Quando viene meno la fiducia nelle virtù riequilibratrici del mercato (come convengono quasi tutti i premi Nobel dell'economia) riemerge quel fattore di "compensazioni" delle eccessive differenze reddituali e patrimoniali, ammesso anche dai fautori del liberismo temperato, che si chiama: fisco equo.
Recentemente è stato riesumato dal polveroso magazzino del teatro della Commedia dell'Arte l'usurato giocattolo dalla flat tax. Risparmiamo al lettore i tormentati dibattiti, quasi secolari, sul tema. Basti considerare che per mantenere una certa progressivita con un'aliquota identica del 20% occorrerebbe instaurare un complesso sistema di detrazioni. Per colmare la differenza di gettito con una pressione fiscale del 42,5% bisognerebbe o tagliare brutalmente i servizi o accrescere altrettanto rozzamente le aliquote delle imposte indirette. E' vero invece che un peso notevole nella pressione fiscale è imputabile alla corruzione e all'evasione. Fenomeni che proliferano proprio nelle pieghe di un sistema fiscale squilibrato e poco trasparente.
Occorrerà quindi rispondere al seguente interrogativo: perché il sistema tributario italiano, pur pesante dal punto di vista della pressione, non sembra costituire un fattore decisivo né di perequazione né di sviluppo? I propugnatori originari della flat tax ritengono la gestione pubblica sempre meno efficiente di quella privata. Se fosse vero non avremmo né fallimenti né bancarotte. Prodi (Il Messaggero del 14/12/2014) ha ad esempio osservato che la sanità pubblica italiana, ritenuta la seconda migliore del mondo, assorbe il 9% del Pil, mentre quella USA, prevalentemente privata, costa il 18%. Il punctum dolens, a nostro avviso, va ricercato in un fenomeno accentuatosi negli ultimi anni; quello dei "falsi poveri, falsi ricchi e fisco iniquo". Rimane sospeso l'interrogativo della primazia dell'uovo o della gallina: se cioè sia il sistema fiscale inadeguato a generare la falsa dicotomia o viceversa.
Non vorremmo sembrare laudatores temporis acti: ma certamente a cavallo degli anni '70 questi fenomeni, pur sussistenti, non erano così esasperati. Difficile dire quanto a ciò contribuisse - paradossalmente - l'impiego clientelare dei fondi pubblici, che nella ricerca del consenso generava sviluppi infrastrutturali funzionali come le grandi autostrade. Oppure la stabilità politica sostanziale, al di sotto della rotazione dei presidenti del Consiglio che garantiva la continuità delle linee di governo. Quel che è certo è che non avevamo ancora avuto né la riforma fiscale tremontiana né il cambio della moneta, né i vincoli di Maastricht.
Cessato il Far West della borsa nera post bellica i nuovi ricchi esibivano il proprio successo accettando la morsa del fisco, pur caratterizzato da una notevole progressività sugli scaglioni superiori del reddito. All'epoca de "Il Sorpasso" i giovani rampanti non intestavano ancora le Maserati ad anziani pensionati sociali. Le corporazioni di interessi erano in fase di maturazione e non sapevano che in futuro sarebbero state più elegantemente chiamate "lobbies" con assonanza fonetica con un cappello allora di moda. Alla vigilia della istituzione delle Regioni la finanza locale era ispirata ad una progressività qualitativa particolarmente efficace: prevedeva, infatti, aliquote crescenti a seconda che l'imponibile fosse costituito da redditi da lavoro, misti da lavoro e capitale o da puro capitale. Globalizzazioni, circuiti finanziari internazionali ed altri strumenti tipici dell'evasione dei colletti bianchi erano ancora di là da venire.
La globalizzazione, la cosiddetta economia di carta, la mitologia liberista, le riforme fiscali ad essa ispirate, l'introduzione dell'euro senza gli accorgimenti minutamente predisposti dal premier uscente (Prodi) e azzerati dal subentrante (Berlusconi) hanno generato le due categorie di contribuenti di cui stiamo parlando.
I fattori che alimentano la categoria dei "falsi poveri" sono: l'economia criminale, l'evasione, la corruzione, l'elusione e la rimozione. Qui non ci occuperemo dei primi tre. Ci limitiamo a individuare il punto di equilibrio dell'evasione nell'eguaglianza tra la somma evasa e il prodotto delle probabilità di essere scoperti per l'entità della sanzione. Ne consegue che il vero deterrente non è la dimensione delle penalità ma la frequenza e l'onestà degli accertamenti.
I primi passi per costruire le maschere con le quali celare l'identità dei contribuenti vennero compiuti sotto la pressione delle categorie, alle quali i governi di centro-destra offrivano deboli resistenze. Si scatenò, quindi la ridda delle detrazioni, deduzioni, facilitazioni a favore di imprese e professionisti. Si aggiunsero i "de minimis" e i forfettoni, consistenti in accertamenti non analitici al di sotto di di certe soglie presunte.
Dalla corretta impostazione secondo la quale i costi per la produzione del reddito non vanno tassati (per i dipendenti si suppone che tutti tali costi siano a carico del datore di lavoro, il che ovviamente non si verifica quasi mai) discese la loro deducibilità. Tali costi, gonfiati con malizia difficilmente controllabile, producono quegli imponibili degli orafi o degli idraulici che destano il falso stupore degli amministratori che ne conoscono benissimo la genesi.
Sorgevano, frattanto, nuove opportunità di elusione. Sono i frutti amari per l'equità fiscale della globalizzazione e delle liberalizzazioni: le bandiere ombra, i paradisi fiscali, le cosiddette "cartiere" (le imprese"farfalla" che vivono lo stretto tempo necessario a produrre fatture per servizi o prodotti immaginari e poi morire). Così la schiera dei falsi poveri si è infittita; comprende anche le autocertificazioni fasulle che godono dei benefici del welfare.
Vi è un altro fenomeno collegabile con i "falsi ricchi", tramite il quale l'onere tributario passa dal contribuente di diritto a quello di fatto. Si tratta della traslazione in avanti mediante il prezzo. Quando nel fare acquisti udite i pianti dei commercianti per la pressione fiscale non precipitatevi ad asciugare le loro lacrime, ma asciugate le vostre. E' probabile (ma un po meno nella fase attuale) che l'onere sia già trasmigrato dal loro portafoglio al vostro.
Ma è soprattutto importante evidenziare l'ampliarsi della categoria dei "Falsi Ricchi". Appartengono alla fascia centrale della trottola dei redditi. Sono contribuenti scivolati nella sacca del potere d'acquisto medio-basso, ma che formalmente figurano in classi di reddito soggette ad aliquote elevate. I falsi ricchi sono figli del cambio della moneta e del fenomeno precedentemente illustrato. Quando avvenne il cambio delle lire in euro il sistema di controllo (che, come abbiamo detto, fu smantellato) prevedeva il controllo dei prezzi e il cartellino che consentisse il paragone tra l'una e l'altra moneta. A qualunque prezzo intorno alle duemila lire avrebbe dovuto corrispondere all'incirca un euro e qualche centesimo. La frenesia liberista produsse la "Grande Rapina al Treno" le cui conseguenze si fanno ancora sentire. Nel frattempo i governi di destra accorciavano il ventaglio delle aliquote, ma aumentavano la minima. Uno tsunami fiscale e di perdita di potere d'acquisto dell'ordine di 400 miliardi di euro si è abbattuto sui ceti medi, trasformandoli in falsi ricchi. Taceva frattanto il mantra del fiscal drag che aveva echeggiato durante l'inflazione craxiana. La crisi ha prodotto tendenze di segno opposto, che però non sono state sufficienti a compensare l'iniquità tributaria consolidata, vanificando l'efficacia del fisco come strumento atto a compensare l'eccessiva concentrazione delle ricchezze.
Anche sotto il profilo delle imposte patrimoniali i ceti medi sono stati penalizzati. Si è proceduto ad una rivalutazione egalitaria delle rendite catastali applicata ad un ingiallito dagherrotipo di una struttura urbana di qualche decennio fa, ignorando degrado, ristrutturazioni, nuovi insediamenti, metropolitane, strade a scorrimento veloce, soprattutto nelle grandi città. Sono risultate svantaggiate le classi catastali delle fasce semi-periferiche, tipicamente sede di gran parte delle abitazioni dei falsi ricchi. L'idea di aggiornare i dati con il lavoro quinquennale di commissioni composte di esperti e burosauri, è del tipo "peso el tacòn del buso". Infatti le agenzie immobiliari già dispongono di tutti i dati perfettamente aggiornati che potrebbero essere utilizzati dopo la scrematura del margine di intermediazione.
Non ci nascondiamo le difficoltà di una radicale modifica del sistema. Non è facile rimettere il dentifricio nel tubetto. Il clima potrebbe mutare con una serie di interventi quali: a) revisione di deduzioni e detrazioni e rigoroso controllo della documentazione prodotta dai beneficiari; b) severa attenzione sulla costituzione di nuove società e sulle relative compagini societarie, come pure sugli effettivi ricavi delle filiali di multinazionali; c) riduzione dell'aliquota minima ed aumento di quella massima, accompagnata da un drastico aggiornamento del fiscal drag, da continuare a brevi intervalli. L'informatica consente la moltiplicazione dei controlli onde evitare che le auspicate semplificazioni facilitino il compito ai truffatori, anzichè ai contribuenti onesti.
Si riteneva un tempo che il riequilibrio della concentrazione delle ricchezze come presupposto per lo sviluppo potesse ottenersi con tre soluzioni alternative: la rivoluzione, la concorrenza o la severità fiscale da recitare in un teatro in cui le dramatis personae non fossero mascherate. Esclusa la prima, per i suoi effetti negativi; fallita parzialmente la seconda, rimane la terza, che richiede non solo i su indicati meccanismi operativi, ma soprattutto la presenza nelle strutture politico-amministrative di personaggi del tipo di quello che gli spagnoli definiscono "hombre vertical".