Il governo ha varato la legge di bilancio 2022-2024, che ora dovrà affrontare l’iter parlamentare di conversione. Il disegno di legge delega è stato preceduto da un decreto legge contenente misure urgenti in campo fiscale e in materia di lavoro. La manovra è di circa 30 miliardi, in gran parte finanziati a debito. Non è detto che, in corso d’opera, rimanga così, visto che il numero di articoli, nelle due settimane trascorse dall’approvazione del Consiglio dei ministri all’approdo al Senato, è passato da 185 a 219. Si tratta in ogni caso di una manovra espansiva, come delineato nella Nota di aggiornamento al Def. Il governo ha infatti opportunamente scelto di usufruire dei margini concessi dalla sospensione del patto di stabilità per mantenere un saldo primario programmatico negativo per tutto il triennio 2022-2024 ed allargare il deficit e il debito oltre il tendenziale, conservando comunque per entrambi un profilo decrescente nel triennio.
Pil e conti pubblici (valori percentuali)
Fonte: Nadef 2021
La manovra, in linea con il Piano nazionale di ripresa e resilienza su cui il governo punta tutte le sue carte, ha come principale obiettivo la crescita, nella speranza di accorciare il divario accumulatosi negli anni con l’area dell’euro. In tal senso i dati di contabilità nazionale relativi al terzo trimestre inducono a un moderato ottimismo, visto che il Pil italiano (+3,8% tendenziale) è cresciuto più di quello francese (3,3%), tedesco (2,5%) e spagnolo (2,7%). Ed è probabile che a consuntivo 2021 il 6% di aumento del Pil indicato nella Nadef sia ampiamente superato, visto che la crescita acquisita nel terzo trimestre è già del 6,1%. Le stesse previsioni della Commissione europea indicano per l’Italia una crescita nel 2021 del 6,2%, superiore alla media dell’area euro (5%) e a Germania (2,7%) e Spagna (4,6%). Soltanto la Francia farebbe meglio (6,5%). Ciò naturalmente non deve creare illusioni, viste anche le nuvole che si profilano all’orizzonte (ripresa del Covid e impennata dei costi dell’energia), ma appare incoraggiante nell’ottica del governo.
In termini distributivi la manovra tende a dare risorse a pioggia: alle famiglie, alle imprese, al settore pubblico. Non opera sostanzialmente una redistribuzione a favore delle categorie più colpite dalla crisi come i giovani, le donne e i poveri. C’è soltanto qualche misura parziale, come la proroga di opzione donna, il rinnovo per i giovani sia della garanzia statale sui mutui prima casa sia del bonus affitti e il rinvio delle scadenze delle cartelle esattoriali per i contribuenti più in difficoltà a causa dell’emergenza Covid.
La manovra di bilancio 2022 (miliardi di euro)
Fonte: nostre elaborazioni su dati del Documento programmatico di bilancio 2022
Interventi redistributivi in realtà dovrebbero venire dalle riforme del fisco, delle pensioni e del reddito di cittadinanza. Ma su questi temi regna grande incertezza. In particolare sul primo, per il quale sono stati messi sul piatto 8 miliardi di tagli alle tasse, di cui 2 già stanziati e 6 in manovra. I contenuti della riforma non sono però ancora noti. Nella legge delega sulla riforma fiscale in corso di esame in Parlamento il governo dovrà infatti indicare come procedere: se riducendo il cuneo fiscale oppure intervenendo sulle aliquote Irpef e/o Irap. Il campo di scelta è dunque molto ampio e non sarà facile trovare una soluzione, data l’eterogeneità della coalizione che sostiene Draghi.
Sulle pensioni, per le quali è previsto in Finanziaria un intervento di circa 600 milioni, si dovrebbe passare da quota 100 a quota 102 con almeno 64 anni di età e 38 di contributi, rimandando all’anno prossimo una riforma che andrà in direzione del sistema contributivo e nella quale dovranno trovare collocazione anche le attuali “deroghe” come l’Ape sociale e opzione donna. Anche questo non sarà un parto indolore. Si preannuncia infatti un difficile confronto con le parti sociali, come già preannunciato da Landini, che ha minacciato lo sciopero generale.
Il reddito di cittadinanza, su cui in manovra sono stati messi 800 milioni, è quotidiano terreno di scontro tra le diverse anime della coalizione, soprattutto tra Lega e M5S. La prima vorrebbe abolirlo, impiegando le risorse del reddito per abbassare le tasse. Anche tra chi vuole mantenerlo è in corso un’animata discussione su due questioni in particolare. La prima è quella dell’equità. Si tratterebbe di rivedere il meccanismo di calcolo dell’assegno che appare sbilanciato a favore dei single e a sfavore delle famiglie numerose con bambini. La seconda questione è quella dell’incentivo al lavoro, su cui il reddito di cittadinanza ha dimostrato di non funzionare, come ha sottolineato lo stesso presidente del consiglio. I correttivi proposti sono la perdita dell’assegno al secondo rifiuto di un’offerta congrua di lavoro o se non ci si presenta almeno una volta al mese nei centri per l’impiego. Occorre inoltre rafforzare i controlli per evitare le truffe, che stanno emergendo in maniera preoccupante.
In definitiva sarà sugli interventi di policy relativi a questi tre temi cruciali che si misureranno la politica economica del governo e il suo consenso sociale nel Paese. Tra le doti unanimemente riconosciute all’attuale presidente del consiglio vi è quella della tenace capacità negoziale, fatta sia di rinvii sia dell’abilità di saper cogliere il momento giusto. Qui però non si tratta solo di tattica, ma di far venire allo scoperto la strategia di un governo di fin troppo larga coalizione.