Il dopo Fazio è solo cominciato

Con le nuove norme sul governatore il governo stavolta, per lo meno, non ha fatto danni. Ma il prossimo governo dovrà riprendere in mano la questione per darle una sistemazione compiuta
Con le nuove norme sul governatore della Banca d'Italia, questa volta, per lo meno il governo non ha fatto danni. Ma andrebbero perfezionate in più di un punto, per non lasciare l'opera a metà.

Il mandato a termine di sei anni, rinnovabile una seconda volta, e l'introduzione della collegialità delle decisioni con gli altri membri del direttorio sono misure senz'altro condivisibili (anche se non è ancora chiaro in che modo esattamente funzioni questa collegialità). La modifica alla procedura di nomina, che stabilisce che l'iniziativa spetta al governo, attenua la finzione sul ruolo del Consiglio superiore della Banca, che - giustamente - non ha mai contato nulla. C'è anche una moratoria di tre anni sulla questione di chi debba detenere le azioni della Banca: meglio così, perché se da un punto di vista teorico sarebbe meglio che quelle azioni fossero in mano pubblica, e non delle banche controllate, in pratica rilevarle costituirebbe una spesa pesante e alla fine non necessaria, dato che si possono separare i diritti patrimoniali degli azionisti da quelli specificamente "politici" (che riguardano cioè gli indirizzi dell'attività dell'istituto e il potere di nomina e revoca dei suoi vertici): è ciò che finora è avvenuto tacitamente, ma nulla vieta che lo si sancisca con una legge, per evitare anche il sospetto di un possibile conflitto d'interessi.

Già che si era lì, si poteva pure introdurre una norma sullo stipendio del governatore: il nostro è il più pagato del mondo, prende il triplo del presidente della Federal Reserve. Non sarebbe uno scandalo allineare la sua retribuzione a quella più alta percepita da un pubblico funzionario (cioè parificarla a quella del primo presidente della Corte di cassazione). Ma questo, più che un aspetto sostanziale, è di buon gusto e di moralità pubblica, e non potevamo certo aspettarcelo da un governo che ha fatto tornare leggere come una piuma le norme sul falso in bilancio che il Senato, in un soprassalto di pudore di fronte alle grandi truffe finanziarie, aveva riportato quasi al livello degli altri paesi avanzati.

C'era poi almeno un altro aspetto di non piccola importanza. Riportare la vigilanza sulle obbligazioni emesse dalle banche alla sua authority naturale, ossia la Consob, mentre ora una norma del Testo unico bancario la riserva alla Banca d'Italia: che ha dimostrato più volte di non essere adatta a questo compito, permettendo che si rifilassero ai risparmiatori prodotti vantaggiosi solo per gli emittenti senza nemmeno l'obbligo di un prospetto informativo che li mettesse sull'avviso.

Toccherà poi al nuovo governatore - anzi, a questo punto a tutto il direttorio - rimetter mano alle Istruzioni di vigilanza, cioè a quelle norme che regolano, tra l'altro, i comportamenti nei casi di fusioni e acquisizioni fra banche. Fazio le aveva formulate in modo da mantenere una discrezionalità e un potere assoluti, e si sono viste le conseguenze. A questo proposito, la legge avrebbe anche fatto bene a prevedere una sede - di solito si tratta delle Commissioni parlamentari competenti - in cui il governatore sia tenuto, almeno due volte l'anno, a render conto delle sue scelte, spiegandole e motivandole. Non si tratta, in questo caso, di una diminuzione dell'autonomia, ma di un limite all'autoreferenzialità: un organismo che non deriva la sua autorità da un'elezione popolare deve render conto a qualcuno di quello che fa.

Insomma, al momento si sono tappate le falle più grosse, ma non si è data una sistemazione compiuta alla questione Banca centrale. Dovrà tornarci sopra il prossimo governo, possibilmente senza aspettare di esservi costretto da una qualche emergenza.
Martedì, 20. Dicembre 2005
 

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