I tagli di tasse non sono tutti uguali

Confronto fra le proposte di riduzioni fiscali contenute nei programmi di Pd e Pdl. In entrambi i casi onerose per il bilancio, ma quelle della destra hanno in tutti i casi la stessa caratteristica: avvantaggiano i redditi più alti

A prima vista in materia fiscali i programmi del PD e del PdL si somigliano, nel senso che entrambi propongono rilevanti riduzioni di prelievo tributario, con indicazioni un po’ vaghe su spesa e debito. Ma ad uno sguardo più approfondito in realtà si può notare come nel programma di Berlusconi emerga sempre una preferenza per sgravi fiscali a favore dei redditi alti.

 

Cominciamo con l’eliminazione dell’ICI sulla casa d’abitazione; è un misura dal costo ragionevole (un paio di miliardi), che va a vantaggio dei redditieri medi delle grandi città (che hanno rendite catastali più alte della media) ma soprattutto di quelli alti. Gli altri o sono già esenti (quasi il 40% del totale) o versano cifre ridotte.

 

Per quanto riguarda l’Irpef, c’è un’abbondanza di proposte, tutte però con la stessa caratteristica di premiare i redditi alti. Così la proposta di fissare un tetto del 30% all’aliquota media, il che vuol dire, per i single, sgravi di imposta crescenti dopo i 50.000 euro (i single vengono trattati meglio di chi ha carichi familiari, alla faccia della CEI). Effetti del tutto analoghi l’altra variante berlusconiana di fissare al 33% l’aliquota massima (proposta già a suo tempo formulata dalla legge delega di Tremonti).

 

Veniamo alla detassazione degli straordinari, dei premi di produttività e, “gradualmente”, della tredicesima. In questo ultimo caso è evidente che dare una deduzione in percentuale (7,7%) significa dare uno sgravio fiscale tanto maggiore quanto maggiore è il reddito. Per fare un esempio, un lavoratore con remunerazione imponibile di 20.000 euro avrebbe uno sgravio di 416 euro, uno con 40.000 avrebbe 1170 (più del doppio) ed uno con 80.000 avrebbe 2649 (di nuovo più del doppio).

 

Anche la detassazione dei premi di produttività favorisce i lavoratori a reddito più alto; è una misura  che in realtà o si presenta come “una tantum”, nel senso che vale solo per il periodo in cui viene concessa, oppure, se vale in permanenza, significa che i datori di lavoro avranno l’incentivo a concedere tutti gli aumenti salariali come premi di produzione, con un costo esorbitante.  

 

La tassazione degli straordinari si rivolge ad una platea relativamente minoritaria di lavoratori, con redditi maggiori della media, ma non certo alti; in questo caso le controindicazioni sono di altro genere. E’ una misura pro-ciclica, quando invece la tassazione dovrebbe svolgere un ruolo anti-ciclico. E’ una misura che incoraggia poi l’elusione fiscale, facendo risultare come straordinario una parte della remunerazione ordinaria, con l’impossibilità pratica ,da parte dell’Agenzia delle Entrate, di controllare milioni di piccole imprese.

 

Un’altra proposta, che non si capisce come si coordini con quelle sopra descritte, riguarda il quoziente familiare, alla francese. Come è noto in Francia l’unità impositiva è la famiglia, dove si sommano tutti i redditi e si dividono poi per un numero che è 2 se ci sono solo due membri (va detto che i due possono essere anche dello stesso sesso, ed aver fatto un Pacs, cui si applica il sistema del quoziente),  per 2,5 se c’è un figlio, per 3 se ce ne sono due, e così via. Questa proposta piace a molta parte del mondo cattolico, forse perché c’è il termine “familiare”. In realtà si tratta di una misura che avvantaggia soprattutto le famiglie monoreddito (in cui quindi il coniuge, praticamente sempre la moglie, cura la casa) con figli a carico, con redditi medio alti. E’ una misura che diminuisce la progressività dell’imposta, e non a caso in Francia vi è l’imposta personale progressiva sulla ricchezza. Inoltre disincentiva il lavoro femminile. L’introduzione del quoziente familiare, se effettuato a parità di gettito, determina una rilevante perdita per i redditi bassi a vantaggio di quelli alti. Se si cerca di non far perdere i primi, allora il costo veleggia verso un punto di PIL.

 

Last but not least vi è l’esclusione dall’Irpef degli affitti degli immobili, con tassazione al 12,5%. Da notare che anche nel governo Prodi alcuni ministri avevano proposto una tassazione separata, ma almeno l’aliquota era posta al 20%. Anche in questo caso la misura sarebbe andata a favore dei contribuenti con reddito elevato, ma Berlusconi, forse informato, ha pensato bene di aggiungere una ulteriore regalia.

 

Le proposte del PD prevedono invece un aumento delle detrazioni per redditi da lavoro dipendente e da pensione e una discesa lineare fino a 55.000 euro delle detrazioni (attualmente la discesa è più ripida fino a 15.000). Gia questa proposta determina un aumento dell’area esente a 8.500 euro, con livelli anche maggiori per i pensionati più anziani. Ma a fianco di questa proposta ve ne è un’altra, e cioè la riduzione di un punto percentuale di ciascuna aliquota  per il triennio 2009-2011. Alla fine del triennio i lavoratori dipendenti ed i pensionati avrebbe un’area esente che sfiora i 10.000 euro, dato che una detrazione di 1955 euro con aliquota al 20% porta ad un reddito esente di 9.775.

 

Per i redditi bassi si tratta di una riduzione veramente notevole; peraltro anche i redditi medi ed i redditi alti beneficiano del calo delle aliquote, visto che tutte scendono di tre punti. Per gli incapienti, cioè coloro che hanno redditi già oggi esenti da imposta, cioè lavoratori fino a 8000 euro, pensionati fino a 7500 o 7750 (a seconda dell’età), viene prevista una sorta di imposta negativa, cioè un sussidio pari all’incapienza. Un punto critico è l’obiettivo di una riduzione di tutte e cinque le aliquote, che andrebbe valutato più attentamente; l’urgenza si presenta nettamente maggiore per la prima aliquota, e poi per la terza. Per la prima vi è un problema di ridurre la velocità con cui cresce l’imposta netta media; per la terza invece di tratta di ridurre il salto tra la seconda aliquota (al 27%) e la terza (38%). In sostanza sarebbe preferibile puntare innanzitutto su queste due aliquote; una volta realizzata la riduzione, pensare, eventualmente, alle altre, alla luce della situazione generale del bilancio pubblico.

 

Anche nel programma del PD vi è un incentivo sui premi di produzione, pensato però in modo da favorire i lavoratori a basso reddito in misura maggiore degli altri; infatti il premio concorre a formare il reddito imponibile e quindi viene tassato con l’aliquota marginale, ma gode di una detrazione aggiuntiva (entro un limite del premio di 2.500 euro) alla prima aliquota (attualmente 23%). In questo modo i lavoratori che si trovano nel primo scaglione vengono detassati, mentre gli altri hanno uno sgravio che scende rispetto all’aliquota marginale (per coloro che ritrovano all’aliquota massima, lo sgravio è di poco più della metà). Anche in questo caso però si presenta il problema di cosa succede quando il premio di produzione termina, ed al suo posto subentra un nuovo premio di produzione, presumibilmente maggiore del primo. Se l’incentivo vale solo per l’incremento, allora l’agevolazione diviene una “una tantum”, mentre se si estende ai nuovi premi il costo cresce progressivamente, e spinge i datori di lavoro a spostare tutti gli aumenti retributivi sui premi.

 

Nel programma manca poi l’eliminazione dell’ICI sulla casa d’abitazione, il che è encomiabile, visto che si tratta di una misura demagogica ed in realtà rivolta ai redditieri medio-alti e alti. E’ presente, nella forma di un disegno di legge già pronto, la misura di tassazione con una cedolare al 20% delle case affittate per uso abitativo (quindi di residenza) da parte degli affittuari. La misura è volta a limitare l’agevolazione per i proprietari di immobili, ed incentivarli ad affittare gli appartamenti alle famiglie. L’intento è apprezzabile, anche se è difficile dire se un semplice vantaggio fiscale, che per molti proprietari può essere piuttosto limitato, può effettivamente incentivare i proprietari, restii ad affittare proprio a nuclei familiari. Il controllo poi dell’agevolazione risulta piuttosto problematico.

 

In conclusione, il messaggio di entrambi i programmi batte sulla riduzione delle “tasse”; quello del PD è sicuramente ambizioso, ma più preciso e più equilibrato dal punto di visto equitativo, anche se alcuni aspetti sono discutibili; quello del PdL è più vago,  nettamente orientato verso i redditi alti, e con costi difficili da quantificare, ma comunque ingenti. Va tenuto presente che Berlusconi promette anche l’eliminazione dell’Irap, e stiamo parlando di circa 26 miliardi di euro. Vero è che la scomparsa dell’Irap era annunziata nella legge delega di Tremonti, ma poi non se ne è fatto nulla. Ma sappiamo che dal punto di vista della demagogia il cavaliere è imbattibile.

Martedì, 8. Aprile 2008
 

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