Il pasticcio degli straordinari

Il provvedimento sulla detassazione avrebbe come obiettivi l'aumento della produttività e anche dei salari, ma è inefficace per entrambi. Ma forse lo scopo reale è di tendere a una riduzione del costo del lavoro pro capite, che in questo modo viene attuata al peggio. E nel frattempo si fanno rientrare nell'Irpef le "erogazioni liberali"

Tutti i sistemi fiscali contengono tassazioni separate, agevolazioni, crediti d’imposta, deduzioni e detrazioni, per i più svariati motivi; il nostro non fa eccezione. Solamente nell’Irpef si contano oltre una trentina di agevolazioni, da quelle nate con l’imposta o subito dopo (spese mediche, interessi passivi, assicurazione vita) a quelle più recenti, come la detrazione per gli inquilini della Finanziaria 2008. In alcuni casi il fisco riconosce delle spese socialmente meritevoli, in altri vuole incentivare delle spese, per gli effetti positivi che esse producono.

 

Quando si introduce un incentivo l’obiettivo non è tanto quello di premiare chi fa una certa spesa, quanto ottenere che il volume complessivo delle spese aumenti. Si può fare l’esempio della detrazione per le ristrutturazioni immobiliari, in vigore da alcuni anni; si tratta di spese che attivano un valore aggiunto che è quasi completamente interno, cioè prodotto da imprese (ed artigiani) che operano in Italia. Lo scopo della detrazione è fornire una spinta ad un maggior volume di spese di quanto non avverrebbe altrimenti; c’è poi uno scopo secondario, che è quello di far emergere lavori che vengono compiuti, ma in nero. In questo caso la detrazione funziona (se funziona) sulla base del “contrasto di interessi”, a volte invocato, un po’ troppo facilmente, come la soluzione della lotta all’evasione.

 

 L’efficacia dell’incentivo dipende quindi da quante maggiori opere di ristrutturazione riesce ad attivare, o da quante riesce a far emergere; se il volume complessivo della maggiore spesa è limitato, allora l’incentivo fallisce e si trasforma in un premio a chi ha compiuto una spesa socialmente meritevole, così come accade per le detrazioni per spese mediche o spese scolastiche. E’ ovvio infatti che in questi ultimi casi il fisco non vuole incentivare le visite mediche o l’acquisto di medicine, né spingere gli studenti a trascorrere più anni a scuola o all’università. In sostanza l’incentivo costa di meno ed è più efficace quanto minori sono le spese per ristrutturazione che si sarebbero fatte comunque, e quanto maggiori sono quelle che si fanno proprio per via dell’incentivo, ed anche quelle che per via dell’incentivo emergono dal nero.

 

La detassazione degli straordinari varata dal Berlusconi quater appartiene dichiaratamente alla categoria degli incentivi; dunque si propone di ottenere maggiori ore di lavoro straordinario (o incrementi di produttività sotto altra forma, su cui più avanti), oppure di far emergere ore di straordinario che si fanno in nero. La misura è presa a titolo sperimentale per la seconda parte dell’anno (il che consente di limitarla al solo settore privato, evitando di incentivare i “fannulloni”); il momento sembra favorevole, perché con un PIL che si preannunzia pressoché piatto, gli straordinari spontanei, cioè quelli che si sarebbero fatti anche in assenza di incentivo, sono ovviamente pochi. Dunque è più probabile che le ore di straordinario che avverranno da luglio 2008 fino alla fine dell’anno saranno quelle incentivate. Ma il ragionamento è corretto?

 

Nel caso degli straordinari vi è una bella differenza rispetto alle spese di ristrutturazione: in qust’ultimo caso la decisione della spesa è presa da colui che beneficia della detrazione, la quale quindi può spingerlo ad affrontare la spesa o a spendere di più di quanto altrimenti non avrebbe fatto. Nel caso dello straordinario invece non è il lavoratore che decide se e quante ore in più effettuare, ma è il datore di lavoro, il quale ovviamente decide sulla base della domanda; se ha convenienza, chiederà ore in più, altrimenti no.

 

Tuttavia l’entusiasmo di Confindustria verso il provvedimento è nettamente maggiore di quello espresso dai leader sindacali, anche da quelli più favorevoli; questo potrebbe sembrare strano, visto che a prima vista la misura non cambia i conti del datore di lavoro, ma il reddito netto del lavoratore. Ma Confindustria guarda lontano, a quando la normativa sarà inserita in modo permanente nel nostro sistema; la prospettiva è quella di avere una minore retribuzione ordinaria ed una maggiore retribuzione per straordinari o premi di produzione. Già oggi il costo di un’ora di lavoro ordinario è maggiore di un’ora di straordinario (vedi l’articolo di Amoretti); a maggior ragione tenderà a diventarlo in seguito, anche attraverso comportamenti elusivi. L’effetto di impatto di una maggiore produzione pro capite sull’occupazione è inevitabilmente negativo; e per quanto riguarda gli effetti indiretti essi dipenderanno da molte variabili, di cui il minor costo del lavoro è solo uno delle tante.

 

Veniamo ora al provvedimento, così come è stato presentato dai giornali (il d.l. non è ancora uscita in Gazzetta). Gli straordinari, ma anche altre voci variabili della retribuzione (somme per prestazioni supplementari o rese in funzione di clausole elastiche, nonché incentivi e premi) vengono esclusi dalla base imponibile Irpef e sottoposti ad imposta sostitutiva al 10%. Possono usufruire dell’agevolazione i dipendenti che nel 2007 avevano un reddito lordo non superiore a 30.000 euro; le somme agevolate non possono superare i 3.000 euro.

 

Il limite del reddito lordo in sostanza individua lavoratori appartenenti ai primi due scaglioni dell’Irpef; il fatto che il reddito agevolato non faccia più parte dell’Irpef determina un vantaggio in termini di maggiore detrazione (personale e familiare) e di minori addizionali; pertanto su 100 euro la minore imposta è di circa 21,5 euro. Il tetto di 3.000 però limita il massimo guadagno possibile a 645 euro. Attenzione però: se il lavoratore ha remunerazioni basse o pensa di avere nell’anno in corso detrazioni tali da portarlo ad imposta (Irpef) zero, non ha convenienza ad usufruire della tassazione separata, perché su di essa grava comunque un 10% di cedolare secca, quindi una possibile imposta fino a 300 euro.

 

Il d.l. ha poi abolito l’art. 51, comma 2, lettera b del Tuir; quindi le erogazioni liberali concesse in occasioni di festività o ricorrenze aziendali per un importo non superiore a 258,23 euro (il vecchio mezzo milione di lire), nonché i sussidi occasionali concesse in occasione di rilevanti esigenze occasionali diventano imponibili in sede Irpef. L’abolizione non ha carattere sperimentale come la detassazione, ma è definitiva. Sul Sole 24 Ore del 24 maggio nella pagina (14) dei commenti del direttore sotto il titolo “straordinari, il nodo dei costi” veniva rilevata criticamente questa eliminazione del Tuir, esprimendo “il timore che le imprese finiscano di farsi carico dell’aiuto che viene loro concesso”. Mentre Il Sole si preoccupa per il possibile aumento dei costi per le imprese, forse ci si dovrebbe preoccupare dell’altro versante; non tanto delle piccole regalie che i lavoratori ricevono a fine anno (anche se la misura sembra voler imitare quelle di Visco “il vampiro”), quanto per le somme più consistenti per momenti particolari, che possono essere felici (matrimonio), ma anche drammatici (usura).

 

In conclusione il provvedimento ha poco a che vedere con il sostegno dei lavoratori in maggiore difficoltà, anche perché la maggior parte dei lavoratori, e in particolare la fascia più povera, non potrà usufruirne; serve piuttosto per preparare il terreno ad una manovra di diminuzione del costo del lavoro pro capite, e lo fa nel modo peggiore possibile.    

Giovedì, 29. Maggio 2008
 

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