Il governo del 33

La prossima Finanziaria è l'ultima utile per mantenere la promessa sulla riforma fiscale, ma farla senza sfondare il tetto del 3% è un compito proibitivo persino per la fantasia di Tremonti
Tre anni fa Berlusconi firmava in diretta tv il taglio delle “tasse” promettendo un’IRPEF con due aliquote: una al 23% fino a 100.000 euro, una al 33% dopo. La legge delega di Tremonti confermava la promessa, ivi compresa l’eliminazione dell’IRAP. Nel frattempo però dai cinque punti di riduzione della pressione fiscale il governo è passata a due (DPEF 2003), visti i chiari di luna congiunturali. Era inevitabile che quest’anno l’argomento tornasse di attualità, non solo e non tanto per le elezioni europee, ma perché la finanziaria 2005 di settembre è l’ultima utile per le elezioni politiche.
Le due aliquote sembrano quindi una delle poche carte rimaste per cercare di vincere nel 2006; ma le condizioni macroeconomiche sono pessime: tagliare l’IRPEF per 6 miliardi, ridurre (almeno un po’) il prelievo IRAP, rimanere dentro il 3% di disavanzo è qualche cosa che supera la pur fervida fantasia del Ministro dell’Economia.
Il taglio del prelievo è una misura che può essere vista sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta. Per i keynesiani aumentare il reddito disponibile dei redditieri medio-bassi serve a rilanciare la domanda di consumi; ancora meglio ridurre le imposte sui consumi (iva); la più nota manovra in questo senso fu quella del 1962 da parte di Kennedy negli USA. Per i neoclassici la riduzione delle aliquote determina effetti di incentivo sul lavoro e sulla produzione, ed ovviamente più alte sono le aliquote da tagliare meglio è.
Quindi si deve puntare sui redditi delle società e dei redditieri medio-alti. La manovra più nota è ovviamente quella di Reagan nei primi anni ottanta. Addirittura secondo i sostenitori della “supply-side economics” il taglio delle aliquote farebbe aumentare il gettito fiscale: i classici due piccioni, illustrati da Laffer su un tovagliolo di un bar, durante la campagna elettorale. Anche se a volta capita di leggere che la manovra di Reagan ebbe successo, si tratta di una bugia; la crescita del prelievo è avvenuta negli anni novanta con Clinton, il quale, è bene ricordare, aveva riportato l’aliquota massima dell’income tax federale al 40% (poi ci sono le aliquote statali, tra il 5% ed il 7%); del resto sembra che il governo stesso non ci creda.
Il ministero dell’Economia deve riuscire a trovare la quadratura del cerchio di tre problemi: 1) come realizzare le due aliquote rimanendo entro 6 miliardi di minor prelievo IRPEF; 2) con quali tagli di spesa compensare la manovra fiscale; 3) cosa fare nel caso di deficit oltre il 3%. Il primo problema può essere affrontato agendo in due direzioni: la prima quella di far iniziare il secondo scaglione non a 100.000 euro ma prima; la seconda è quella di trasformare le detrazioni d’imposta per carichi familiari e oneri riconosciuti in deduzioni linearmente decrescenti, entro i limiti già ora previsti per le deduzioni da lavoro. Ma così facendo da un lato si espone alla critica di barare sul “contratto con gli italiani”, dall’altra rischia di far rimanere all’asciutto la numerosa platea dei redditi medi, il che elettoralmente non è la scelta più conveniente.
Il secondo problema è forse peggiore del primo: quando si passa dalla declamazione “tagliare la spesa pubblica improduttiva” ai fatti sono pasticci. Non si può agire sulla maggior parte della spesa per sicurezza sociale e per servizi, per cui restano i trasferimenti alla imprese, con l’ovvia conseguenza di trovarsi in guerra con tutte le organizzazioni, a cominciare dalla Confindustria; il fuoco di sbarramento iniziato da qualche giorno sul Sole-24Ore è significativo.
Il terzo problema sembra quello più abbordabile: in fondo mal comune, mezzo gaudio. In effetti il passo del Rubicone del 3% non sarebbe drammatico, se non fosse per una conseguenza: non una reazione della Commissione, ma dei mercati, che potrebbero declassare il debito italiano e aumentare lo spread sul costo delle emissioni. Non va dimenticato infatti che Tremonti, se da un lato ha dovuto affrontare due anni di stagnazione, ha avuto anche il beneficio di un netto calo del costo del debito.
Proprio in questi giorni incominciano i primi segnali di una ripresa dei rendimenti, che dagli USA può trasmettersi in Europa, ed in questo caso il governo potrebbe trovarsi in una prospettiva da incubo: fiacco andamento dell’economia, sfondamento del 3%, rialzo del costo del debito.
 
 
Martedì, 27. Aprile 2004
 

SOCIAL

 

CONTATTI