Stabilire l'obbligo di indicare un "Costo annuo globale effettivo" permetterebbe di fare scelte più consapevoli in un settore dove oggi anche i tecnici faticano a raccapezzarsi
Uno dei problemi che sono emersi per ciò che riguarda i Fondi pensione consiste nella difficoltà, per i sottoscrittori, di rendersi conto dei vari elementi di costo e di quanto essi incidano sul capitale che sarà accumulato alla fine. Costi, commissioni e tasse sono combinati tra loro con meccanismi in mezzo ai quali persino i tecnici del settore fanno fatica a districarsi, e soprattutto i metodi sono diversi da Fondo a Fondo e rendono praticamente impossibile, a un sottoscrittore dotato di una normale conoscenza degli strumenti finanziari, confrontare i vari prodotti.
Si sa, da alcune ricerche che sono state effettuate - da studiosi, dai sindacati, dalla Covip, l'organo di vigilanza - che i Fondi negoziali sono mediamente meno costosi dei Fondi aperti e questi ultimi più convenienti rispetto alle polizze assicurative individuali (Pip). Ma si sa anche, dai tempi di Trilussa, che delle medie è bene diffidare, e infatti una ricerca del Cerp - il centro studi torinese diretto da Elsa Fornero - ha messo in evidenza che ci sono differenze anche notevoli tra i prodotti più costosi e quelli più convenienti di una stessa categoria e che scegliendo in base al solo criterio delle medie si rischia di non raggiungere il risultato desiderato.
La poca chiarezza di idee della maggior parte dei sottoscrittori ha un preciso riscontro nella realtà: come sottolinea la stessa Covip nel suo ultimo rapporto, la crescita dei Fondi negoziali e di quelli aperti è al ritmo del 2-3%, mentre nel settore dei Pip si viaggia su percentuali a due cifre; nell'ambito di questi, inoltre, la parte del leone (circa il 30% del mercato) la fa la Mediolanum, i cui prodotti sono tra i più cari in assoluto.
Ora, è bene sottolineare che il fattore costi è un elemento assolutamente cruciale. Quando si affidano i propri soldi a una gestione con una prospettiva di 30-40 anni, è semplicemente impossibile cercare di individuare il gestore "più bravo": quanti ne cambieranno in questo arco di tempo? Saranno fortunati, faranno degli errori? Impossibile saperlo. Si può e si deve sapere, invece, quanto incideranno i costi di gestione. Lo studio del Cerp già ricordato ha calcolato che, a parità di performance, i costi del prodotto meno caro avrebbero ridotto il capitale accumulato di circa il 12%, quelli del prodotto più caro lo avrebbero decurtato addirittura del 60%.
Per risolvere questo problema si potrebbe far ricordo a uno strumento simile a quello che regola il credito al consumo. Anche in Italia, ogni tanto, si fanno buone leggi nella finanza, e questa lo è stata certamente. Come si può vedere in calce a tutti gli annunci pubblicitari che propongono vendite rateali e facilitazioni di pagamento, il proponente è obbligato ad indicare il Taeg, Tasso annuo effettivo globale, che riassume in una sola percentuale, facile da capire e confrontabile per le diverse offerte, quale sarà il costo onnicomprensivo che si dovrà pagare, al di là del tasso facciale o delle trovate di marketing.
Cosa impedisce di stabilire un analogo comportamento per i Fondi pensione? Invece che di Taeg si parlerebbe di Caeg (Costo annuo effettivo globale), ma il risultato sarebbe finalmente una maggiore trasparenza e una possibilità di confronto facile per tutti.
L'Ania, l'associazione delle compagnie di assicurazione - cui va dato atto di essersi incamminata, sotto la direzione di Giampaolo Galli, sulla via di una maggiore trasparenza - ha da poco elaborato un modello di prospetto informativo semplificato per i Pip, che l'Isvap (l'authority di controllo sulle assicurazioni) ha fatto proprio emanando una direttiva. Vi è compreso tra l'altro un indicatore sintetico di "riduzione del guadagno", ossia di quanto i costi del prodotto incideranno sul montante (il capitale teorico finale). E' un'ottima iniziativa che fornisce, per un altro verso, le stesse informazioni del Caeg: che, però, a mio parere risulterebbe più facilmente comprensibile.
In ogni caso il dato servirà a poco se la confrontabilità resterà limitata a una sola "famiglia" di prodotti (i Pip, appunto). Una buona trasparenza ci sarebbe solo se venissero resi obbligatori sia il Caeg che l'indicatore dell'Ania per tutti i prodotti offerti sul mercato (utilizzando ovviamente gli stessi criteri di calcolo).
Inoltre quel che è avvenuto toglie anche un alibi alle vestali del libero mercato, sempre pronte a denunciare queste misure come eccessi di regolazione e "lacci e lacciuoli": basterebbe lasciare agli operatori il compito di stabilire come elaborare questi indicatori e poi semplicemente recepirli (dopo i dovuti controlli di merito, naturalmente) in una legge (meglio che le direttive delle varie authority). Come è avvenuto per le assicurazioni, appunto.
I decreti delegati che si occupano della materia devono ancora ultimare il loro iter parlamentare per i pareri e poi c'è ancora un passaggio per il Consiglio dei ministri. Ci sarebbe ancora tutto il tempo e il modo per questa piccola riforma che non costa nulla ma che metterebbe in grado chi sottoscrive un Fondo di scegliere in modo più consapevole lo strumento che dovrà integrare il suo reddito da quando lascerà il lavoro fino alla fine della vita.
Sabato, 5. Novembre 2005