori della sinistra che più chiaramente si oppongono alla destrutturazione dei diritti del lavoro e alle politiche di austerità senza equità la cui insensatezza economica è evidente ma non per questo accettata: la Cgil, la Fiom, Fassina, Vendola...

Insomma, l'attacco è a quella parte dell'area di sinistra che più chiaramente propone programmi alternativi all'Agenda Monti, pur dichiarando di accettare i limiti ristretti - soprattutto a causa degli impegni internazionali assunti da questo governo e dal precedente - entro i quali questa alternativa potrà muoversi.

Ma questo attacco allo schieramento di sinistra è aperto anche su un altro fronte, ancora più insidioso, quello della Lombardia che - con i suoi 49 senatori da eleggere e a causa del meccanismo maggioritario su base regionale per il Senato previsto dal Porcellum - è la regione determinante per la conquista della maggioranza in entrambe le Camere. I sondaggi dicono che il risultato è in bilico e che Gabriele Albertini, il candidato appoggiato da Monti, potrebbe far pendere la bilancia della maggioranza relativa - cioè quella che basta per assicurarsi il premio regionale - dalla parte dell'alleanza Lega-Pdl. Questo perché un certo numero di elettori moderati ma nauseati dalla vecchia maggioranza, che avrebbero votato per la sinistra, si sposterebbero ora su Albertini.

Monti dunque punta lì tutte le sue carte. Non importa arrivare terzi o quarti: basta che Bersani non vinca in Lombardia (e manchi dunque la maggioranza in Senato) e che lui abbia un numero di senatori sufficiente a farlo diventare indispensabile per la formazione del futuro governo, cosa che gli conferirebbe un potere contrattuale molto elevato a prescindere dai risultati delle urne, ben diverso da quello che deriverebbe da una trattativa post-elettorale con un Bersani già autosufficiente nei due rami del Parlamento. Comunque non tale da assicurargli di restare presidente del Consiglio, come pretenderebbe Casini, ma certo condizionante.

Il risultato non potrebbe che essere quello di una maggioranza che, al di là degli accordi formali, sarebbe poco o nulla omogenea su aspetti fondamentali come la politica del lavoro, il welfare, la politica di bilancio, soprattutto le posizioni da sostenere in sede europea, che, come giustamente osserva Antonio Lettieri, saranno determinanti per cercare di spezzare il circolo vizioso austerità-recessione in cui ci hanno fatto cadere le politiche seguite finora. Una maggioranza, dunque, esposta ad oscillazioni di linea e a una sopravvivenza incerta: esattamente quello che i mitici "mercati" non vogliono, quegli stessi mercati che hanno già dimostrato di non considerare preoccupante una vittoria netta della sinistra, visto che il rischio-Italia non è cresciuto nonostante che i sondaggi la prefigurassero. Persino il liberal-liberista Economist si è espresso in tal senso.

Ma l'atteggiamento con ogni probabilità cambierebbe ai primi segnali di divisioni nel futuro governo. Divisioni che, in una situazione come quella descritta, solo un inguaribile ottimista potrebbe escludere.

Di tutto questo Monti non sembra preoccuparsi. Il Professore ha assaggiato il potere, e il sapore evidentemente gli è piaciuto. Ora vuol conservarne il massimo possibile, sfruttando le falle di una pessima legge elettorale, visto che non riesce a convincere abbastanza elettori. Che per il paese non sia la soluzione migliore sembra importargli molto meno.

Post scriptum - La sera di lunedì 15, dopo la pubblicazione di questo articolo, partecipando a Porta a porta Monti ha sparato a palle incatenate contro Berlusconi, dicendogliene di tutti i colori (niente che non fosse vero, peraltro) ed è stato invece molto più rispettoso nei confronti di Bersani. Sul perché di questa nuova impostazione si possono fare una paio di ipotesi. La prima può essere di tipo caratteriale: Monti non è un incassatore, e le scomposte e continue accuse mossegli dal presidente del Pdl hanno forse superato il limite della sua capacità di sopportazione.

La seconda ipotesi è più sostanziale. Dopo le performance televisive del Cavaliere i sondaggi hanno segnalato un buon recupero della destra berlusconiana, e Monti deve aver capito che ciò deriva essenzialmente da un recupero di elettori che si erano finora dichiarati astensionisti (gli stessi sondaggi dicono infatti che il numero di questi ultimi ha avuto una discesa pressappoco corrispondente). Ossia essenzialmente quel bacino di delusi che è proprio quello dove le liste montiane dovrebbero pescare di più, visto che lo schieramento di sinistra resiste vicino ai massimi. E' diventato dunque prioritario impedire che le capacità mediatiche del "pifferaio" facciano dimenticare a quegli elettori i motivi della loro delusione, che infatti Monti ha ricordato senza risparmio.

Si tratta dunque di una indispensabile autodifesa, che non è affatto incompatibile con quanto argomentato più sopra.

Lunedì, 14. Gennaio 2013
 

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