Il commercio mondiale tra Covid e post-Trump

A picco quest’anno con un -10,4%, si attende però un forte rimbalzo che farebbe quasi recuperare la perdita. In questo difficile scenario dal nuovo presidente Joe Biden ci si attende una schiarita nelle relazioni con l’Europa

Il cambio di presidenza negli Stati Uniti porterà a una nuova politica commerciale americana verso l’estero? Dopo il protezionismo di Trump c’è molta attesa per capire se, e in che misura, Biden si discosterà dal suo predecessore.

La prima cosa da dire è che il contesto in cui Biden inizierà la sua presidenza è molto diverso da quello dei primi tre anni di Trump (2016-2018), in cui il commercio mondiale, sia pur in rallentamento rispetto agli anni d’oro della globalizzazione, cresceva in volume, secondo il FMI, alla media annua del 3,9%. L’aumento degli scambi internazionali scenderà poi all’1% (se non addirittura sotto zero secondo alcune stime) nel 2019, per effetto sia del rallentamento del ciclo sia dell’innalzamento delle barriere, tariffarie e non, operate da molti paesi. La tendenza protezionistica era cominciata già dopo la crisi del 2008-2009, se è vero che nell’ultimo decennio, secondo il Centro Studi Confindustria (Csc), sono stati presi nei soli paesi del G-20 ben 14.000 provvedimenti protezionistici a fronte di 5.200 misure di liberalizzazione. A fare le spese della nuova tendenza sono stati il multilateralismo e l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), messa spesso in discussione.

E’ in questo clima di deciso raffreddamento degli scambi che irrompe nel 2020 la pandemia, il cui immediato effetto è quello di circondare di un robusto cordone sanitario i principali paesi mondiali, a cominciare dalla Cina, la prima ad essere investita dal coronavirus. Secondo le previsioni del FMI, il commercio mondiale ha subito nel 2020 un crollo del 10,4% in media annua, cui però seguirà un forte recupero, stimato all’8,3%, nel 2021. Il punto di minimo è già stato toccato nel secondo trimestre, dopo di che è partita una ripresa a V, guidata dai paesi emergenti asiatici. Più in difficoltà appaiono gli Stati Uniti e l’Europa, che scontano in maniera maggiore la seconda ondata della pandemia.

Crollo e ripresa del commercio mondiale

Fonte: CER

Nel frattempo continua la diminuzione delle importazioni americane dalla Cina, in parte compensata dall’aumento dell’import da Singapore, Vietnam, Cambogia, Malesia. Analoga tendenza stanno conoscendo gli investimenti esteri diretti tra le due super-potenze, che, in un quadro di forte contrazione mondiale (-40% nel 2020 secondo l’Unctad), sono giunti ai minimi storici. A causa della loro composizione settoriale diminuiscono più rapidamente gli investimenti cinesi negli Usa che non quelli americani in Cina. Come rileva Csc, i primi sono concentrati nell’immobiliare e nell’intrattenimento, mentre i secondi riguardano soprattutto l’agroalimentare e l’information technology, che alimentano complesse catene di fornitura mondiali.

Importazioni degli Stati Uniti dall’Asia*

L'import Usa dall'Asia

*Primi nove mesi 2020 – Fonte: Centro Studi Confindustria

E’ evidente che in un quadro come questo alcune linee di tendenza sono già tracciate. La politica di Biden nei confronti della Cina non si potrà discostare molto da quella di Trump. Potrebbe però cambiare la politica americana nei confronti sia degli altri partner asiatici sia dell’Europa.

Subito dopo l’elezione di Biden la Cina ha annunciato un grande accordo di libero scambio (Rcep) con quattordici paesi del Pacifico, tra cui Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Cambogia, Tailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Australia. Manca solo l’India, che da un anno aveva abbandonato i negoziati perché teme l’invasione dei prodotti cinesi, per raggruppare tutte le più importanti economie asiatiche. L’accordo è tutto da implementare, ma non potrà certo essere sottovalutato dalla nuova amministrazione americana, che in qualche modo, dopo il fallimento del Ttp (Trans Pacific Partnership) risalente a Obama, dovrà rispondere alle avance cinesi nei confronti di paesi tradizionalmente alleati di Washington.

Ancora più forte dovrebbe essere l’attenzione americana verso l’Europa. Anche qui Biden dovrà ricucire gli antichi legami, dopo il fallimento del Ttip, il grande accordo di libero scambio progettato sempre da Obama per il Nord Atlantico, e soprattutto dopo le tendenze neo-protezionistiche di Trump. La Germania in particolare è molto interessata non solo all’accantonamento dei dazi nei confronti dei prodotti tedeschi introdotti da Trump, ma anche al rilancio degli scambi tra le due sponde dell’Atlantico. E Biden a sua volta potrà esercitare con più forza dei suoi predecessori una moral suasion sulla Merkel perché apra di più il mercato interno tedesco, riducendo l’enorme surplus commerciale di Berlino. Ad avvantaggiarsene potrebbero essere non solo gli Stati Uniti, ma l’intera Unione europea.

La sconfitta di Trump mette per contro in difficoltà Boris Johnson, che rischia di perdere il ruolo di interlocutore privilegiato di Washington e di restare isolato da una rinnovata intesa fra Europa e Stati Uniti. La conseguenza potrebbe essere l’accelerazione dell’accordo sulla Brexit. Anche in questo caso con positive ricadute sia sulla Gran Bretagna che sulla Unione europea.

Resta da chiedersi infine se riprenderà vigore il multilateralismo o se si accentuerà la tendenza agli accordi regionali. E’ da attendersi il tentativo di riprendere il dialogo per rimettere mano a regole del Wto non sempre al passo con i tempi. Ma Biden probabilmente, considerando che la vittoria è stata solo di misura, starà molto attento a non danneggiare la classe media americana e le realtà regionali dell’America profonda, che quattro anni fa voltarono le spalle al liberalismo di Hillary Clinton e consegnarono la vittoria a Donald Trump.

Sabato, 12. Dicembre 2020
 

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