Il governo e la miglior Finanziaria 'possibile'

La parte moderata della maggioranza che ha sollevato vivaci critiche alla legge forse dovrebbe chiedersi: nelle condizioni date, si poteva far meglio? E comunque, a differenza che nel governo Berlusconi, la spesa rispetto al Pil non aumenta

Questi ultimi giorni di ottobre ci consegnano due novità curiose; la prima è che gli attacchi parlamentari al governo non vengono dalla “sinistra radicale” ma dal lato opposto dello schieramento di maggioranza (anche se la collocazione di Di Pietro è problematica), la seconda è che la Finanziaria 2008, senza dubbio soft rispetto a quella precedente, è apparsa molto più a rischio di non passare.

 

Ma come criticare una finanziaria “leggera”? E’ presto detto: la finanziaria non ha tagliato le spese, ed ha usato le maggiori entrate per continuare sulla vecchia strada. Questa è l’accusa formulata dapprima sul Corriere e su Il Sole, nonché su siti specializzati in temi economici, e ripresa poi autorevolmente dalla Banca d’Italia. Ora, non c’è dubbio che nel 2008 la spesa primaria complessiva rimarrà su livelli del 44%, o poco più. Questo è il medesimo livello raggiunto nell’ultimo anno pienamente attribuibile al governo precedente, cioè il 2005.

 

Sarebbe bene però porsi qualche domanda; come ha giustamente ricordato Scalfari, la prima è quella di Roberto Perotti, un economista, liberista a tutto tondo, mai tenero verso i governi, di destra o di sinistra che siano. Sul Sole 24 Ore (4 ottobre) si chiede: “Realisticamente, qualcun altro avrebbe potuto fare molto meglio del ministro Padoa Schioppa?” 

 

La risposta potrebbe essere affermativa, se il governo fosse stato compatto, se i rapporti con regioni e comuni fossero stati fluidi, se insomma tante energie, impiegate nel trovare accordi tra ministri, vice-ministri, sottosegretari, aspiranti leader politici, deputati e senatori, rappresentanze di regioni e comuni e delle parti sociali, fossero state spese per razionalizzare e limitare la spesa per beni e servizi e l’uso dei dipendenti pubblici.

 

Ma ridiamo la parola a Perotti: “Tra l’ultimo anno pieno del governo Berlusconi, il 2005, e il primo anno pieno del governo Prodi, il 2007, la spesa primaria è rimasta praticamente costante, a circa il 44,2% del Pil…..Tra l’ultimo anno pieno del precedente centro-sinistra, il 2000, e il primo anno pieno del centro-destra, il 2002, la stessa spesa è aumentata invece di esattamente due punti percentuali, dal 39,9% al 41,9%”. E’ da notare che in questo intervallo la fase recessiva era solo all’inizio; si sarebbe dispiegata poi nei tre anni successivi, duranti i quali la spesa aumentò di altri due punti.

 

Insomma tra il 2002 ed il 2005 a far lievitare la spesa primaria (soprattutto corrente) non è stato tanto la corsa del numeratore, quanto la frenata del denominatore. Il problema è che l’avanzo primario si è prosciugato e il rapporto debito/Pil ha ricominciato a salire, dopo dieci anni di discesa. Ma è nella fase iniziale del suo governo, che godeva di una maggioranza invidiabile, che Berlusconi ha spinto in alto la spesa pubblica, anche se meno di due punti. Mi spiace per gli economisti liberisti, ma, per quanto riguarda la spesa pubblica, una signora Tatcher non è rinvenibile nella destra italiana.  

 

Ciò detto, singoli aspetti della finanziaria possono essere discussi. La scelta di ridurre l’Ici sulla casa d’abitazione è dovuta essenzialmente all’impopolarità massima di questa imposta. Gli economisti hanno un bel dire che in tutti i paesi la finanza locale si basa sul prelievo immobiliare, dai paesi europei agli Stati Uniti, dove la property tax finanzia le scuole pubbliche. L’Ici è odiata, ed infatti sembra sia stato il provvedimento più apprezzato. Giustamente i Comuni si sono infastiditi, anche se il modo scelto dalla Finanziaria dovrebbe ridurre al minimo le interferenze con i Comuni; l’erario infatti rimborserà l’uno e trentatré per mille  dei valori delle case.

 

Naturalmente la scelta del governo di porre un limite di 50.000 euro per usufruire della detrazione statale ha prodotto subito le rimostranze; su La Repubblica è stata pubblicata una prima lettera di un pensionato con un reddito (lordo) oltre la soglia, che protestava perché a lui era negata una detrazione che invece il suo idraulico, elettricista, ecc…, avrebbero avuto. Certo c’è da dire che si tratta di un pensionato con reddito pari a quattro volte quello medio. Una seconda lettera sollevava anche un altro punto: la famiglia monoreddito che supera i 50.000 non riceve nulla, mentre una bireddito può usufruirne anche con redditi di 90.000 o più (es. due coniugi con reddito di 45.000). Giustamente questo punto è stato corretto in Parlamento, escludendo le case di lusso.

 

Il punto è che dovendo distribuire due miliardi su di un potenziale di 20 milioni di nuclei familiari è inevitabile cercare di restringere il campo dei beneficiari e di limitare lo stesso beneficio medio. Un discorso analogo vale per l’intervento una tantum a favore di coloro che non avevano beneficiato delle modifiche dell’Irpef della finanziaria 2007 perché il loro reddito era troppo basso. Da un lato è giusto estendere un beneficio (anche se temporaneo), ma anche qui i 1900 milioni verranno distribuiti su una platea di oltre 12 milioni di teste.

 

In teoria, se queste somme fossero state concentrate su obiettivi più circoscritti (dagli asili nido all’autosufficienza, agli aiuti alle famiglie numerose a rischio di povertà) gli effetti di “miglioramento del benessere”, come dicono gli economisti, sarebbero stati più sensibili. Peraltro va ricordato che la finanziaria 2007 aveva stabilito che la prossima avrebbe dovuto intervenire a vantaggio degli incapienti, ed in effetti il bonus di 300 euro va proprio a coloro (e ai familiari a carico) che nel 2006 avevano deduzioni e detrazioni tali da portarli ad un’imposta nulla.

 

Il Parlamento ha anche indicato che la prossima Finanziaria dovrebbe intervenire a favore del lavoro dipendente. Per quanto possa sembrare di un ottimismo temerario parlare di una finanziaria 2009 (fatta da questo governo) vorrei spezzare una lancia a favore della proposta avanzata da Lettieri, circa la riduzione della aliquota al 38%, del terzo scaglione dell’Irpef,  che va da 28.000 a 55.000 euro. Fermo restando che è vero ciò che ha detto Padoa Schioppa (al di là del giudizio estetico), e cioè che le tasse sono un fatto di civiltà (ed infatti i paesi scandinavi sono quelli a pressione fiscale più elevata), è anche vero che il salto del 38%, rispetto all’aliquota del secondo scaglione (27%), è molto forte; il risultato è che la crescita dell’aliquota media a 28.000 euro non ha un andamento “liscio”, ma presenta un’impennata dovuta a questo salto di aliquota. La riduzione, di un paio di punti, ad esempio, attenua il peso fiscale su di una consistente fetta di ceto medio (tra cui moltissimi lavoratori dipendenti), aumenta anche la distanza con le due aliquote superiori, e può avere qualche effetto di incentivo favorevole.  

 

Lunedì, 29. Ottobre 2007
 

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