Il Pd e il fucile scarico del ricatto

Il Pdl è un partito in disfacimento con a capo un pregiudicato che non può candidarsi e che Napolitano non può graziare cedendo alle minacce. Serve un nuovo governo per una rapida riforma elettorale e poi il voto, a cui i democratici potranno presentarsi con le carte in regola se non salveranno di nuovo Berlusconi

E’ inutile piangere sul latte versato, secondo il vecchio adagio. Ma si può imparare dagli errori passati per evitare di ricadervi. Il governo Letta era ed è un governo innaturale. Il Pdl che è parte determinante della maggioranza che lo sostiene non ha mai avuto alcun interesse alla soluzione dei problemi del paese. Il suo interesse assoluto era farne uno scudo a difesa  di Berlusconi. Ora che lo scudo si è infranto di fronte alla determinazione del tribunale supremo, il Pdl scopre il suo volto avventurista ed eversivo.

Il ricatto al Quirinale - la grazia per la condanna o una minacciosa per quanto indefinita rottura istituzionale – è la parafrasi della conclusione del film di Nanni Moretti: dall’incendio del tribunale all’assedio al Quirinale. Una minaccia eversiva ma grottesca.

Il Pdl è un partito in disfacimento che aspetta di riciclarsi venti anni dopo nella sua forma originaria. Ma allora il fondatore, padre-padrone, era un “uomo nuovo” che offriva una sponda ai reduci della battaglia perduta dei vecchi partiti. Oggi il vecchio capo carismatico è un pregiudicato che non può candidarsi, che non può frequentare le piazze, mentre è in attesa di essere formalmente interdetto dai pubblici uffici nel giro di qualche mese.

In un qualsiasi altro paese di ordinaria democrazia, un simile capo si ritirerebbe per salvare il partito, o il partito lo allontanerebbe per salvare se stesso. Ma siamo lontani da questa normalità democratica. E qui vi è una responsabilità della sinistra e del Pd, come maggiore partito di riferimento.  Si discuterà a lungo su come sia riuscito a non vincere le elezioni, quando il centrodestra ha perduto in una sola volta circa il venti per cento del suo elettorato. La conduzione della campagna elettorale da parte di Bersani non poteva essere più scolorita. Ma era difficile, se non impossibile, vincere con un’offerta politica al cui centro c’era la promessa di costituire un governo con Monti, al quale possibilmente affidare un super ministero in nome della continuità con la precedente rovinosa esperienza di governo.

Nella nuova situazione, Bersani comprese che c’era una via da scartare per ragioni ovvie di coerenza e di sopravvivenza: il ritorno alla ripudiata alleanza con Berlusconi. Per cui non rimaneva che tentare la via di un accordo con il M5S. Un tentativo destinato a fallire per l’analfabetismo politico dei capi del Movimento che si vietavano la possibilità di imporre almeno una parte del loro programma e, in ogni caso, di guadagnare una posizione di condizionamento sul governo che avrebbe portato il Movimento a un indiscusso protagonismo nella vita politica del paese.

Caduta la pregiudiziale di Bersani contro la destra berlusconiana, e fallito il tentativo di coinvolgere il Movimento, non rimaneva che un governo di minoranza per andare alle elezioni, dopo a riforma elettorale. Il Pd vi sarebbe giunto in una posizione di limpidezza della sua politica e di rigetto della responsabilità di un mancato governo sull’infantilismo grillino.

Poiché Dio acceca chi vuole perdere - in questo caso, insieme Pd e M5S - andò in fumo la possibilità di eleggere un presidente della repubblica come Rodotà. E il governo Letta, nato per volontà di Napolitano, ripristinava la linea che in una prima fase Bersani (e apparentemente tutto il Pd) aveva ripudiato.

Un governo senza fondamento se non per gli interessi giudiziari di Berlusconi, e soggetto alla bomba a orologeria delle sentenze dei tribunali. Ora è successo quello che doveva succedere, e che continuerà a succedere con altre sentenze, una delle quali già comminata in primo grado, mentre altre sono in cammino.

Il Pd ha continuato ad affermare che la politica deve essere distinta dagli affari giudiziari. Ora è il momento di affermare il reciproco: l’esecuzione delle sentenze deve essere indipendente dalla politica. La condanna passata in giudicato a quattro anni determina l’incompatibilità del condannato col ruolo di parlamentare.

Lo dice con chiarezza inequivocabile la legge recepita dal Decreto legislativo del 31 dicembre del 2012: “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore (…) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni”.  Ed è questa la condizione soggettiva del senatore Berlusconi, da cui discende automaticamente l’incompatibilità, indipendentemente dal fatto che tre anni di pena gli saranno condonati per effetto dell’indulto.

Prima la Giunta per le immunità, poi l’assemblea altro non dovranno fare che applicare la legge. Il procedimento è già in corso con l’invio degli atti dalla corte d’appello di Milano alla Presidenza del senato. La maggioranza di governo è chiamata ad applicare la legge. Se non lo fa, la maggioranza  si scioglie. Napolitano, che non può concedere la grazia a un condannato che, lungi dal dare segni di ravvedimento, tenta di ricattarlo nella sua funzione di garante della legalità repubblicana, non può che prendere atto della fine della maggioranza, e promuovere un governo che prepari le elezioni, dopo aver riformato la legge elettorale, e avere svolto per alcuni mesi gli affari più urgenti.

Il Partito democratico si presenterà con le carte in regola per quanto riguarda quest’aspetto, diventato dirompente, della legalità democratica. Grillo e Casaleggio dovranno spiegare perché sono stati all’origine del fallimento di un governo che avrebbe tenuto fuori Berlusconi. La nuova Forza Italia apparirà per quello per cui nasce; un esercito raccattato in difesa del suo capitano di ventura, ormai recluso in uno dei suoi castelli, dal quale può uscire solo sotto sorveglianza, che ritenta venti anni dopo una guerra che ha già perduto. Sempre che le controparti, spaventati dal fucile scarico dell’ultimo ricatto, non vorranno dargliela vinta a tavolino.

Domenica, 4. Agosto 2013
 

SOCIAL

 

CONTATTI