Negli ultimi tre mesi la Grecia è largomento economico maggiormente dibattuto sulla stampa europea. Le previsioni sullesito possibile del rebus greco rimangono incerte. In ogni caso, il tempo della sua soluzione si avvicina. Proviamo a riassumere i dati di cui a metà di aprile disponiamo.
Il governo Tsipras ha raschiato il fondo del barile attingendo a tutte le risorse possibili per rimborsare al Fondo monetario internazionale (Fmi) una quota di debito in scadenza di circa 400 milioni di euro. Ma questo è servito solo a prendere una boccata dossigeno per qualche settimana. Tra maggio e giugno scadono altre quote di debito verso lFmi per circa 2,5 miliardi di euro.
Ma non è questa lunico problema. Nelle attuali condizioni della finanza pubblica a maggio il governo non potrà corrispondere le pensioni e gli stipendi, il cui valore ammonta a circa 2,4 miliardi di euro. Per far fronte a queste scadenze il governo greco dovrebbe emettere titoli a breve finanziati dalla banca centrale e/o dalle banche private, ma la Bce ha posto un veto a queste operazioni.
A questo punto il fantasma del default si materializza. Il governo è costretto a imporre una limitazione al ritiro dei risparmi privati dalle banche e il controllo del movimento dei capitali, come fece Cipro col consenso delle autorità europee. Ma questa volta il consenso mancherebbe alla Grecia, e lo sbocco obbligato diventa luscita dalleuro.
Le antiche tragedie greche sono dominate dal fato, e perciò prive di soluzioni alternative: il fato deve inesorabilmente compiersi. Ma venticinque secoli dopo Eschilo, al fato si sostituisce la volontà degli uomini: molto semplicemente, le determinazioni che fanno capo a Berlino e, di rimessa, a Bruxelles e agli altri governi delleurozona. Laccordo stipulato dalle autorità delleurozona con la Grecia nel 2012, nel momento più dirompente della crisi, prevede lerogazione dellultima tranche di 7,2 miliardi di euro. Se questimpegno fosse mantenuto, lombra del default sarebbe allontanata. Ma le autorità delleurozona pongono come condizione il ripudio totale degli impegni sulla cui base Syriza, il partito di Tsipras e Varoufakis, ha vinto le elezioni e formato il governo, che è anche il più popolare che la Grecia ricordi. Ma laccanimento della tecnocrazia di Bruxelles, sostenuta dal governo tedesco, non sembra lasciare scampo.
Nessuno degli impegni assunti da Tsipras in un impari confronto di un paese solo contro gli altri 18 delleurozona è considerato un prezzo sufficiente per un compromesso accettabile. Non basta limpegno assunto dal nuovo governo a rimborsare integralmente lenorme debito accumulato dai precedenti governi greci, concordandone la ristrutturazione. Non basta limpegno a rivoluzionare il sistema della tassazione per renderlo più efficace e più equo. Non basta riorganizzare le pubbliche amministrazioni per aumentarne lefficienza e ridurne i costi. Né basta mantenere le privatizzazioni effettuate e portare avanti quelle in corso, a partire dal porto del Pireo, discutendo la convenienza e lopportunità delle altre ancora non avviate.
No, il governo greco deve rinunciare agli impegni più elementari e ragionevoli assunti col popolo greco: dalla reintroduzione della tredicesima mensilità per i pensionati più poveri allaumento del salario minimo legale che, tornando al precedente livello di circa 750 euro mensili, sarebbe comunque la metà di quello in vigore in Germania, Francia o Belgio, per fare degli esempi. Deve aumentare ancora una volta lIva in una situazione nella quale i consumi sono crollati sotto lurto di una diminuzione dei salari del 40 per cento e di una disoccupazione del 25 per cento della forza lavoro. Oltre, naturalmente, alla definitiva liquidazione della contrattazione collettiva nazionale. E evidente a tutti che le potenti autorità delleurozona stanno ricattando il governo e il popolo greco.
La domanda a questo punto è la seguente: cè una ratio nel comportamento delle autorità delleurozona? In atri termini, siamo di fronte a un fenomeno di miopia politica, o vi è la chiara volontà di mettere con le spalle al muro il governo greco per determinarne luscita dalleuro? Ritenere che si tratti di miopia o di semplici errori sarebbe ingenuo e mistificante. La maggior parte degli euro- governi considera la posizione del nuovo governo greco una pericolosa e intollerabile fonte di contagio. Se il governo di un piccolo e debole paese periferico può rompere la ferrea disciplina delleurozona, altri paesi in difficoltà saranno tentati di seguire la stessa strada.
Nella maggior parte delle capitali europee la posizione dominante è che il contagio deve essere isolato, e luscita della Grecia è il male minore. La maggioranza dei tedeschi, secondo i sondaggi più recenti, è di questo parere. I governi di centrodestra, di gran lunga prevalenti nelleurozona, considerano un compromesso con la Grecia una sconfessione delle proprie perverse politiche di austerità e di riforme.
Ciò non ostante, luscita della Grecia genera allarme nei due governi di centro-sinistra di Parigi e Roma. Essi non prestano credito a unuscita indolore della Grecia dalleuro. La rottura dimostrerebbe pericolosamente che leurozona non è irreversibile. I mercati finanziari ne prenderebbero nota e potrebbero rilanciare il loro attacco. Un aumento degli spread vanificherebbe il mantello protettivo del quantitative easing, rivelandone i limiti per i paesi più esposti. Per François Hollande e per Matteo Renzi luscita della Grecia potrebbe rivelarsi la fonte di un contagio non controllabile. Sanno i rischi che corrono con il possibile default della Grecia che altri auspicano. Ma non hanno la forza di dirlo. Non hanno la forza di difendere apertamente nelle sedi decisionali (il Consiglio dei ministri europeo, lEurogruppo) un accettabile compromesso con la Grecia.
Cè di più. Nei partiti di centrosinistra non mancano gli economisti e abbondano gli opinion maker che preferiscono porre la questione nei termini di un interrogativo artificioso: se sia meglio stare nelleuro o uscirne. Unalternativa che serve ad annunciare lapocalisse di unuscita dalleuro, mentre il problema col quale un partito e un governo di centrosinistra sono qui e oggi chiamati a confrontarsi non è luscita dalleuro, ma luscita dalla trappola delle attuali politiche delleurozona.
Che si tratti di una trappola (certamente costruita con la complicità di tutti i partiti che si sono succeduti al governo dei diversi paesi) non possono esservi dubbi: leurozona è larea del mondo che ha fatto registrare il maggiore arretramento economico nei confronti internazionali, che annovera i più alti livelli di disoccupazione, contemporaneamente facendo esplodere il debito pubblico. La politica dellausterità è fallita questo è un dato di fatto. La politica delle riforme strutturali ha fatto rivivere le politiche antisociali di tipo thatcheriano, alle quali le democrazie continentali erano rimaste fondamentalmente refrattarie.
La continuazione di queste politiche rende impossibile uneffettiva ripresa della crescita e la riduzione della disoccupazione di massa (in Italia raddoppiata durante la crisi, in Grecia e in Spagna ai livelli della Grande Depressione degli anni Trenta). Cè unalternativa a questo state di cose? Lunica, la più immediata e, a certe condizioni, la più efficace è in un esteso, mirato rilancio degli investimenti pubblici, direttamente operativi, in modo da creare occupazione e domanda, a sua vota suscettibile di stimolare gli investimenti privati.
La scelta di questa strada non implica luscita dalleuro ma certamente il radicale capovolgimento delle politiche finora praticate nelleurozona. Mettete che la Francia e lItalia e domani la Spagna post-Rajoy, per citare solo tre paesi che da soli contano per più della metà delleconomia delleurozona, affermino di non volere minimamente uscire dalleuro, ma di essere altrettanto determinati a mutarne le politiche. In altri termini, determinati a uscire dalla trappola dellausterità, con due misure che nessuna persona di buon senso (economista o comune mortale) potrebbe giudicare illogiche o avventuriste. Prima misura: escludere dai vincoli di bilancio (il vecchio parametro del tre per cento e il futuribile pareggio) la spesa per investimenti pubblici; seconda, rinviare la riduzione del debito sancita dal Fiscal Compact a una fase di significativa, solida e duratura ripresa della crescita e per ciò stesso di abbattimento della disoccupazione.
Una linea politica di questo genere sarebbe destinata a scontrarsi con lideologia e le politiche oggi dominanti nelleurozona,non vi è dubbio. Ma aprirebbe una fase nuova, un confronto finalmente motivato e trasparente sugli obiettivi e sugli strumenti in grado di liberare leurozona dalle catene che la paralizzano, e ne preparano limplosione sotto lurto delle opposizioni che ne minacciano da lati contrapposti lesistenza. In ogni caso, un confronto aperto e deciso aprirebbe la gabbia ideologica, politica e tecnica che paralizza ogni iniziativa sotto la minaccia dellapocalisse.
Il primo passo in questa direzione dovrebbe essere la difesa del governo greco, e il rigetto del ricatto operato nei suoi confronti sotto la guida del binomio Berlino-Bruxelles. La Grecia dovrebbe cessare di essere un incidente di percorso per diventare unoccasione di cambiamento delle politiche fallimentari delleurozona. Una strada nuova è oggi possibile e, per molti versi, obbligata. Chi la considera impraticabile dovrebbe dire qual è lalternativa al di fuori del prolungamento di una crisi che si rivela senza sbocco, o il cui sbocco potrebbe essere proprio una lunga agonia delleurozona.