C’è un libro, uscito agli inizi di quest’anno, che sta suscitando un ampio dibattito negli Stati Uniti e che ci auguriamo venga presto tradotto in italiano. Si intitola The Age of Surveillance Capitalism ed è stato scritto da Shoshana Zuboff, sociologa di Harvard. Secondo la Zuboff, siamo entrati in una nuova età del capitalismo in cui l’elemento strategico non è più la produzione e nemmeno il capitale, ma il controllo delle persone. La vera materia prima del nuovo capitalismo è la vita della gente, in tutti i suoi aspetti, che si traducono in informazioni e diventano fonte di analisi e quindi di business e di condizionamento sociale, economico e politico. I campioni di questo nuovo capitalismo sono i rappresentanti della sharing economy, come Uber e Airbnb, le grandi società di commercio elettronico, come Amazon, i social media, come Facebook, Twitter, Instagram, i motori di ricerca come Google. Attraverso le loro piattaforme informatiche queste società forniscono sì un servizio, ma contemporaneamente si appropriano gratuitamente di informazioni “estratte” da milioni di utenti, che possono usare o cedere ad altri, aumentando a dismisura i ricavi senza che crescano, o quasi, i costi.
La rivoluzione digitale, attraverso i mezzi di comunicazione di cui ognuno di noi dispone, ha reso possibile quello che l’autrice chiama instrumentarian power, che significa strumentalizzare gli altri attraverso i loro comportamenti. Di qui, sotto l’apparente infinita libertà assicurata dalla rivoluzione digitale, nascono nuove subdole minacce, come richiama il sotto-titolo del libro della Zuboff: The Figth for a Human Future at the New Frontier of Power. Il potere che esercitano i detentori dei big data ha infatti conseguenze molto profonde sulle libertà e i diritti individuali, indirizzandoli e manipolandoli. Anche l’aumento delle disuguaglianze in parte origina da lì: c’è una minoranza che si arricchisce enormemente sfruttando i poteri mediatici a scapito di un ceto medio che si impoverisce. La stessa democrazia è a rischio, come dimostra la crescente manipolazione del consenso attraverso la diffusione mirata di fake news.
La globalizzazione ha inoltre amplificato il problema. La guerra commerciale in corso tra americani e cinesi si sta combattendo anche sul terreno del possesso dei big data, con i primi che lamentano il fatto che i secondi, per i quali non esistono problemi di rispetto della privacy, hanno la possibilità di immagazzinare una quantità molto superiore di informazioni riservate senza dover renderne conto ad alcuno. Nelle ultime elezioni politiche negli Stati Uniti la Russia è stata accusata di aver condizionato gli elettori americani attraverso l’uso manovrato dei social, favorendo la vittoria di Trump.
Ci troviamo dunque lungo una china irreversibile? Si può fare qualcosa per arrestarla? In realtà gli scandali avvenuti negli ultimi tempi hanno aperto qualche crepa nel dominio incontrastato dei social media.
Pochi giorni fa Mark Zuckerberg, il dominus di Facebook, ha annunciato alla conferenza annuale degli sviluppatori di Fb che “il futuro è privato”, contraddicendo l’antico credo sull’avvento di una società sempre più aperta e connessa. La nuova filosofia, che si ispira a una maggiore privacy, promette una maggiore trasparenza nell’uso dei dati e delle applicazioni e punta a favorire la condivisione dei contenuti digitali tra gruppi ristretti di amici. Una tendenza che, dopo l’ondata di fake news e di violazioni della privacy avvenute negli ultimi tempi, gli stessi iscritti di Facebook sembrano già aver fatto propria. Tra l’altro, proprio per queste violazioni, Facebook potrebbe ricevere a breve una multa di 5 miliardi di dollari da parte della Federal Trade Commission, l’agenzia governativa americana che tutela la privacy.
Non è ancora chiaro se ci sarà veramente un significativo cambio di marcia o se quella di Zuckerberg è soltanto una mossa astuta per tamponare le tante critiche ricevute e rilanciare l’immagine della società dopo scandali come quelli della Brexit e del Russiagate. Fatto sta che Facebook ha appena chiuso, alla vigilia delle elezioni europee, 23 pagine italiane con 2,5 milioni di follower, che diffondevano odio e fake news. Metà di queste pagine erano a favore di Lega e 5 Stelle. La loro chiusura è arrivata in seguito alla segnalazione di una ong internazionale che si occupa di diritti umani e che è stata ringraziata per questo da Facebook. E’ ora che i sorvegliati imparino a controllare i sorveglianti e che gli uni e gli altri collaborino maggiormente tra di loro.