Nel corso dellanno che si è appena chiuso, credo sia capitato a molti di provare un certo imbarazzo nello spiegare a un interlocutore straniero la singolare eccezionalità della situazione politica italiana. Da dove deriva questo imbarazzo? Non deriva dal fatto che ci sia un governo di centrodestra che, senza particolari meriti, ha vinto per tre volte le elezioni negli ultimi quindici anni. In questo può esservi anche un demerito della sinistra, senza che ciò appaia particolarmente sorprendente. Piaccia o no, lUnione europea, con i suoi ventisette paesi membri, è in larga maggioranza unarea governata da formazioni di centrodestra. Se si trattasse solo di questo, di avere un governo di centrodestra, il nostro paese si troverebbe in una larga compagnia. Dove sarebbe la sua eccezionalità?
Non ho finora incontrato francesi, tedeschi o svedesi, per non citare che abitanti di tre paesi che, per molti versi, sono tra i più rappresentativi dellUnione europea, che provassero un particolare imbarazzo nel parlare, in termini più o meno critici, dei loro paesi governati da coalizioni di centro-destra. Fa parte del gioco democratico. Angela Merkel potrà non piacere al 45 per cento dei tedeschi che ha votato per la SPD, per la Link e per i Verdi. Ma la Germania è il paese dove la disoccupazione - tramite la riduzione congiunturale dellorario di lavoro con una compensazione salariale a carico dello Stato - è finora rimasta quasi stabile, aumentando di mezzo punto percentuale nel corso dellultimo anno, meno di qualsiasi altro paese occidentale. La Francia di Sarkozy è il paese che, complessivamente, meglio di ogni altro ha retto alla crisi fra tutti i paesi industrializzati, e oggi lesempio francese è considerato come un modello vincente perfino dalla grande stampa anglosassone, abituata a considerare la Francia un prototipo di inefficienza e di conservatorismo novecentesco.
La differenza italiana non sta dunque nella reiterata sperimentazione di un governo di centrodestra. La vera, difficilmente spiegabile e imbarazzante differenza sta nellincarnazione del centrodestra italiano in Berlusconi. Sta nella sua naturale vocazione anti-istituzionale, nellirrefrenabile tensione verso lo stravolgimento delle regole democratiche, nella destabilizzazione dei rapporti interistituzionali, politici e sociali. Lidea che Berlusconi è quello che si meritano gli italiani non spiega questo stato di cose. Innanzitutto perché è un giudizio non suffragato dai fatti. Nel recente voto per le elezioni europee, Berlusconi ha tentato un plebiscito sulla sua leadership, abusivamente candidandosi in tutte le circoscrizioni del paese, ma il suo partito ha raccolto solo il 35 per cento dei voti. Berlusconi governa perché ha lalleanza della Lega, unalleanza che lo tiene sotto ricatto. E già questa è una specificità della situazione politica italiana: un partito xenofobo, intimamente secessionista, animato da un populismo reazionario, come ago della bilancia della politica nazionale. Una formazione senza la quale Berlusconi non potrebbe governare. Vale la pena di ricordare che, al contrario, in Francia, per lunghi periodi la destra ha rinunciato a governare, lasciando campo aperto al centro-sinistra, per non accettare lalleanza del Fronte Nazionale di Le Pen, partito nazionalista-xenofobo.
Unaffermazione comune è che, allorigine della deriva politica italiana, vi sia il conflitto di interessi tra un uomo straricco e padrone di un impero mediatico e la funzione di governo. Su questo non cè dubbio. Ma nemmeno questo basta a spiegare leccezionalità italiana. Cè un secondo nodo che travalica lo straripante conflitto dinteressi di Berlusconi, e ha a che fare direttamente con la prospettiva politica della sua leadership. Esceso in politica per difendersi personalmente dai rischi giudiziari che incombevano su di lui. Ma anche coltivando una visione di profonda riforma della politica e delle istituzioni, sulla base di unesperienza di, sia pur discutibile, successo nel mondo imprenditoriale.
Berlusconi ha dimostrato, in questi quindici anni, che non gli è sufficiente sfuggire ai processi. Ha tenacemente coltivato lambizione di rimanere nella storia come luomo politico - lo statista, come ama definirsi (anzi il migliore di tutti nella storia ultra-secolare del paese) - che ha cambiato lItalia. E il cambiamento investe in pieno la Costituzione e le istituzioni di garanzia democratica con lo scopo di concentrare il potere nellesecutivo e nel capo del governo, concepito come il presidente-amministratore delegato di una grande impresa. Su questa strada non ha mai deviato è anzi andato avanti, alzando la sfida, sia quando era sotto scacco giudiziario, sia quando non lo era.
E stato, sin dallinizio, un errore sottovalutare la sua visone dirompente della politica e delle istituzioni, e lo è ancora di più ai nostri giorni. Quando oggi si dice: liberiamolo dallassillo dei processi, e discutiamo delle riforme istituzionali, ci si ostina a compiere un doppio errore. Il primo è nell ingannevole e ostinatamente perdurante convincimento che Berlusconi possa essere un interlocutore interessato a un accettabile processo di riforme in grado di rafforzare e modernizzare come si dice le istituzioni democratiche. Per quindici anni ha dato prova di volerle sconvolgere. In tutte le esperienze di governo, e ancora più in quella attuale, ha ridotto il Parlamento a un sordo esecutore delle scelte del governo. Considera il presidente della Repubblica un potere sostanzialmente pleonastico, se non illegittimo, perché non direttamente eletto dal popolo. Attacca la Corte costituzionale che, in tutte le democrazie, è il garante supremo della separazione dei poteri e dei rapporti interistituzionali. Conduce una lotta incontenibile contro la magistratura, con il disegno di ridurla a un organismo senza voce e servile nei confronti di chi può permettersi una legione di avvocati trasformati in legislatori o loro potenti consiglieri.
Ma nellopposizione la tentazione di negare lesperienza e ostinatamente ricominciare daccapo, è come lirresistibile vizio del giocatore di Dostojevski. A nulla vale lesperienza del passato e perfino il normale buon senso. Correre in soccorso di Berlusconi per ammansirlo significa sottovalutarlo, e commettere un doppio errore. Il primo è aprire nuove falle nel campo dellopposizione. Ma a questo siamo sfortunatamente abituati. Il secondo, non meno grave, è quello di sminuire, fino a neutralizzarla, la dialettica che si è aperta nel cuore del suo schieramento, cementando le lesioni che minacciano il suo dominio.
Una forza di opposizione ha molti e straordinari impegni da assumere in una fase di crisi economica e sociale come quella che per lungo tempo peserà sul paese, ma oggi è sulle questioni della difesa delle istituzioni che si gioca il ruolo dellopposizione e la prospettiva democratica del paese . Nel Partito democratico tornano a manifestarsi le vecchie contrapposizioni. Bisogna piangerci sopra? O non è più produttivo dibatterle apertamente alla luce del sole, e decidere cosa questa ennesima versione di partito dellalternativa voglia fare da grande?
Il compito di Bersani non è dei più semplici. Ma è un uomo nuovo, se non nella politica, al comando del maggiore partito di opposizione. Ha davanti una strada irta di ostacoli. Ma importante, per quanto sia ardua, è non sbagliare ancora una volta direzione di marcia, non far deragliare il treno, di cui in condizioni certamente difficili gli è stata affidata la guida. Speriamo che Bersani abbia la voglia, la tempra e la volontà per riuscirvi.