(Terzo articolo di una serie il primo il secondo)
Un altro radicale cambiamento rispetto allepoca del New Deal riguarda linsieme. Cioè un equilibrio internazionale, o per grandi aree, nel cui ambito è lecito attendersi che leconomia nazionale trovi un equilibrio contabile che la renda sostenibile o, quanto meno, lavvicini ad una situazione di sostenibilità. Qualunque cosa significhi lattuale rinascita di sentimenti tribali ed autarchici, cioè politiche del tipo: Alle tue tende, Israele (come lo slogan British jobs for British people lanciato dal British National Party, o prima i Padani, reiterato dalla Lega) dovrebbe essere evidente che quell insieme non può più essere racchiuso nei confini dello Stato-nazione. In effetti per quanto i governi cerchino di isolare la propria piccola porzione di globo dalle tendenze e condizioni di scambio globale, le misure che possono prendere hanno efficacia di breve durata, mentre a lungo andare i loro effetti rischiano di essere gravemente controproducenti. Perché fatalmente recessivi. Daltro canto lo spazio dei flussi globale rimane ostinatamente irraggiungibile per istituzioni (come i governi nazionali) confinate in un delimitato spazio territoriale. Per di più qualsiasi frontiera politica è troppo porosa per pensare che i provvedimenti presi nel territorio di uno Stato siano in grado di resistere a flussi finanziari che si muovono su scala globale.
Marx aveva previsto (o forse constatato) che i capitalisti, pur mossi esclusivamente dal proprio interesse egoistico, avrebbero finito per accettare che lo Stato potesse intervenire imponendo agli imprenditori quei tipi di vincoli che essi individualmente non vogliono e non possono nemmeno introdurre fin tanto che i loro competitori hanno la possibilità di potervisi sottrarre. Marx si riferiva al lavoro minorile ed al salario compresso al di sotto della soglia di povertà. Politiche che se adottate da ogni capitalista per prevalere sui propri concorrenti, a lungo andare avrebbero creato gravi problemi (non solo politici e sociali). Avrebbero infatti finito per creare effetti catastrofici per il sistema capitalista nel suo insieme. Soprattutto nel momento in cui si fossero esaurite le riserve di manodopera e si fosse ridotta o azzerata la capacità di lavoro di operai nutriti, vestiti, alloggiati ed istruiti in modo adeguato. Ne dedusse quindi che queste prassi dannose, ed in ultima analisi suicide, potevano essere evitate solo collettivamente. Naturalmente a tal fine serviva un intervento coercitivo, e dunque sovraordinato rispetto alla volontà del singolo imprenditore. In sostanza, per salvaguardare gli interessi del sistema capitalista i singoli capitalisti dovevano essere costretti dalle autorità costituite, tutti e nello stesso momento, ad accettare delle misure, dei compromessi, rispetto al loro interesse immediato. Dovevano quindi essere obbligati ad abbandonare la concezione del proprio tornaconto istantaneo. Imposto dalla concorrenza senza regole ed orientata dal solo criterio: arraffa oggi più che puoi.
Potremmo dire, in sostanza, che Roosevelt ha dato seguito al modello previsto (o per lo meno ipotizzato) da Marx quasi un secolo prima. Più o meno la stessa cosa hanno fatto gli altri pionieri del welfare. Indipendentemente dalle diverse versioni nazionali. Il glorioso trentennio (come i francesi hanno definito gli anni che vanno dal 45 al 75) è stata lepoca in cui leffetto combinato del ricordo della depressione prebellica e dellesperienza bellica di mobilitazione delle risorse nazionali (quando Roosevelt ha potuto ordinare alle case automobilistiche americane di sospendere la produzione di vetture private per fabbricare carri armati e cannoni per lesercito), ha aperto la strada alla possibilità (ed alla necessità) di estensione dellassicurazione obbligatoria contro le conseguenze dellaffarismo individuale. Ma quel trentennio glorioso è stato anche lultima epoca nella quale è stato possibile prendere delle iniziative sotto forma di leggi pensate, approvate ed imposte nellambito di uno Stato-nazione sovrano. Ben presto infatti è emersa una nuova condizione (innescata dalla prima crisi petrolifera del 1973) ed il numero di variabili uscite (o estratte) dalla sfera posta sotto il controllo del potere statale è diventata troppo grande perché le istituzioni di un solo paese fossero ancora in grado di avallare quella polizza assicurativa contro i capricci del fato. Che si manifesta attraverso il mercato. E mentre i ricordi si affievolivano e le esperienze venivano dimenticate, lo Stato sociale con la sua fitta rete di vincoli e di regole, ha incominciato a perdere progressivamente il consenso che aveva reso possibile la sua istituzione.
A questo proposito è rimasta celebre linsistenza di Margaret Thatcher sullidea che una medicina non aiuta a guarire se non è amara. La versione aggiornata dei suoi tardi epigoni è che le riforme per essere davvero utili devono essere impopolari. I promotori delle medicine amare di ieri e delle riforme impopolari di oggi hanno evitato ed evitano accuratamente di aggiungere che i rimedi da loro somministrati (liberando il capitale da ogni regola e da ogni controllo ed incatenando al tempo stesso, una dopo laltra, tutte le forze in grado di moderarne gli eccessi) devono essere inghiottiti solo da alcuni, per curare i malanni di altri. E nemmeno dicono (non è del tutto chiaro se per ignoranza o per furbizia) che questo tipo di terapie prima o poi provoca inevitabilmente disastri che in varia forma ricadono su tutti. Una cosa ormai appare certa. Purtroppo il momento è arrivato. Il prima o poi è infatti: adesso.
Si capisce bene che per tirarci fuori dalla attuale situazione il necessario cambiamento delle politiche, per risultare risolutivo, dovrebbe essere accompagnato anche da un cambiamento di valori. Perché stavolta, a differenza di precedenti episodi di depressione, siamo finiti in un pantano che potrà richiedere più di qualche anno di sforzi e di recessione prima che si riesca ad uscirne. Il grande paradosso è che la sobrietà (necessaria per curare leconomia, risanare i nostri stili di vita, dare un po più di sicurezza al futuro dei nostri figli) è clamorosamente contraddetta dallottimismo di maniera dei governanti che parlano (spesso a vanvera) di misure per il rilancio e la crescita economica. Quasi che bastasse mettere un poco di benzina nei motori. In pratica essi assomigliano a quel pilota che volendo rassicurare i passeggeri sosteneva che il suo aereo non avesse niente che non funzionava. A parte i motori. Insomma è difficile far ripartire leconomia se prima non ci si rende conto che sono state proprio le sue attuali forme e le sue sregolatezze a portarci al disastro.
In attesa che questa presa di coscienza inizi a manifestarsi ed a farsi valere (a cominciare naturalmente dallEuropa) bisognerebbe porsi come obiettivo prioritario la riduzione delle diseguaglianze. Sia a scala mondiale che continentale e nazionale. Perché è la condizione imprescindibile per una ripresa economica e sociale vera. Scriveva Keynes (in le Conseguenze economiche della pace) che il processo di formazione del capitalismo industriale era fondato su un doppio inganno. Esso costringeva infatti i lavoratori ad accontentarsi di una piccola parte della torta che avevano contribuito a produrre, mentre ai capitalisti ne veniva riconosciuta la maggior parte. Nel tacito presupposto che essi non lavrebbero consumata, ma destinata prevalentemente allaccumulazione del capitale in funzione di maggiori investimenti e dunque maggiore occupazione. Il doppio inganno, come Keynes sapeva bene, consiste nel fatto che i profitti non sono uguali agli investimenti e gli investimenti non si trasformano necessariamente in maggiore occupazione.
(segue)