Il problematico futuro del governo Draghi

Gli otto ministri scelti dal presidente rivestono ruoli di primaria importanza sia nel campo economico che dei rapporti con Bruxelles. In ogni caso, indipendentemente dagli incerti andamenti politici, le ragioni della crisi economica e sociale già preesistente e oggi fortemente aggravata dalla pandemia sono destinate a rimanere in ombra

I regimi democratici hanno insieme una loro perfezione e fragilità. Essendo basati sulla maggioranza della volontà popolare non possono considerarsi stabili, essendo questa mutevole. Nel regime democratico americano che vive da oltre due secoli, si intrecciano la stabilità della presidenza con un frequente mutamento della maggioranza parlamentare ogni due anni. Nelle democrazie tradizionali la maggioranza parlamentare determina le sorti del governo. E questa può essere perduta, come è accaduto in Italia, anche per la défaillance di un minuscolo partito come nel caso di “Italia Viva”.

Si doveva ricorrere a nuove elezioni in assenza di una possibile maggioranza alternativa?

Come sappiamo, Sergio Mattarella, presidente della Repubblica,  non ha escluso la correttezza del ricorso alle elezioni. Ma ha sostenuto che la pandemia del coronavirus sconsigliava il ricorso alla prova elettorale che evidentemente avrebbe implicato un impegno  a livello collettivo nel corso di alcuni mesi. La notazione è comprensibile, ma non convincente.  In molti paesi le elezioni si sono svolte e continuano a svolgersi con la normale scadenza o per la crisi della maggioranza di governo. Le elezioni politiche sono programmate durante l'anno in corso prima nei Paesi Bassi, il prossimo marzo, poi in Bulgaria, Cipro, Germania e Repubblica Ceca. Vi è una ragione specifica in Italia che spingeva verso l’esclusione della prova elettorale, una volta che il governo aveva visto svanire la propria maggioranza?

In effetti, quale che sia l’opinione sulla crisi di governo e sul possibile ricorso alle elezioni, la ragione  che ha spinto in direzione di una scelta straordinaria Mattarella è stato il timore di un cambio di maggioranza e di governo suscettibile di creare una crisi nei rapporti con la Commissione europea, innescando un clima di difficoltà nell’acquisizione dell’aiuto finanziario di circa 200 miliardi messo in campo per l’Italia.

Alla prova dei fatti, il timore di una crisi senza sbocco si è dimostrato ingiustificato. La Lega, posta di fronte alla possibilità di accedere al governo, si è dichiarata senza esitazioni a favore della linea europeista del governo. Il problema non esisteva per Forza Italia di Berlusconi pronta a seguire la politica  di Bruxelles. E, per quanto riguarda Fratelli d’Italia, l’opposizione è motivata più che dai rapporti con Bruxelles dal ruolo del PD e di Cinquestelle- partiti classicamente  definiti  dalla loro collocazione nello  schieramento di centro-sinistra.

La discriminante europeista si è dimostrata inconsistente. Alla fine, l’esito è una maggioranza di governo con un ruolo centrale dei due partiti di centrodestra, mentre il PD vi entra non senza difficoltà e Cinquestelle deve confrontarsi con una grave rottura interna dalle conseguenze ancora imprevedibili. Essendo, in ogni caso, i voti di Cinquestellenon determinanti per il sostegno al governo, si è passati, senza clamore, dalla maggioranza di centro sinistra che sosteneva Conte a una maggioranza di centrodestra a favore di Draghi.

In sostanza, per non creare possibili difficoltà nei rapporti con Bruxelles  tutti i partiti, con l’esclusione di Fratelli d’Italia, si sono schierati a favore del nuovo governo che incarna una vocazione politica, già in altre occasioni praticata in Italia, estranea al modello tipico dei regimi democratici, la cui essenza è legata all’esistenza di una dialettica fra partiti tendenzialmente di destra o di sinistra.

La scelta di Mario Draghi, sebbene imprevista, non è stata casuale. Draghi era stato governatore della Banca d'Italia  e il suo prestigio - non solo nazionale, avendo lavorato per Goldman Sachs, una delle più grandi banche a livello globale - si era definitivamente consolidato con la nomina a presidente della Banca Centrale Europea.  Posizione dalla quale nel luglio 2012, nel mezzo alla  profonda crisi dell'eurozona, fece la famosa dichiarazione: “Nell'ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto il necessario per preservare l'euro. E credetemi, basterà ”. E infatti l'euro fu salvato, ma la crisi finanziaria ed economica non fu risolta. L'economia della zona euro ha continuato a languire. E quando Draghi ha lasciato la BCE nell'autunno del 2019, la zona euro era tornata in recessione dopo un decennio con la più bassa crescita dalla fine della seconda guerra mondiale.

Ora Draghi dovrebbe compiere il miracolo. Dovrebbe risolvere la crisi italiana, evitando il ricorso alle elezioni che potrebbero portare alla vittoria di una ricomposta  coalizione di destra guidata dalla Lega e da Fratelli d'Italia. Il nuovo governo è composto da ventitré ministri, 15 dei quali provengono dai sei partiti che sostengono il governo. Gli altri otto ministri scelti da Draghi rivestono ruoli di primaria importanza sia nel campo economico che dei rapporti con Bruxelles. Non a caso il ministro dell'Economia, Daniele Franco, già direttore generale della Banca d'Italia, ricoprirà il ruolo più importante nel governo come principale interlocutore della Commissione Europea in materia di Recovery Fund. Mentre non è da sottovalutare il ruolo attributo a Giancarlo Giorgetti, autorevole appresentante della Lega, come ministro dello sviluppo, il tema di maggiore interesse per la borghesia industriale lombarda e, in generale, del nord.

Ma se la crisi politica è stata risolta, cosa si può dire della crisi economica e sociale che affligge l’Italia? La risposta è tutt’altro che rassicurante. La pandemia del coronavirus ha peggiorato la situazione europea in generale, e l'Italia è una delle nazioni più colpite, non solo, purtroppo, per l’enorme numero di decessi, ma anche economicamente. Il 2020 si è chiuso con una riduzione di circa il 9 per cento del PIL - che era già di cinque punti inferiore a quello del 2007. L'attuale tasso di disoccupazione è superiore al 10 per cento, ed è destinato ad aumentare sensibilmente con la fine del congelamento dei licenziamenti. E il Mezzogiorno - con quasi un terzo della popolazione italiana  - è anche  la regione con il più alto tasso di disoccupazione dell'Eurozona, più alto di quella della Grecia pur duramente colpita dalla crisi.

Molti paesi del mondo avanzato hanno impegnato risorse finanziarie straordinarie, tra il 20 e il 25 per cento del PIL, come nel caso di Stati Uniti e del Giappone, per favorire la ripresa dell’economia.  L'importo corrispondente sarebbe di oltre 400 miliardi di euro per l'Italia a valere nel biennio 2020- 2021.

Secondo le deliberazioni della Commissione Europea, l'Italia potrà contare su circa 200 miliardi di euro per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Si potrebbe discutere sull'efficacia di questo importo. Ma non è questa la questione principale. L'aspetto critico decisivo principale è che queste risorse non sono collegate a un sostegno finanziario immediato. Saranno acquisibili nel corso di cinque anni, se saranno osservati i vincoli della commissione europea  principalmente legati alle questioni ambientali e all'innovazione tecnologica. Obiettivi certamente importanti a media e lunga scadenza, ma che non hanno nulla a che fare con l'attuale pandemia e le sue profonde e immediate conseguenze economiche e sociali. Per recuperare il livello del PIL del 2018 bisognerà aspettare almeno il 2023. Se tutto procederà secondo le previsioni del governo, a metà del decennio saremo tornati al livello del PIL dell’inizio del secolo. In condizioni profondante diverse. Con una distribuzione del reddito a favore delle classi agiate e l’impoverimento di una grande massa di lavoratori.

Ma non è questo che possa turbare i sonni dei capi delle grandi imprese. Per loro  l'avvento di un leader autorevole come Draghi, in grado di mantenere un forte grado di collaborazione nel tipico quadro della politica neoliberista imposta all’eurozona, è una garanzia.  Riferendosi alla nomina di Draghi alla testa del governo italiano, il Financial Times notava che “Il mondo degli affari  e i mercati finanziari gli hanno dato il loro pieno sostegno”. E Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana, ha affermato: "Draghi è super ... Non lo diciamo solo in Italia ma in tutto il mondo  gode di un indiscusso prestigio”. Mentre per Carlo Bonomi, a capo di Confindustria, il mondo degli affari ha lungamente sperato di vedere questo tipo di “personalità” finalmente nel mondo politico”. (“Draghi  wins backing from business leaders”, Financial Times, 8 febbraio 2021). Il plauso è comprensibile. Nella crisi le grandi imprese hanno trovato il modo per rafforzare ulteriormente la loro posizione e i loro interessi e, non a torto, contano  sull’acquisizione di porzioni  importanti della torta di risorse provenienti dall’UE nei prossimi anni.

Attualmente, è opinione comune è che il nuovo governo durerà almeno fino alle elezioni del presidente della Repubblica all'inizio del 2022, quando Draghi potrà candidarsi al Quirinale. Molte cose possono, tuttavia, accadere dal punto di vista degli equilibri politici, considerato il clima di insoddisfazione che scuote il Partito democratico e, soprattutto, i fattori di rottura che agitano Cinquestelle. Non si può escludere che prima o dopo, i partiti di destra ricompongano la loro alleanza nella non infondata speranza di ottenere una vittoria elettorale.

In ogni caso, indipendentemente dagli incerti andamenti politici, le ragioni della crisi economica e sociale già preesistente e oggi  fortemente aggravata dalla pandemia del coronavirus sono destinate a rimanere in ombra.

Per quanto? Le previsioni politiche sono sempre un azzardo. Molte cose possono succedere.  Ma immaginare che il paese abbia trovato una miracolosa soluzione più che un azzardo sarebbe il segno in una grave miopia mascherata da un ottimismo senza fondamento.

Lunedì, 22. Febbraio 2021
 

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