Quello che accade in questi giorni e, in buona sostanza, si tratta del semplice prosieguo di quanto iniziato con l'avvio del governo Lega-M5S, dovrebbe indurre tutti i democratici di questo paese ad approfondire una riflessione su di un tema che, credo, per molti anni è stato sottovalutato, sottotaciuto e sottostimato. Si tratta, in sostanza, d'interrogarsi come mai - per qualcuno, quasi inaspettatamente - oggi alcune questioni e tematiche, da sempre patrimonio della Lega, sventolate come bandiere e agitate come clave, appaiano abbastanza diffuse e, spiace doverlo riconoscere, ampiamente condivise. Alludo, naturalmente, alle tante dichiarazioni, atteggiamenti e comportamenti che si rifanno a profondi sentimenti di natura razzista e xenofoba che, per molti tra noi, sono apparsi come improvvisi; dalla sera al mattino hanno prodotto tanta sorpresa quanto sconforto.
Tra l'altro, sulla scorta delle performance di tal Matteo Salvini - comunque importante referente sociale e, dal punto di vista politico, sdoganatore di "pensieri cattivi" - tali sentimenti, in particolare nei confronti di extracomunitari provenienti da paesi africani, hanno rappresentato una sorta di vero e proprio invito a un "coming out" collettivo da parte di razzisti e xenofobi di casa nostra. Per coloro che hanno una memoria ancora efficiente e, piuttosto che minimizzare i fatti, preferiscono rilevare i ricorsi storici ed evidenziarne gli aspetti e le assonanze politiche, è sembrato essere tornati ai lontani giorni dei mesi successivi al marzo del '91; dopo l'approdo a Brindisi di una nave con a bordo oltre 27 mila albanesi. Già allora, infatti, si levarono alte grida di allarme per le "invasioni" che, nell'immediato futuro - secondo i predecessori di Salvini e compari - avremmo in sostanza autorizzato consentendo quel primo sbarco (in effetti, un secondo altrettanto rilevante approdo ebbe luogo nell'agosto successivo).
Non meno efficace, almeno in termini di "dati di ascolto" - se non in termini di interventi concretamente operativi - fu la "campagna" successiva. Quella che molti tra quelli che oggi - senza più alcun "freno" e ritegno - sostengono il rozzo Salvini, intrapresero contro ciò che definirono "il nuovo esodo"; quello dei Rom, in particolare, di provenienza, se non di nazionalità, rumena.
La domanda quindi è: se, foss'anche per bontà divina, potessimo, almeno per qualche giorno, ignorare la truce esistenza di Matteo Salvini, potremmo, improvvisamente e miracolosamente, tornare a parlare del nostro paese come uno di quelli disposti ad accogliere chiunque e pronto a ripetere le scene di commovente altruismo che caratterizzarono l'accoglienza che i nostri connazionali - di Brindisi a marzo e di Bari ad agosto - seppero straordinariamente offrire ai primi albanesi? Seppure aduso a non esprimere mai certezze, questa volta farei un'eccezione ed esprimerei un parere sicuramente negativo. Il punto è, a mio avviso, che oggi affrontiamo, nel nostro paese, il problema della xenofobia - spesso erroneamente scambiata con manifestazioni che attengono, invece, al razzismo - dopo avere, per troppi anni, fatto finta che non esistesse. Come quella massaia che, di norma, nasconde la polvere sotto il famoso tappeto che, una volta sollevato, mostra tutti i suoi misfatti.
Emblematico e, a mio parere, colpevolmente sempre sottovalutato - anche dagli organi inquirenti - è stato, ad esempio, un fenomeno molto diffuso e sin troppo frequente negli stadi italiani: gli atti e i comportamenti xenofobi e razzisti messi in atto da numerosi - nel senso della diffusione territoriale - gruppi di pseudo/tifosi, a danno di calciatori di colore e/o di "diversa" etnia. Clamorosa, ma (colpevolmente) sottaciuta e (gravemente) sottovalutata fu, a questo riguardo, la vera e propria "sollevazione popolare" - operata da frange antisemite della tifoseria locale - che, ancora nel 1989, a Udine, impedì, in sostanza, alla società di tesserare Ronny Rosenthal; un atleta di inequivocabile origine ebraica. Cosicché, di anno in anno, si è sempre sostanzialmente ignorato il problema e scelto di parlare di "gruppi e gruppetti di facinorosi che nulla avevano a che spartire con i veri tifosi". Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Eppure, a mio avviso, sarebbe stato sufficiente ricorrere a un minimo di onestà intellettuale, in particolare da parte degli "addetti ai lavori" - presidenti delle squadre, giornalisti, commentatori sportivi, arbitri e loro dirigenti, gli stessi calciatori a vario titolo coinvolti - per evitare di ricorrere alla sostanziale "derubricazione" di veri e propri reati; con l'aggravante della reiterazione. D'altra parte, non era stato mantenuto lo stesso cinico e distaccato atteggiamento quando, a partire dagli anni '60, le mura di tante città del Centro-Nord erano tappezzate di scritte quali "Non si fitta a meridionali"? O forse qualcuno immaginava che ciò rappresentasse semplicemente un modo per evitare il rischio che il pagamento del fitto mensile avvenisse con banconote stampate autonomamente da malavitosi di Forcella o dello Zen, piuttosto che un atto di puro e inequivocabile razzismo a danno di connazionali?
In definitiva, senza per questo voler minimamente indurre nessuno a guardare con minore spregio al truce rappresentante della Lega, tento di dimostrare che il Salvini, razzista e xenofobo, è intervenuto, purtroppo, in un corpo (elettorale e sociale) già non troppo ostile alle sue posizioni politiche; anzi, sin troppo "ricettivo" e "predisposto". Ben lieto di poter finalmente sfogare i suoi più bassi e reconditi istinti. Non a caso, sono molti gli osservatori politici e gli "addetti ai lavori" che riconoscono a Salvini la grande capacità politica di essere riuscito a "delocalizzare", sull'intero territorio nazionale, slogan e parole d'ordine che, solo fino a qualche anno fa, presentavano ancora un esclusivo e becero carattere localistico. Politica salviniana, quindi, che si rifà alla "pancia", piuttosto che alla ragione, di un "italiano medio" non ancora sufficientemente immune dal tenebroso fascino e dalla nostalgia dell'uomo "forte" - foss'anche, solo con i deboli - cui, inevitabilmente, si accompagna una donna "chioccia" e "angelo del focolare". D'altronde, cosa dire di un paese capace di inventare ed esportare nel mondo un cancro chiamato fascismo? Come dimenticare che fu l'Italia, attraverso le famigerate leggi "razziali" del '38, a precedere, di circa un decennio, quella che, attraverso un sistema legislativo compiuto, sarebbe rimasta - con l'applicazione sistematica dell'apartheid - come una delle peggiori macchie dell'umanità, insieme al fascismo e al nazismo? Perché, quindi, sorprendersi più di tanto?
Naturalmente, appare chiaro che, oggi, chi volesse valutare, in termini percentuali, il rischio imminente di un concreto ritorno al fascismo - partendo, ad esempio, dai modestissimi risultati elettorali conseguiti dalle varie formazioni politiche che, in modo diretto o trasversale, "ammiccano", con immutata nostalgia, al famigerato "ventennio" - avrebbe sufficienti motivi per non allarmarsi. Contemporaneamente, la storia del nostro paese dovrebbe insegnare a tutti che il fascismo è un nemico subdolo, che si annida nelle coscienze della gente e che solo apparentemente può considerarsi definitivamente sconfitto. Considero, quindi, non riconducibile a mia fantasia senile, né ad ancestrali paure di numerosa e qualificata compagnia di attenti "osservatori politici", la necessità di non abbassare mai la guardia. Nel nostro paese, come già tragicamente avvenuto in Polonia e in Ungheria - con governi autoritari che, al dialogo politico, preferiscono la costruzione di nuovi "muri" - è necessario vigilare al fine di mai più consentire fetidi ritorni al passato.
A questo riguardo, ritengo utile riproporre alcune considerazioni già riportate in altra occasione. Mi riferisco, in particolare, all'opportunità di meditare sulle cose proposte da Christian Raimo in quello che appare un vero e proprio reportage condotto tra ragazzi delle medie inferiori e dei primi anni delle superiori. Ebbene, secondo l'autore, l'estrema destra italiana esercita un forte appeal tra i giovani e i giovanissimi; tra coloro, cioè, che tra pochi anni eserciteranno il loro diritto di voto. Fecondo esercizio sarebbe quello di dare seguito ai numerosi spunti di riflessione offerti dalla lettura di un'approfondita inchiesta firmata David Doucet e Dominique Albertini. Gli autori hanno studiato la vera e propria galassia, di siti web, blog e portali, attraverso la quale la destra europea - e, con essa, quella italiana, ha ormai acquistato una voce sempre più potente e diffusa. Così come sarebbe estremamente interessante meditare su quello che Paolo Berizzi descrive come "Un fascismo liquido, certo, disaggregato e sfuggente e proprio per questo molto insidioso, che punta a permeare - e, in parte, ci è già riuscito - gli strati più deboli della società".
Dovremmo, per questo, ringraziare Salvini se, oggi, aumenta il numero di coloro che prendono (finalmente) atto che un nuovo fascismo si approssima alle nostre porte. Sia, perciò, nostro dovere e preciso obiettivo di tutti i democratici italiani, ammettere e riconoscere l'esistenza di un problema che deve essere necessariamente ed adeguatamente affrontato. Senza infingimenti ed ipocrite sottovalutazioni; ma con la consapevolezza di dover sfidare e combattere un nemico (perfido e sfuggente) che si annida nel profondo delle coscienze e attende solo di essere adeguatamente rivalutato dallo "sdoganatore" di turno, per rivelarsi in tutta la sua tragica veste. Concludo suggerendo di leggere un illuminante articolo, a cura di Gilberto Squinzato , pubblicato lo scorso 30 agosto sul sito "Alganews".