Il Fondo della discordia

Le modifiche che si dovrebbero approvare al cosiddetto “salva Stati” sono poche, ma insistono sul coinvolgimento dei privati in un eventuale default. L’Italia dovrebbe chiedere una moratoria e allargare il discorso ad almeno tre punti di fondamentale importanza

Il Fondo “salva Stati” o meglio Meccanismo Europeo di Stabilità (MES in italiano e EMS in inglese) è una resa all’invasore (che questa volta arriva dal nord invece che dal sud) o, come diceva Shakespeare, much ado about noting? O forse un’occasione per ridiscutere la filosofia della vita economica dell’UE, o almeno dei paesi dell’euro?

Tra i vari interventi sul tema ho trovato di particolare precisione quello di Gustavo Piga (Il Sole 24 Ore del 28-11) il quale argomenta, con citazione letterali del vecchio e nuovo testo, come la ristrutturazione del debito (o default parziale) era previsto prima (come si è visto nel caso greco) ed è previsto ora. Ma nel nuovo testo vi è una maggiore insistenza sul coinvolgimento di coloro che (incautamente) hanno prestato soldi allo Stato insolvente. Vi è un parallelo quindi con le norme sul bail-in nel caso delle banche, tra l’altro applicate retroattivamente sulle obbligazioni bancarie emesse prima che fosse iniziata la discussione, per non dire l’applicazione del bail-in; la Banca d’Italia cercò di opporsi, ma il governo Letta accettò, come è noto.

Quale è la filosofia del MES? Detto in breve è che le perturbazioni dell’UE e in particolare dei paesi dell’euro derivano solo dalla politica di alcuni Stati (ed ora, in particolare, da uno Stato del ClubMed), che devono essere costretti a comportarsi come gli Stati del nord; di qui le condizionalità, fino al tentativo, non riuscito, di imporre un automatismo tecnico, volto a eliminare le interferenze “politiche”. Ma le regole devono esserci per tutti, perché la tentazione di largheggiare con il debito è insita nella differenza tra il principio del mercato e quello della democrazia: nel primo vale il principio “un euro un voto”, nel secondo “una testa un voto”. Questa idea è presente fin dall’inizio del Trattato di Maastricht.

A quali paesi finora il MES ha erogato prestiti? Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e successivamente Cipro. Quanti di questi paesi rientrano nello schema del governo canaglia? In realtà uno solo: la Grecia. Negli altri casi si è trattato di bolle finanziarie o immobiliari che sono scoppiate, a volte con debito pubblico (Irlanda e Spagna) molto basso. Sembra tuttavia che il caso paradigmatico sia quello greco, mentre gli altri sarebbero eventi eccezionali.

Autorevoli commentatori hanno sollevato il dubbio che la sola menzione della possibilità di ristrutturazione del debito (cioè un default parziale) possa innescare, nel nostro paese, una crisi finanziaria, o almeno un aumento del costo del debito. Questo è improbabile; in realtà qualunque acquirente di debito pubblico italiano è conscio che il MES, con una capacità massima di 700 miliardi, non potrebbe mai “salvare” un debito che veleggia verso i 2.500 miliardi. In caso di crisi finanziaria la ristrutturazione sarebbe inevitabile, e il primo a chiederla sarebbe proprio il governo italiano. In un caso del genere il compito dovrebbe passare alla BCE, e al programma Outright Monetary Transactions (OMT), lanciato da Draghi col famoso discorso di Londra (26 luglio 2012), che pose fine alla speculazione finanziaria sui titoli italiani (e spagnoli).

Il programma OMT consiste nell'acquisto diretto da parte della BCE di titoli di Stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata (requisito di condizionalità). La situazione di difficoltà economica grave e conclamata è identificata dal fatto che il paese abbia avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale con il Meccanismo Europeo di Stabilità o con la Struttura Europea per la Stabilità Finanziaria. E’ questo l’aspetto del MES che dovrebbe interessare i paesi più esposti, cioè con un debito elevato; ma anche i paesi con banche che, essendo piene di titoli dal dubbio valore, sono esposte al ripetersi, sempre possibile, di una crisi finanziaria.

Il Parlamento italiano non dovrebbe dividersi sul sì o no al MES, ma invitare il governo, oltre alla richiesta di una moratoria, ad allargare i punti in discussione, oltre al tema del sistema di garanzia bancaria comune, a tre argomenti: il primo, giustamente citato da Piga, è quello della modifica del fiscal compact con l’introduzione di una “golden rule” che limiti il pareggio del bilancio pubblico alla spese ed entrate correnti. Il secondo è l’introduzione di un ruolo a livello comunitario per la politica anticiclica, a cominciare da un sistema di assicurazione europeo sulla disoccupazione. Il terzo è la trasformazione del QE in un meccanismo di lungo periodo che porti all’acquisizione di quote significative (ad esempio del 60%) del debito pubblico dei paesi, con emissione di certificati di debito della BCE, che sostituirebbero nei bilanci delle banche, assicurazioni e fondi pensione, i titoli nazionali. Almeno sui primi due punti non dovrebbero mancare consensi e quindi possibilità di alleanza con altri governi.

Lunedì, 6. Gennaio 2020
 

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