Il fallimento della poltica europea

Una gestione dei rappresentanti dei paesi senza che nessuno sia responsabile delle politiche della Commissione europea e dei suoi risultati

La politica dell’Unione europea, più precisamente dell’eurozona, ha avuto un andamento pressoché costante nel corso degli ultimi venti anni o poco più.

I risultati non potevano che essere diversi trattandosi inizialmente di paesi con una diversa base economica e sociale. Un compito identico, il pareggio del bilancio, fu assegnato a paesi con una situazione e un andamento diversi. La politica economica per sua natura non è uguale nel corso del tempo, variando a seconda della condizione di ciascun paese, assumendo talvolta una linea restrittiva e, alternativamente, espansiva se l’andamento della crescita è basso e alta è la disoccupazione.

L’esempio più noto è quello degli Stati Uniti, dove Franklin D. Roosevelt invertì la politica americana dopo la depressione dei primi anni ‘30, passando intorno alla metà del decennio da una politica di riduzione della spesa pubblica a quella opposta di aumento della spesa pubblica,con il risultato di ridare slancio alla crescita e all’occupazione.

Fu una politica aspramente criticata dalla destra, come ci si poteva attendere, ma che nel giro di pochi anni, portò alla ripresa della crescita, all’aumento dell’occupazione, e  al rilancio del sindacalismo americano.

In Europa all’incirca negli ultimi vent’anni la poltica nazionale stabilita dalla commissione europea nelle linee fondamentali è stata basata sul pareggio del bilancio degli Stati aderenti alla UE. Il risultato è una minore crescita e una più alta disoccupazione.

Dopo un andamento oscillante caratterizzato da una bassa crescita e una disoccupazione mediamente elevata, la crescita è attualmente oscillante fra un livello al di sotto di zero e di poco al di sopra. Non è un caso che la Germania, il paese leader dell’Unione Europea caratterizzato negli anni scorsi da un basso debito e da una crescita elevata, abbia registrato una crescita sotto lo zero.

Una valutazione elementare ci dice che ciò è il risultato di una politica sbagliata, generalmente imposta nei suoi aspetti principali dalla Commissione Europea con l'obiettivo del pareggio di bilancio indipendentemente dall'andamento mutevole dell'economia a livello nazionale e sovranazionale.

Il governo europeo è il risultato di un aggregato di rappresentanti dei diversi paesi che compongono l'Unione senza che nessuno sia responsabile delle politiche e dei risultati dei paesi di origine.

Il che non significa che manchi una poltica. È vero il contrario, nel senso che la poltica economica di ciascun paese deve essere basata sul pareggio del bilancio (in linea di principio, sull’avanzo), sulla riduzione della spesa pubblica per  investimenti e per il sostegno alle famiglie meno agiate.

La stabilità di questa politica sarebbe sorprendente e, sostanzialmente, inaccettabile, se non avesse alla base un solido sostegno fornito dalla classe sociale relativamente piccola interessata alla stabilità della moneta –  in questo caso l’euro – una stabilità senza precedenti nella storia monetaria dei diversi paesi.

Stabilità che favorisce una piccola parte delle classi sociali che possono trasferire investimenti in altri paesi in relazione ai profitti che ne possono derivare.

In altre parole, una classe sociale ricca che beneficia della stabilità del tasso di cambio mentre una crescita più bassa si riflette sui livelli di occupazione, sulla stabilità del lavoro e sui salari.

In altri termini, la bassa crescita di alcuni fra i maggiori paesi dell’eurozona non ha nessun mistero. Fra i maggiori paesi riguarda particolarmente la Spagna, l’Italia e la Grecia e, in misura minore, la stessa Francia, mentre non investe la Germania che dispone – o disponeva nella fase di introduzione della moneta unica - di un’alta capacità esportazione indipendentemente della crescita interna, disponendo  di un’industria particolarmente estesa e sviluppata come nel caso della siderurgia, della chimica, della produzione automobilistica.

La novità è oggi l’azzeramento della crescita in Germania e la bassa crescita nei paesi che la fiancheggiano.

Una politica basata sul principio della stabilità e della riduzione della spesa pubblica non ha confronti nella storia contemporanea. La politica degli stati Uniti è in questo senso indicativa se si considera che negli ultimi due anni Biden ha accresciuto la spesa pubblica a favore degli investimenti e delle famiglie col risultato di una crescita più alta (calcolata nel 2.8% nel 2023) insieme con un aumento dell’ occupazione.

La riduzione della crescita nei paesi dell’eurozona  si accompagna alla crescita della diseguaglianza e della povertà. Non a caso, in Italia, il Mezzogiorno ha visto insieme ridurre la crescita e aumentare la disoccupazione, ormai prossima al 20 per cento, insieme con la fuga verso atri paesi dell’Unione.

Con una particolare caratteristica. La poltica di bassa crescita e di maggiore diseguaglianza non ha trovato ostacolo nei governi di sinistra, subordinati alle politiche dettate, nei suoi aspetti principali concernenti le politiche di bilancio, degli investimenti pubblici e  del mercato del lavoro, dalla Commissione europea.

E’ una politica senza possibili alternative? 

Se il futuro non è facilmente prevedibile, la crisi della poltica europea corrente è di piena evidenza. Con le elezioni europee della primavera prossima  potrebbe cambiare la situazione corrente insieme con il cambiamento delle maggioranze che da Bruxelles controllano le potliche nazionali.

La Germina, paese storicamente dominante, è in difficoltà con il  reddito nazionale in discesa,  dopo sedici anni di governo di Angela Merkel caratterizzato da una crescita elevata e pressoché continua.

In Francia Macron ha un sostegno incerto e si rende possibile una maggioranza della estrema destra, in combinazione con una parte della sinistra, guidata da Marine Le Pen.

In Italia per la prima volta una poltica di destra, la cui caratteristica è la duplicità rispetto alle politiche di Bruxelles, deve fronteggiare, insieme con la Grecia, il più alto debito pubblico nell’Unione europea. Debito che non può essere ridotto senza una poltica di crescita basata su investimenti pubblici in grado a medio termine di ridurre la percentuale del debito rispetto al crescente reddito nazionale. Esattamente la poltica impedita dalla Commissione europea.

In definitiva, una poltica che abbiamo visto praticare dal governo americano. E, a tratti, dal governo giapponese - il terzo paese, dopo gli Stati Uniti e la Cina  per reddito nazionale – che pure ha un debito pubblico di poco inferiore al doppio di quello italiano.

L’anticipazione del futuro è sempre rischiosa. Ma il giudizio sul presente dovrebbe essere chiaro. E, in effetti, lo è se solo si considera il sostanziale fallimento della poltica imposta dalla Commissione europea ai paesi che in ossequio alle classi dominanti ne seguono le prescrizioni.

Venerdì, 12. Gennaio 2024
 

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