I messaggi del non voto

L'astensione oltre le previsioni conferma una difficoltà più generale del centro sinistra. Tre elementi indispensabili, che ancora mancano, per poter vincere nel 2006

Che la battaglia del referendum non potesse essere vinta per la concreta impossibilità di raggiungere il quorum era scontato. Quando l'astensionismo "fisiologico" si muove intorno al 30 per cento degli aventi diritto al voto e basta una piccola percentuale dei contrari che sceglie l'astensione, è chiaro in partenza che il referendum è vanificato. Ma i risultati sono andati ben al di là di quello che poteva essere un pronostico realistico. Se almeno un terzo degli elettori avesse scelto di votare, la sconfitta sarebbe stata ancora "ragionevole". Ci si sarebbe potuto chiedere se valesse la pena di accettare una sfida con un unico risultato possibile. Sarebbe tuttavia rimasta valida l'osservazione di Fassino sull'importanza di combattere alcune battaglie di principio, anche quando l'esito negativo appare scontato.

Ma i risultati vanno bene al di là ogni previsione. Il non voto ha dilagato, con l'esclusione di un paio di regioni e di qualche grande città. Nel Mezzogiorno assistiamo a una débacle. Cosa è successo? All'origine vi è certamente la caratteristica dei quesiti, le difficoltà di orientarsi, la complessità della materia, la sofisticazione del dibattito oscillante fra scienza e teologia. Il tema della fecondazione è stato avvicinato a quello dell'aborto, ma nella percezione dei due temi non vi è paragone possibile. L'aborto appartiene a una consapevolezza antica e sempre presente nelle famiglie e nelle varie generazioni che vi s'incrociano. I quesiti dei quattro referendum sulla procreazione assistita mescolavano aspetti intuitivi (la libertà di accedere a una maternità assistita) ad altri complessi e sfuggenti come i limiti etici della ricerca scientifica.
 
Di fronte a questioni così complesse e sottoposte a una campagna ossessiva quanto dissonante, la decisione di votare, di esporsi con una scelta non banale, può dipendere in larga misura da un fattore di mediazione politica. Se il mio partito o schieramento o leadership  di riferimento argomenta una scelta e io considero affidabile quel soggetto politico e, fino a prova contraria, credibili gli argomenti portati a sostegno della scelta che mi viene indicata, sono confortato nel muovermi in direzione di quella scelta.  La lettura dei risultati ci dice che questo possibile fattore di mediazione politica non ha funzionato. In altri termini, che i partiti della sinistra non sono stati in grado di svolgere un effettivo ruolo di orientamento. Il Mezzogiorno, con la sconcertante partecipazione al voto del 15 per cento, ne costituisce la prova più eclatante. Gli stessi elettori che avevano decretato una generale vittoria del centrosinistra, in occasione delle elezioni regionali, non hanno tenuto in nessun conto l'orientamento dei partiti di riferimento. Sono rimasti a casa perché convinti da Ruini? Evidentemente  no, se si considera, per fare un solo esempio, che si tratta degli stessi elettori che hanno votato qualche settimana fa Nichi Vendola, comunista e "diverso".

L'esito del referendum conferma una difficoltà più generale del centro sinistra. Per vincere la battaglia del 2006 c'è bisogno di diffondere una percezione di affidabilità e credibilità. Per essere credibili c'è bisogno di presentare un volto unitario, un programma leggibile, una leadership riconosciuta. Tre elementi che al centrosinistra continuano disperatamente a mancare. Quando il cardinale Ruini afferma che il risultato referendario è andato al di là delle previsioni, dice indubbiamente la verità. Una verità allarmante per il futuro del centrosinistra.

Mercoledì, 15. Giugno 2005
 

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