Il buco nell'acqua

Se si analizza l’affidamento ai privati della gestione delle reti idriche si trovano dei pro e dei contro. I secondi, però, appaiono più numerosi e anche le esperienze dei casi in cui la privatizzazione è già stata realizzata sono tutt’altro che confortanti

Quando apparvero i primi computer, i commentatori faciloni ne bollarono le performances, che apparivano allora inferiori alle un po' ingenue attese, come quelle di un "idiota ad altissima velocità". L'attuale modo di legiferare mediante decreti con fiducia incorporata, e con contenuti il più possibile eterogenei (cosicché se disapprovo una cosa cattiva ne escludo anche una buona) ci ricordano questa definizione, riferendola ai lavori parlamentari relativi alla gestione delle risorse idriche. Su questo provvedimento gli esponenti della Lega Nord hanno dichiarato che, pur avendo votato una totale fiducia a questo governo, ritengono di dover modificare quello stesso decreto che aveva meritato la loro entusiastica approvazione.

 

La materia è complessa e controversa e richiede chiarimenti che - sia per la brevità del dibattito, sia per la valenza ideologica di certe posizioni - sinora sono mancati. Sono intervenuti, in commenti successivi, sostenendo tesi diverse, ad esempio, De Benedetti e Alessandro Penati, sostanzialmente favorevoli alle scelte del governo; Paolo Rumiz e Moni Ovadia, chiaramente contrari. Esaminiamo dunque: a) il problema delle reti, con particolare riguardo a quella idrica; b) i pro della gestione privata delle risorse idriche; c) i contro di questo sistema; d) le anomalie del decreto. Diversamente da quanto è emerso in altri nostri scritti, tenteremo (ma chissà se ci riusciremo?) di assumere un atteggiamento per così dire "neutrale", per consentire al lettore di formarsi liberamente un'opinione.

 

I sistemi a rete pongono specifici problemi per l'imputazione dei costi all'utenza. Se essi fossero strettamente correlati alle spese di ammortamento e manutenzione della rete nei punti di accesso dell'utente (il cosiddetto ultimo miglio) sarebbero bassi per quelli vicini alla centrale di erogazione ed alti per quelli periferici. Si cerca per lo più di applicare un addebito uniforme, realizzando una perequazione orizzontale. Un altro criterio consiste nell'agevolare o le grandi utenze (come, ad esempio, le industrie energivore: è così che è scoppiato il caso Alcoa) o di favorire certe utenze "sociali", con eventuali compensazioni a carico dell'erario. Nel nostro caso la distinzione fra bene pubblico e bene primario, sulla quale battagliano i favorevoli ed i contrari al provvedimento, ci sembra superflua. Dire che l'acqua è un bene pubblico perché le risorse idriche sono e restano di proprietà pubblica è una banale tautologia. D'altro canto, applicare la definizione ottocentesca secondo cui un bene è pubblico quando la sua utilizzazione non ne esclude l'uso da parte di altri (come fa il De Benedetti, con l'esempio dell'ascolto della musica) non è significativo. Infatti la definizione regge solo fino al punto di saturazione: questo vale per una strada, per una piazza o per una banda di frequenza. Quel che è certo è che l'acqua è un bene primario di importanza vitale per le collettività umane e strategica per l'agricoltura e per molti settori industriali.

 

Le argomentazioni a favore del provvedimento di privatizzazione della gestione delle reti idriche si ispirano alla concezione liberista, secondo la quale il mercato è comunque più efficiente del settore pubblico, proprio sotto la spinta della ricerca del profitto e della concorrenza. Si pone l'accento: a) sulla disastrosa situazione della rete, che perde mediamente il 34% dell'acqua, con punte di oltre il 50%; b) sui cospicui investimenti necessari; c) su episodi documentati di sperperi clientelari e di gestioni inefficienti; d) sulle enormi differenze nei prezzi praticati all'utenza (da 100 a 400 euro l'anno). I gruppi che potrebbero partecipare all'operazione sono stati individuati, quasi contemporaneamente all'approvazione del provvedimento, dalla Borsa e hanno registrato picchi di aumento delle quotazioni superiori al 20%. Si tratta di circa quattro aziende italiane e di una multinazionale di origine francese. A giudicare dai bilanci, la loro capacità imprenditoriale appare notevole, tenendo conto, naturalmente, del contesto in cui hanno sinora operato.

 

I sostenitori del provvedimento non escludono aumenti di prezzi nei prossimi anni. Ciò sarebbe dovuto alla necessità di ripianare il costo degli indispensabili investimenti e spingerebbe inoltre ad un impiego più razionale di risorse scarse, su cui gravano quattro categorie di utenze, quelle civili, quelle industriali, quelle agricole e quelle del terziario, che includono turismo, terme, piscine, campi da golf, etc. I privati, per realizzare profitti commisurati ad ingenti investimenti giocherebbero carte importanti: una maggiore capacità organizzativa; delle probabili ottimizzazioni di scala, soprattutto nell'impietoso raffronto fra multinazionali e popolo delle municipalizzate; l'apporto di un notevole patrimonio tecnologico. Il pericolo di degrado oligomonopolistico sarebbe sventato dal ruolo della concorrenza, fin dall'asta pubblica iniziale. Alle eventuali esigenze di tariffe sociali o preferenziali per singole categorie di utenze, si ipotizza si possa far fronte con un intervento pubblico compensativo, del tipo di quello che si attua per i pendolari delle ferrovie.

 

Coloro che sostengono la tesi contro fondano le loro obiezioni su un ventaglio di considerazioni. In primo luogo il timore che un bene fondamentale addirittura per la vita cada nelle mani di un privato, magari straniero. L'efficacia dell'azione di una eventuale Autorità di controllo è, almeno in Italia, molto limitata. Le esperienze di privatizzazione sinora presenti in Italia nella gestione delle acque mostrano alte tariffe, investimenti pochi o nulli, reti colabrobo. Si citano i casi della Sicilia Orientale, di Latina ed Arezzo. La cieca fiducia nelle capacità gestionali del mercato, si sostiene, verrebbe posta in dubbio non solo dalle citate esperienze già vissute nel nostro Paese, ma anche dalla spettacolare crisi mondiale, che dovrebbe avere scosso dalle fondamenta il mito del liberismo come sistema di equilibrata e automatica razionalizzazione nell'impiego delle risorse. Cosicché, proprio mentre in tutto il mondo le finanze pubbliche (e cioè i soldi dei cittadini) puntellano un settore privato avventuroso, truffaldino o incapace, il provvedimento di cui si parla apparirebbe nettamente in controtendenza. Si esprime, infine, il timore che il monopolio (ritenuto di fatto inevitabile) nel controllo di un bene vitale come l'acqua, si trasformi in un'arma di ricatto e quindi di potere politico. A ciò si aggiungono motivazioni etico-ideologiche, supportate anche dai movimenti terzomondisti, talora con venature religiose, nati, peraltro, in situazioni ben diverse da quelle dell'Europa Occidentale.

 

Vorremmo chiudere il dibattito con osservazioni che cerchino di avere i requisiti dell'obiettività. In primo luogo, è difficile invocare l'operare salvifico della concorrenza in questo settore. Si tratta di bene primario (o, secondo Stefano Rodotà, di bene comune) a domanda rigida (cioè poco influenzata dal prezzo, perchè manca l'effetto di sostituzione). Come ammette lo stesso De Benedetti, è un caso di monopolio naturale. Non è infatti ragionevole ipotizzare una rotazione delle concessioni, per il peso notevole degli investimenti a fecondità ripetuta ma lungamente dilazionata, che comporterebbero un onere notevole per un ipotetico subentrante.

 

Solo l'operatore pubblico, rinunciando al profitto e, eventualmente, fiscalizzando le perdite, è in grado di praticare tariffe fortemente differenziate per classi socio-economiche, settori produttivi, aree territoriali. Basterà un esempio. Questo governo ha avviato un programma nucleare al fine (che noi riteniamo infondato) di ridurre i costi dell'energia. Le centrali nucleari richiedono enormi quantità di acqua, ovviamente non riciclabili senza difficoltà. Quale politica dei prezzi praticherà un monopolista privato nei confronti di un cliente così "assetato"? Molto alti, probabilmente. Discorso analogo vale per l'agricoltura intensiva (gli ortivi, ad esempio, che non a caso generarono la "mafia dei giardini"). D'altro canto, per quanto concerne le capacità gestionali, non mancano esperienze di alta efficienza nei settori a partecipazione statale, come nel campo aerospaziale.

 

Comunque, il legiferare affrettato e tumultuoso dà i risultati adombrati nel proverbio romano sulla "gatta presciolosa", e cioè "figli ciechi". Nel dispositivo legislativo si avverte la tensione non armonizzata fra obiettivi diversi (la Lega voleva e vuole difendere le municipalizzate della Lombardia e del Veneto). Così, per esempio, il prescritto affidamento a privati delle gestioni idriche con gare "ad evidenza pubblica" (lo sa Iddio cosa significhi.....) prevede eccezioni. Vi sono casi in cui l'affidamento delle concessioni può esser dato, in pratica senza gara, ad una società pubblica. Da un apposito comma si evidenzia che spetti paradossalmente alle autorità pubbliche determinare non solo la qualità (ed è corretto), ma anche il prezzo del servizio. Si tratterebbe del caso di un privato che gestisce un servizio il cui prezzo è determinato dall'operatore pubblico. Ciò implicherebbe una integrazione pubblica ove il prezzo non risultasse remunerativo; ma allora ricadremmo nella giungla tariffaria e negli sperperi più volte stigmatizzati dei trasporti regionali in concessione.

 

Caso unico nelle pur tormentate vicende parlamentari di questi ultimi mesi, è stato dichiarato (come abbiamo ricordato all'inizio di questo scritto) che il provvedimento, pur votato con la fiducia, verrà prontamente modificato. Queste innovazioni legislative sembrano vere e proprie battute da avanspettacolo; come se il bagaglio giuridico della maggioranza fosse, in realtà, un "Bagaglino".

Martedì, 5. Gennaio 2010
 

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