La guerra in corso nel territorio palestinese non presenta un futuro chiaro. Era evitabile? Vale la pena tornare indietro negli ultimi anni dando uno sguardo alla politica che ha preceduto la crisi attuale.
Erano i primi anni novanta quando una delegazione della CGIL composta dal segretario generale Lama, dai segretari nazionali Trentin e il sottoscritto, incontrò a Tunisi Yasser Arafat che fu molto cordiale con i rappresentati della CGIL. Ma nel corso dell’incontro si lamentò della posizione che avevo espresso scrivendo sulla questione israelo-palestinese. In effetti, avevo scritto che esisteva la possibilità di una soluzione sulla base delle conclusioni dell'incontro internazionale di Oslo dell’estate del 1993.
Ma Arafat probabilmente era stato male informato dai suoi consiglieri che evidentemente gli avevano detto che mi ero espresso contro la politica del movimento di liberazione. Spiegai che ni ero espresso a favore di un dialogo tra Israele e il movimento di liberazione, che era del resto la posizione prevalente nell’incontro di Oslo, in Norvegia, nell’estate del 1993. Arafat sembrò almeno parzialmente soddisfatto. L'incontro si concluse con un abbraccio con la nostra delegazione a dimostrazione della grande importanza che Arafat attribuiva al sindacalismo italiano.
L'effettiva occasione per un accordo si presentò in quei mesi con il governo israeliano del partito laburista guidato da Yitzhak Rabin, che negli anni precedenti aveva preso parte, come capo dell'esercito, al conflitto di Israele contro l'Egitto e la Siria. Negli anni successivi era stato alla testa del paese. Ora era stato nominato nuovamente capo del governo e si era convinto della necessità di un accordo con l’FLN.
Non era perciò un caso che Rabin avesse invitato Arafat a discutere di un possibile processo di pace. Il momento più importante fu l'incontro a Washington con Bill Clinton, da poco eletto alla presidenza degli Stati Uniti. L' incontro fu celebrato da una foto comune tra Clinton, Rabin e Arafat. Sembrava essere l'inizio di un nuovo corso in vista di un accordo. Ma Rabin, che nel novembre 1994 aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace, fu assassinato da un giovane esponente della destra israeliana.
Con l'assassinio di Rabin, il processo di pace entrò in una fase di incertezza. Dopo l’interregno guidato da Shimon Peres tra il novembre 1955 e il novembre 1996, le elezioni portarono al governo un esponente di destra, Benjamin Netanyahu, e il processo di pace si bloccò.
In quegli anni arrivarono in Israele dall’Europa orientale circa un milione di migranti di fede israelitica. Ma quando Arafat chiese che 500 mila palestinesi sparsi nei paesi vicini potessero gradualmente tornare in Palestina, la richiesta fu respinta. In effetti, il processo di pace inaugurato da Rabin era stato bloccato dai nuovi governi israeliani. Nel 2003 Arafat, che aveva puntato sull'accordo, morì (molti dissero che era stato vittima di un avvelenamento) in un ospedale di Parigi. Svaniva in sostanza il principale rappresentate della Palestina.
In effetti, Israele del dopo Rabin non era disposta a riconoscere l’esistenza di uno Stato palestinese al suo fianco. Iniziava un nuovo capitolo del rapporto Israele-Palestina.
Nel 2005 Abu Mazen assunse la direzione della parte della Cisgiordania, mentre Hamas che rappresentava la parte più combattiva dei palestinesi aveva assunto il sostanziale controllo della Striscia di Gaza. Ma Abu Mazen considerava Hamas un oppositore del governo insediato in Cisgiordania. In effetti, Gaza era isolata sulle coste del Mediterraneo e la rappresentanza del popolo palestinese si divideva.
La fine del processo di pace
Quando ero stato a Gerusalemme, la Palestina era essenzialmente sotto il controllo militare israeliano. A Nablus potevamo incontrare riservatamente alcuni esponenti della resistenza palestinese. L’incontro fu di grande interesse. Ma sulla via del ritorno, nella piazza centrale, fummo fermati - ero con Renato Lattes - dai militari israeliani posti sull’alto di un edificio che controllava la piazza.
Dissero che dovevano interrogare il nostro compagno palestinese, un membro della resistenza che guidava l'auto e che ci aveva condotto a Nablus attraverso strade collinari non strettamente controllate. Una volta separato da noi volevano interrogarlo, con i mezzi tradizionalmente usati nei confronti di palestinesi sospetti, per conoscere i nomi delle persone con cui eravamo stati.
Nonostante le minacce non ci separammo dal nostro accompagnatore. Alla fine potemmo intraprendere il ritorno verso Gerusalemme affermando che la rappresentanza del governo italiano era informata del nostro viaggio in Cisgiordania - in realtà, un viaggio ignorato dall'ambasciata italiana.
Nel corso degli anni, il conflitto israelo-palestinese aveva assunto caratteristiche diverse. Da un lato, la Cisgiordania era guidata dal 2005 da Abu Mazen privo di un potere effettivo. Dall’altro, l'avversario del governo israeliano era Hamas che controllava Gaza che, da un lato, si affacciava sulle sponde del Mediterraneo, mentre dall’altro confinava con un territorio sostanzialmente desertico controllato da Israele. La Striscia di Gaza era destinata a rimanere isolata sotto il dominio israeliano.
L’ammontare complessivo della popolazione israeliana è calcolato in 15,7 milioni di cittadini in parte residenti in Israele, mentre più di sei milioni vivono negli Stati Uniti e gli altri in Francia, Gran Bretagna e Italia.
Il conflitto attuale non indica una soluzione. Hamas con l'attacco a Israele del 7 ottobre 2023 ha provocato la morte di circa 1200 israeliani, mentre oltre 200 sono stati catturati e imprigionati nel territorio di Gaza, utilizzando la rete di gallerie sotterranee realizzate negli anni scorsi durante l’occupazione israeliana. (Una parte, donne bambini, è stata liberata sulla base di un accordo che ha avuto come contropartita la liberazione di prigionieri palestinesi).
La situazione a Gaza è quella ampiamente descritta dai giornali e dalla televisione. L'esercito israeliano ha occupato gran parte del territorio senza incontrare ostacoli. I palestinesi non avevano un esercito in grado di opporre un’effettiva difesa. Oltre un milione e mezzo di palestinesi hanno dovuto abbandonare le case, in gran parte distrutte, costretti a vivere sotto le tende allestite con l’aiuto delle associazioni internazionali sulla costa mediterranea.
Il conflitto ha assunto un ruolo centrale nel contesto internazionale. Cina e Russia sono schierate favore dei palestinesi; l’Arabia Saudita ha raggiunto un accordo, dopo circa un decennio di conflitto, con l’Iran e gli Houthi dello Yemen, che controllano l’arco del Mar Rosso che va dal Golfo di Aden al Canale di Suez; i governi di Iraq e Siria e Hezbollah in Libano sono schierati con la Palestina.
Israele gode del sostegno sostanziale degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati: Gran Bretagna, Giappone, Corea del Sud, Filippine, insieme con Australia e Canada. L’Unione Europea è a sua volta schierata dalla parte di Israele. In sostanza, il conflitto ha chiaramente assunto le caratteristiche di uno scontro globale.
La marginalità dell’Europa
Angela Merkel, quando era ancora cancelliere, aveva stretto un accordo con la Russia che, per molti aspetti, coinvolgeva l'Unione Europea. L’accordo comprendeva l'inaugurazione del secondo gasdotto tra Russia e Germania che doveva servire anche altri paesi europei. L'incontro svolto a Mosca si era concluso con un grande mazzo di fiori offerto da Putin ad Angela Merkel. Ma l'accordo è stato annullato dopo la fine del mandato della Merkel e l'intervento americano contrario all'accordo tra Unione Europea e Federazione Russa.
Nell’autunno del 2022, i due gasdotti destinati al trasferimento del gas russo in Europa sono stati – secondo fonti del Washington Post – sabotati e resi inoperanti dal comando militare ucraino. Per l'Europa il problema della mancanza di approvvigionamento del gas si è tradotto in un forte aumento dei prezzi per le famiglie, l'industria e i servizi.
La teoria economica ha trovato su questo aspetto un punto d’accordo tra keynesiani e monetaristi a favore dell’intervento pubblico. In altre parole, se la domanda diminuisce a causa dell'aumento dei prezzi e della riduzione dei salari e delle pensioni, “solo l'intervento pubblico può intervenire per sostenere i consumi, la produzione e la crescita”. La politica europea ha seguito la politica opposta, continuando a pretendere la riduzione del debito pubblico – in altre parole, la riduzione dei consumi e degli investimenti sostenuti dalla politica statale.
Mario Draghi ha suggerito nell'incontro europeo del 15 aprile una politica comune europea basata sull'aumento della spesa pubblica. In effetti, una politica simile a quella degli Stati Uniti che col 3,2 per cento hanno realizzato nel 2023 la maggiore crescita tra i paesi capitalisti avanzati e si prefiggono una crescita del 2,6 per cento per l’anno in corso.
Ma, evidentemente, Draghi non tiene conto della libertà dell’intervento pubblico negli stati Uniti che possono accrescere, come nel caso attuale, il debito pubblico (attualmente al di sopra del 120 per cento del reddito nazionale) per rilanciare gli investimenti pubblici e i consumi privati. Mentre nell’Unione europea il debito pubblico è soggetto a un poltica di riduzione col traguardo (del tutto irragionevole) del 60 per cento del reddito nazionale.
In sostanza, la proposta di Draghi di un aumento delle entrate e della spesa dell’Unione è al di fuori della consolidata poltica europea. Mentre è piuttosto legata alla sua candidatura alla presidenza della Commissione dopo un possibile, ma incerto, ritiro di Ursula von der Leyen.
Le differenze nell’ambito dell’Unione europea sono evidenti. La Germania esce da un anno di recessione (un evento raro dopo la seconda guerra mondiale) con una crescita prevista dello 0,2 per cento per l'anno in corso. Un trend che si riflette nelle previsioni di crescita inferiori all'1 per cento in Francia e Italia, gli altri due principali Paesi dell'Unione Europea.
In effetti, ciò che caratterizza oggi l’Unione europea è l'impoverimento di una parte crescente della popolazione accompagnato dalla crescita della ricchezza del 5-10 per cento della parte che controlla partiti e governi legati alla politica dominata dalla Commissione Europea.
Le elezioni europee di giugno si annunciano con un esito incerto. Ma è un dato di fatto che l'Unione, nel contesto attuale dominato dalla guerra in Medio Oriente, ha un ruolo economico e politico secondario. L’Europa si è condannata alla periferia della politica attuale. In realtà, il suo declino economico riflette l’irrilevanza dei governi europei che occupano una posizione secondaria nel contesto della politica globale. Una politica dominata dalle grandi potenze e dai paesi in grado di gestire una poltica autonoma, adeguata alla varie circostanze che si riflettono sulla politica interna di ciascun paese.