I rischi dello “sblocca-cantieri”

Il decreto che modifica per la seconda volta in tre anni il nuovo codice degli appalti è un ritorno al passato. Elimina una serie di garanzie, reintroduce il massimo ribasso che aveva dato pessima prova, aumenta la quota dei subappalti e con essa i rischi di incidenti sul lavoro, riduce il ruolo dell’Autorità anti-corruzione. Ma intanto gli investimenti pubblici in bilancio continuano a languire

La Camera il 13 giugno ha convertito in legge il decreto Sblocca-cantieri, al quale il governo giallo-verde affida il compito di rilanciare gli investimenti pubblici, da un decennio in caduta libera, modificando per la seconda volta in tre anni il nuovo codice degli appalti, entrato in vigore nell’aprile 2016 sotto il governo Renzi. L’iter del provvedimento è stato molto accidentato, come dimostra il fatto che il decreto legge iniziale è stato approvato per due volte dal governo e che il percorso parlamentare è stato oggetto di forti scontri sia tra governo e opposizione sia tra Lega e Cinque Stelle. Non meno accidentato si preannuncia il cammino per l’attuazione della nuova legge, in quanto occorreranno ben 27 provvedimenti attuativi per implementarla.

In estrema sintesi, le principali novità introdotte riguardano:

1) l’istituzione di un regolamento unico al posto delle linee guida dell’Autorità Anticorruzione (Anac), la quale torna ad avere solo poteri di controllo e non anche regolatori;

2) l’introduzione della preferenza per il criterio del prezzo più basso come modalità ordinaria per l’aggiudicazione degli appalti sotto i 5,5 milioni, in sostituzione del criterio dell’offerta economica più vantaggiosa, che in teoria dovrebbe garantire un miglior rapporto “qualità-prezzo”;

3) l’affidamento diretto dei lavori fino a 150.000 euro, con 3 preventivi per le gare da 40.000 a 150.000 euro, e la procedura negoziata tra 150.000 e 300.000 euro con invito di almeno 10 operatori, che diventano 15 fino a 1.000.000;

4) l’aumento della quota massima del subappalto, che sale al 40% dal 30% attuale (la Lega avrebbe voluto arrivare al 50%);

5) il ritorno fino al 31 dicembre 2020 dell’appalto integrato, con la possibilità di affidare alla stessa impresa sia la progettazione esecutiva che l’esecuzione dei lavori;

6) la sospensione fino al 31 dicembre 2020 dell’obbligo di servirsi di commissari indipendenti, nominati all’interno di un albo gestito dall’Anac, per valutare le offerte. Fino a quella data i commissari saranno scelti all’interno delle stazioni appaltanti;

7) la sospensione fino al 31 dicembre 2020 dell’obbligo di centralizzazione delle stazioni appaltanti. Fino a quella data tutte le amministrazioni locali potranno continuare a bandire le gare per beni, servizi e lavori;

8) l’istituzione di Italia Infrastrutture SpA, società in house del Ministero delle infrastrutture che dovrà fornire consulenza tecnica soprattutto per le opere che rischiano di perdere i fondi;

9) l’impossibilità di contestare il danno erariale a carico dei funzionari che firmano la revoca delle concessioni autostradali, se il decreto è stato registrato dalla Corte dei Conti.

Per molti versi la nuova legge rappresenta un ritorno al passato, a prima cioè del nuovo codice degli appalti introdotto nel 2016. Torna di fatto, sotto mentite spoglie, il famigerato criterio del massimo ribasso, che ha consentito di realizzare opere poco sicure e poco durature. Si riapre la possibilità di infiltrazioni mafiose con l’allargamento delle maglie del subappalto e degli affidamenti diretti senza gara. Si ridimensiona fortemente il ruolo dell’Anac, che finora ha rappresentato una garanzia in materia di anti-corruzione, anche se a volte a scapito della velocità operativa. Gli enti locali tornano ad avere maggiore libertà di azione, fino al 31 dicembre 2020, nel gestire le gare: speriamo con risultati migliori del passato!

Crescono inoltre i rischi per la sicurezza nei cantieri: non per l’effetto di nuove norme, ma a causa dell’aumento della quota di lavori affidati a terzi. Più imprese lavorano in un cantiere, più difficile diventa il rispetto delle regole sulla tutela della salute dei lavoratori. Va infine sottolineato come, con la creazione di Italia Infrastrutture, siano diventate ben otto le strutture pubbliche destinate al coordinamento degli investimenti pubblici, la maggior parte delle quali istituite dal governo Conte. Il risultato, per quanto riguarda l’aumento della burocrazia, è garantito.

Bisognerà vedere se tutto questo servirà davvero a rilanciare gli investimenti pubblici, che in dieci anni sono scesi dal 3 al 2 per cento del Pil per un valore di 37 miliardi, contro una media europea del 2,8%.

Lunedì, 17. Giugno 2019
 

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